sabato 28 aprile 2012

Il paggetto

Accademia Militare di Modena: sette del mattino di una domenica di primavera che stenta ad arrivare. Le camerate, sempre più umide, prendono improvvisamente vita, mentre gli altoparlanti diffondono la “melodia” della sveglia. Tutti giù dal letto di scatto: bisogna radersi, lavarsi, vestirsi, fare il letto, fare colazione e correre all'alzabandiera. Tutti i tempi sono stati calcolati al millesimo e non si può indugiare … entra il Tenente Cetola accompagnato dallo Scelto di servizio e, nel silenzioso caos delle mille operazioni da fare svelti svelti, si alza una voce: “Oggi dovete indossare l'uniforme storica!”
Non c'è tempo per pensare: il nostro unico neurone in attività è concentrato sulle cose da fare e poi non vale la pena sapere perché dobbiamo indossare l'uniforme storica. Qualcuno prima o poi ce lo dirà … tutti apriamo automaticamente l'armadietto, riappendiamo l'uniforme interna, prendiamo l'uniforme storica e … via di corsa … Dal bagno arriva Taspare: si è già sbarbato, lavato, ha già fatto il letto (a squadra e non a cubo: è domenica!) e lucidato le scarpe. Uniforme storica? Torna di corsa nei bagni armato di lucido, spazzola e scarpe basse nere: bisogna farle brillare! Due minuti dopo, comincia a vestirsi canticchiando ... è di buonumore: fra due giorni maturerà i suoi 120 giorni senza “paduli” e senza punizioni, la sospirata R.I. E' un record che nel plotone ha maturato solo Giggi il "cubo"!
Taspare è un ragazzo d'oro, buono, intelligente, senza malizia, generoso … un amico vero, che noi del II plotone della 4^ compagnia ci teniamo ben stretto … un solo difetto: la curiosità. Infatti mentre finisce di vestirsi, gli scappa la domanda ad alta voce: “Perché indossiamo l'uniforme storica?” A questo punto, fermo restando il rispetto assoluto e devoto per le nostre madri, occorre precisare che quasi tutto il nostro plotone (e nella stessa proporzione, la compagnia) è costituito da eccellenti "fidem ignota", che portano nel petto un mix di goliardia, di perfidia di figli di cotante madri e di velata invidia di chi sa che quella RI è per tutti noi una chimera irraggiungibile. Nasce da questo cocktail una malizia senza pari che ci spinge oltre il limite ma che soprattutto spinge Taspare verso il baratro.
Torniamo alla curiosità di Taspare che dimostra quanto sia ingenuo e troppo in buona fede per dei ... tipi come noi! Herman lo guarda, poi mi guarda ... , Cosimo, Lotario e Giacomo lo guardano, poi mi guardano ... hanno stampato un punto interrogativo negli occhi ... Ettore, rientrato dalle camerate dei Kaps, ci guarda con l'occhio scafato... Guardo Taspare, guardo Herman, incrocio l'occhio di Ettore ... sbatto il naso sui punti interrogativi dei bravi ragazzi del plotone .. e rivolgendomi a Taspare gli butto li la risposta al volo: “ come, non lo sai? Si sposa il figlio del Generale Comandante!” ... Leo che stava riallineando gli spigoli della coperta (era a circa metà strada per la RI - dopo questo episodio rinuncerà per tutta la vita!), mi guarda incredulo ed esclama:" min... che notizia!” ... Franco, lo Scelto, sorride sornione e con il suo forte accento padovano borbotta:" ma dove la trovi la fantasia a quest'ora del mattino?
Chi non ricorda il figlio del Generale Comandante? Un uomo (30 anni? Certamente un bel po' di anni più di noi) che si aggirava taciturno per l'Accademia, che si nascondeva dietro le colonne quando ci vedeva passare di corsa, che stava in piedi presso la cassa del Circolo Allievi aspettando chissà che cosa e che veniva a mensa a guardarci consumare i nostri pasti …. 
Questo è il preambolo di una giornata che, preannunciatasi già piena di sorprese, purtroppo si concluderà amaramente. Per Taspare, non per noi, suoi amici di sempre, che invece abbiamo ordito una trama forse buffa, ma sicuramente "cattiva" e che Taspare non meritava. Lo stesso Fabrizio de Andrè cogliendo lo sviluppo della vicenda, riporterà in sua canzone ("Bocca di Rosa"): "ma una notizia un pò originale non ha bisogno di alcun giornale. Come la freccia dall'arco scocca vola veloce di bocca in bocca ..."
 Ed è proprio così che in pochi minuti tutto il Battaglione è informato del motivo per cui dobbiamo indossare l’uniforme storica. Nessuno ci crede a parte Taspare, Luigi e Giorgio, ma comunque per la maggior parte del Battaglione la storia finisce lì. Come detto, i "fidem ignota" abbondano, soprattutto nel plotone CC della nostra Compagnia ... uno di questi è Carlino, che è Allievo di servizio in compagnia. Carlino è un gran ricamatore e, informato della notizia data a Taspare circa il matrimonio, va di corsa al piano di sotto, nell'ufficio della 5^ Compagnia e da li telefona nell'ufficio della 4^, imitando perfettamente la voce del Tenente Tria, nostro Comandante di plotone e quel giorno Ufficiale di Picchetto. Risponde Elio (sostituto temporaneo di Carlino come Allievo di servizio) e, su richiesta di Carlino/ Tenente Tria, chiama al telefono Taspare, che arrivato di corsa, prende la cornetta, si mette sull'attenti e, sbattendo i tacchi, con un urlo che fa rintronare le spesse mura portanti, si presenta:
 “Allievo Taspare ... . Comandi!!!”
“ Sono il Tenente Tria, lei sa che oggi si sposa il figlio del Generale Comandante?
“SIGNORSI'”
“ Bene, indossi l'uniforme storica. Mi raccomando non dimentichi il pennacchio sul chepì. Poiché lei domani festeggia la R.I., come premio è stato scelto per fare il paggetto al matrimonio. Si presenti da me alle 10.15”
 “ Signorsì! Comandi!”
L'emozione e l'orgoglio rendono Taspare incontenibile. Così ci racconta dell'onore accordatogli. E noi, suoi più stretti amici e compagni di plotone (ma pur sempre, fidem....!), ci offriamo volontari per metterlo in perfetto ordine. Herman, in bagno, gli mette a punto la capigliatura, portandogli la sfumatura un centimetro sotto la nuca,; io gli lucido di nuovo le scarpe (per finta, lo sanno tutti che non mi piace troppo neanche pensare di fare uno sforzo); Leo gli sistema il pennacchio nel chepì e glielo pulisce con un fazzoletto; Giacomo gli spolvera lo spadino e lo aiuta nella parte finale della vestizione; Franco prende dal suo armadietto l'"eau de fognette" delle occasioni speciali e lo spruzza sul viso e sul collo del paggetto. Quasi tutta la compagnia gli ronza intorno complimentandosi. Arriva Gianfranco, Carabiniere nonché principe dell'Ordine dei "fidem ignota", si avvicina a Taspare e gli instilla un dubbio: "siete due candidati, tu e Luigi di Napoli, per un solo posto da paggetto". Di fronte allo sguardo di Taspare preoccupato per l'improvvisa concorrenza, però aggiunge: "non preoccuparti abbiamo fatto presente (tramite il Caposcelto Rienzi) al Comandante che Luigi ha preso tre paduli e non può arrivare alla RI". Così Taspare riacquista la fiducia in se stesso e si accinge a volare verso il cortile dell’Ufficiale di Picchetto. Tutto il plotone gli fa da scorta ... mezza compagnia fa da scorta alla scorta e mezzo battaglione fa da scorta alla scorta della scorta. Ettore costringe Taspare a procedere di passo sul “Ponte dei sospiri”, frenando la sua corsa tumultuosa ... e poi, superatolo, via tutti di corsa ... Taspare in testa verso l'Ufficiale di picchetto.
In anticipo di almeno 1 minuto Taspare attraversa il cortile, mentre la nutrita schiera di fans si apposta dietro le colonne, occupando tutti i posti nella platea e nel loggione. Si ferma davanti alla porta ... un'ultima pulitina alle scarpe .. un piccolo colpo di tosse per schiarirsi la voce e ... bussa alla porta stando già impettito sull'attenti. l'Ufficiale di picchetto non era più il Tenente Tria, appena smontato, ma il Tenente Fiore appena montato. Ricevuta l'autorizzazione, Taspare apre la porta e, senza entrare, urla :
” Allievo Taspare ..., Fiore, senza scomporsi, gli chiede il motivo per il quale è li, di domenica mattina presto, a rompere ... e Taspare con un malcelato sorriso di orgoglio risponde prontamente:
" sono il paggetto per il matrimonio del figlio del Generale Comandante” 
“ Matrimonio? Il figlio del Generale? - dice il Tenente Fiore sbalordito e nello stesso tempo piuttosto inc ...to – Questo si sposa e a me non dicono niente!!! e dove si sposa? E a lei chi glielo ha detto?”
" Me lo ha comunicato un'ora fa il Tenente Tria" risponde pronto Taspare, sempre immobile sull'attenti. A questo punto, il Tenente Fiore solleva la cornetta del telefono e chiama il Circolo Ufficiali, dove il buon Tenente Tria, appena smontato, sta prendendo un caffè prima di tornare a casa. Visibilmente alterato, Fiore gli chiede notizie … bastano pochi secondi per capire che la notizia del matrimonio è falsa.
Pensando che Gaspare lo stia prendendo in giro, chiude il telefono, lo guarda fisso negli occhi … e
 ”Allievo Taspare, che cosa sta blaterando? Crede di potermi prendere in giro?Stia punito ... si accomodi!! 
  Esattamente in quel momento Taspare capisce che il suo bellissimo castello della RI stava inesorabilmente crollando ... si volta con lo sguardo carico di fulmini per cercare il manipolo dei suoi ex fans .. non vede nessuno, ma sente il rumore di uno stuolo di Allievi imbizzarriti che ripercorrono le scale di corsa e non rallentano nemmeno al “Ponte dei sospiri” ....

 I fidem... del II/4^

lunedì 23 aprile 2012

Dobbiamo diventare musulmani per avere banche "umane"?'??

Ho seguito con grande interesse la puntata di Report del 22 Aprile 2012 in cui sono state presentate le distorsioni dell’attuale sistema bancario nei paesi occidentali e proposti alcuni tentativi di cambiare il sistema. La puntata puo’ essere rivista sul web di Report.
Oggi i maggiori organi di stampa ci informano che i crediti NON concessi alle imprese nell’ultimo, mi pare, semestre, hanno superato le somme dei crediti concessi creando insostenibile asfissia nel sistema produttivo, nonstante le banche italiane abbiano ricevuto centinaia di miliardi di euro dalla Banca Centrale Europea al tasso dell’1% per far ripartire l’economia. Io voglio menzionare, disquisendo solo in termini finanziari e non religiosi, i principi che regolano il funzionamento dell sistema bancario islamico, basato sul divieto coranico di addebitare gli interessi.
Il Corano vieta l’attribuzione di interessi (Riba) sul denaro prestato. È importante comprendere alcuni principi dell’Islam sui cui si fonda la finanza islamica. La Shari'ah si basa sui principi coranici così come sono stati fissati nel Sacro Corano e sulle parole e le gesta del profeta Muhammad (saw). La Shari'ah proibisce gli interessi (Riba) e gli economisti islamici sono ora concordi sul fatto che il termine Riba non si riferisce solo all’usura ma anche ai tassi di interesse. Le regole della finanza islamica sono piuttosto semplici e possono riassumersi nel seguente modo:
 a) qualsiasi pagamento predeterminato oltre e in aggiunta all’effettivo importo di denaro è vietato. L’Islam permette solo un tipo di prestito dove il prestatore non addebita alcun interesse o importo addizionale alla cifra prestata. Il principio sotteso a questa citazione enfatizza che benefici associati o derivati dal prestito sono proibiti;
 b) il prestatore deve dividere i profitti o le perdite derivanti dall’impresa commerciale per cui fu prestato denaro. L’Islam incoraggia i musulmani a investire il loro denaro e a diventare soci tra loro, dividendo i rischi e i profitti dell’attività commerciale piuttosto che diventare creditori. Come stabilito nella Shari'ah, ovvero la legge islamica, la finanza islamica si fonda sulla credenza che colui che fornisce il capitale e colui che lo utilizza dovrebbero spartire in ugual misura i rischi delle imprese commerciali, sia che si tratti di fabbriche, aziende agricole, compagnie di servizi o semplici attività commerciali. Tradotto in termini bancari, il depositante, la banca e il debitore dovrebbero tutti dividere i rischi e i guadagni derivanti dal finanziamento di imprese commerciali. Questo è differente dal sistema bancario commerciale basato sugli interessi, dove tutta la pressione è sul debitore: il debitore deve restituire il suo prestito, insieme all’interesse concordato, indipendentemente dal successo o dal fallimento della sua impresa commerciale.
Ciò che emerge da quanto detto è che l’Islam incoraggia gli investimenti affinché la comunità possa trarne beneficio. Tuttavia, l’Islam non desidera lasciare scappatoie per chi non vuole investire e correre rischi, ma preferisce piuttosto ammassare denaro o depositarlo in una banca in cambio di un aumento di questi fondi senza alcun rischio (tranne quello che la banca possa diventare insolvente). Di conseguenza, in base all’Islam, le persone devono investire correndo dei rischi oppure devono subire le perdite economiche determinate dalla svalutazione del denaro per l’inflazione derivante dal mantenere i loro fondi inattivi. L’Islam incoraggia il principio “maggiori rischi, maggiori guadagni” e lo promuove sbarrando tutte le altre strade disponili agli investitori. Lo scopo è fornire uno stimolo all’economia e spingere gli imprenditori a massimizzare i loro sforzi tramite investimenti ad alto rischio;
 c) guadagnare denaro dal denaro non è islamicamente accettabile. Il denaro è solo un mezzo di scambio, un modo per definire il valore di una cosa; non ha alcun valore intrinseco e quindi non dovrebbe poter generare altro denaro, tramite il pagamento di interessi fissi, semplicemente venendo depositato in una banca o prestato a qualcun altro. Lo sforzo umano, lo spirito di iniziativa e il rischio insito in un’attività produttiva sono più importanti del denaro usato per finanziarli. I giuristi musulmani considerano il denaro come capitale potenziale piuttosto che come capitale in senso stretto, nel senso che il denaro diventa capitale solo quando viene investito in un’attività commerciale. Di conseguenza, il denaro anticipato per un’attività commerciale sotto forma di prestito è considerato come un debito dell’impresa commerciale e non come un capitale e, in quanto tale, non dà diritto ad alcun profitto o interesse. I musulmani sono incoraggiati ad acquistare e sono scoraggiati dal mantenere il denaro inattivo, ragion per cui, ad esempio, ammassare denaro viene visto come inaccettabile. Nell’Islam, il denaro rappresenta il potere d’acquisto che viene considerato come l’unico uso legittimo del denaro. Questo potere d’acquisto (denaro) non può venire usato per creare maggiore potere d’acquisto (denaro) senza passare attraverso la tappa intermedia dell’acquisto di beni e servizi.
Trovo certamente interessante conoscere e studiare forme nuove per provare a spezzare il circolo vizioso messo in evidenza nel servizio di Report.
Grazie,
Renato Scuzzarello.

venerdì 20 aprile 2012

La corruzione

Era l’inizio dello scorso autunno quando io ed Anna passammo un piacevole fine settimana con alcuni compagni di corso e le rispettive consorti. Le ore passarono con la velocità di un fulmine dividendosi fra la degustazione di alcune leccornie emiliane e la musica dei favolosi anni sessanta. Non si parlò di politica e le stangate ora in atto non si conoscevano ancora; sfiorai il problema dello sviluppo economico e sociale con il solo Andrea Caso e, nella circostanza, alla sua domanda: “ma secondo te cosa bisognerebbe fare per migliorare la situazione?” risposi dicendo semplicemente:”bisogna eliminare la corruzione”. Andrea non commentò con parole la mia affermazione ma nel suo sguardo era evidente sia lo scetticismo che la rassegnazione: come è possibile che la panacea ai nostri problemi possa trovarsi nella lotta ad un male millenario che è insito nel genere umano!? Oggi sia i politici che gli opinionisti delle varie fazioni e/o ideologie e lo stesso Clero, inneggiano alla lotta contro la corruzione come la madre di tutte le battaglie, come la guerra santa capace di ridare purezza ad un popolo corroso dall’egoismo e dalla cattiveria ma i destinatari di questo messaggio sino a che punto sono disposti ad ascoltare? e ancora.. sino a che punto sono disposti a combatterla?
La corruzione del politico o del pubblico funzionario ha enormi ripercussioni sul funzionamento dell’apparato statale, sui conti pubblici e sull’economia di mercato; è quella, cioè, che genera l’indebitamento pubblico, la cattiva funzionalità dei servizi pubblici e il decadimento dell’economia con la riduzione dei posti di lavoro e la conseguente recessione. No amici, non incominciate a storcere il naso e a giudicare con scetticismo le mie parole; ragionate con me sugli elementi qui introdotti e vedrete che arriverete alle mie stesse conclusioni. Soffermiamoci sull’impatto nella economia di mercato - a mio avviso il più deleterio – e partiamo dall’assunto che lo Stato entra nell’economia sia indirizzandola (attraverso le partecipazioni ed i finanziamenti), sia in qualità di investitore. Nel primo caso è doveroso ricordare che lo Stato Corporativo, nato dalla necessità di superare i limiti del puro Stato liberale (limiti derivanti dall’infinito potere dell’alta borghesia imprenditrice a scapito della classe operaia) e dello Stato socialista (dove i ruoli si invertivano ma la solfa non cambiava) è stata un’idea tutta italiana (di Mussolini supportato da Corradini e Spirito) talmente valida ed innovativa che fu copiata anche dagli Stati Uniti. Il concetto era semplice, il dirigente statale, posto a capo delle corporazioni, era un elemento super partes che non fungeva da cinghia di trasmissione delle classi dominanti. Egli curava gli interessi del datore di lavoro e dei lavoratori, determinava i prezzi dei prodotti e premiava le imprese più redditizie chiudendo quelle che non erano capaci di reggere il mercato. Sappiamo tutti come è finito il fascismo e sappiamo anche che molti suoi interventi hanno resistito al suo disfacimento con una filosofia, però, totalmente diversa; oggi lo Stato partecipa in molte imprese ed indirizza, attraverso leggi e finanziamenti agevolati, moltissimi settori dell’economia (pensate alle leggi sulle case, sulle trasmissioni via etere, sull’agricoltura sul settore automobilistico etc. etc etc.) ma i dirigenti pubblici, autori di queste leggi, non hanno lo spirito del primordiale Stato Corporativo e, al contrario di questo, perseguono sempre solo ed esclusivamente interessi di parte; perché lo fanno!?..si è propensi a pensare che lo facciano per interessi di partito ma poi si scopre che l’interesse è sempre personale perché è legato al denaro ed al potere. Chi si lascia corrompere e per questo acquista partecipazioni che non valgono il corrispettivo pagato o cede beni pubblici a prezzi irrisori o finanzia imprese fasulle, non sta a guardare quanto tutto questo costi alla comunità, sia direttamente, attraverso l’aumento dell’indebitamento pubblico o il depauperamento del patrimonio, sia indirettamente, riducendo le possibilità operative delle imprese che non ricorrono alla corruzione.
Quando lo Stato funge da investitore e paga beni o servizi non in relazione al loro effettivo valore e alla loro reale funzionalità bensì in funzione della mazzetta intascata dal personaggio che ha deciso quell’investimento, il costo per la comunità è molto più evidente ma, ciò nonostante, non del tutto compreso. Tangentopoli, da qualunque parte si voglia vedere, ha messo in luce un fenomeno dilagante per il quale lo Stato pagava fior di miliardi ad imprese che evadevano le tasse attraverso le false fatturazioni e fornivano prestazioni inadeguate non controllate dal corrotto di turno … pensate al conseguente indebitamento pubblico, all’evasione fiscale e alle imprese che hanno chiuso perché gli appalti venivano dati ai soliti noti. Al di la delle deprecabili esternazioni di alcuni PM, quale è stato l’impatto di tangentopoli sul popolo italico?....fra non molto beatificheranno Craxi crocifisso da una magistratura faziosa e di parte.
Ciò che maggiormente distingue il nostro dagli altri popoli “più evoluti” è proprio il modo di percepire la conoscenza di fatti disdicevoli che vedono come protagonisti/attori i nostri dirigenti. In Germania o negli Stati Uniti, ad esempio, basta la falsificazione di una tesi di laurea o la pubblicazione di un solo adultero rapporto orale per togliere credibilità a personaggi pubblici; da noi i furti, la corruzione le menzogne etc. etc. etc. non scalfiscono i nostri “ideali” di partito perché la colpa è degli altri o comunque “sono tutti uguali”.
Ecco caro Andrea (Caso) cosa intendevo dire con la mia apodittica affermazione sulla corruzione: impariamo ad escludere dalla vita politica e sociale tutti coloro (qualunque sia il partito di appartenenza) che abbiano dato fondato motivo per essere considerati corrotti o disonesti e le cose andranno senz’altro meglio. Pensa a quanti imputati, condannati, prescritti, comprati, etc. etc. siedono in Parlamento e vivono (bene) a spese nostre..credi che questi faranno mai qualcosa per la comunità?
Un abbraccio,
Francesco

lunedì 16 aprile 2012

Aridatece er Puzzone!!!

Da più parti, anzi quasi da tutte si sente dire che “senza i Partiti non c’è Democrazia” (le maiuscole, per sottolineare il concetto astratto) e, quasi sicuramente, sarà così in tutti i Paesi maturi ed avanzati; purtroppo per noi, in Italia quei due sostantivi si possono e si devono scrivere solo con la minuscola, pur rispettando tutte le altre parole che si scrivono con la minuscola.
Ma siamo sicuri che esiste un rapporto diretto, biunivoco tra partiti e democrazia, non importa quanto e quali siano lo squallore e l’impotenza dei partiti stessi? Siamo sicuri che i “nostri” partiti siano l’unico baluardo contro eventuali velleità autoritarie? Non è, invece, che la frenetica bramosia auto-conservatrice di queste cattedrali dell’inefficienza, dello spreco e delle ruberie sia il motore che trascina nel discredito quelle Istituzioni che dicono di voler salvaguardare? Non è, insomma, che i primi “antipolitici” sono proprio e solo loro?
Per cercare di dare una risposta (almeno la mia) a questi interrogativi, vorrei ripercorrere con Voi, invece, le tappe della nostra vita che, nonostante l’abbiamo vissuta “al riparo dei muri delle nostre caserme” (come ci o almeno mi viene rinfacciato spesso e volentieri), in qualche maniera è stata influenzata o, peggio, condizionata da quello che avveniva al di là di quei muri.
Noi siamo la generazione che ha avuto l’infanzia e la giovinezza condizionate dai postumi terribili e tremendamente avari di quattrini del dopoguerra ma con una classe dirigente capace ed onesta; che ha avuto una maturità di decoroso benessere ma con una classe dirigente sempre meno capace e sempre meno onesta; che sta avendo una (quasi) vecchiaia dominata dall’incertezza per il futuro e con una classe dirigente oramai divorata dalla corruzione e dall’interesse privato: diciamo pure che non ci siamo fatti mancare niente! Ma siamo stati anche la generazione delle grandi illusioni: da quelle élitarie sessantottine a quelle meno nobili del post tangentopoli. Come tutte le illusioni, entrambe promettevano qualcosa di migliore, rispetto a quello che si ripromettevano di combattere ed eliminare; entrambe hanno fallito clamorosamente: la prima per il degrado e l’appiattimento culturale e morale che ha generato, la seconda perché ha eliminato solo la superficie del malaffare, non le radici, consentendogli, araba fenice del XXI secolo, di rifiorire più florido ed arrogante di prima.
Pensateci bene: venti anni fa, finiva un’epoca (la cosiddetta 1^ Repubblica) con le mani in mezzo ai quattrini; oggi ne finisce un’altra (anch’essa “cosiddetta”) sempre con le mani in mezzo ai quattrini. Abbiamo perso venti anni! 
Ma, questo, sarebbe il minimo in confronto alle valanghe di cazzate con cui siamo stati sommersi, alle legioni di portatori d’acqua fatti assurgere ai più alti scranni istituzionali, allo sterminato sottobosco che ne era l’humus di cultura, insaziabile nella sua voracità.
Mi direte che, anche nella 1^ non è che le cose andassero meglio e, forse, è vero pur con tanti distinguo; però, la cosa non era così sfacciata, non traspariva tanta arroganza, si può quasi dire che c’era stile; erano sì tutti ladri ma apparivano come degli Arsène Lupin e non come dei borgatari ignoranti e famelici.
Ci fottevano allora come ora ma sapevano discutere senza alzare alcun dito; conoscevano altre parole oltre a vaffa; sapevano prenderci in giro senza salire su i predellini o senza ricorrere a riti esoterici o pozioni magiche; avevano un guardaroba con qualcosa in più oltre le canottiere; facevano i puttanieri senza sputtanarsi; andavano in giro per il mondo senza essere spernacchiati; avevano o ci facevano credere di avere una Idea politica per la quale valesse la pena battersi; e così via....
Ora, Idee non ce ne sono più e quelle che vengono millantate per tali sembrano uscite dall’ultima edizione de “Il corrierino dei piccoli”; ora siamo condannati a sperperare somme enormi per consentire le porcate più porche non a favore dei cosiddetti “partiti” ma di pochi intimi, più o meno “magici”; ora, il futuro del nostro Paese è nelle mani di “capi” che vivono nella totale “insaputa”, tanti “Alice nel paese delle meraviglie”, che preferiscono passare come degli ingenui (eufemismo) piuttosto che ammettere il loro menefreghistico lassismo.
Se questo è il prezzo che si deve pagare per avere una Democrazia, allora.....aridatece er Puzzone!!!
 Un abbraccio a Tutti,
Ettore.

sabato 14 aprile 2012



Cari Amici, 
gli ultimi accadimenti nella vita politica del nostro Paese ed in particolare le discussioni legate al finanziamento dei partiti, le distorsioni del sistema e la soluzione prospettata dai Segretari dei maggiori Partiti presenti in Parlamento, mi hanno indotto a scrivere il seguente messaggio nei siti web disponibili di Alfano, Bersani e Casini:
Presidente ...
da Cittadino che ha servito con dignità e passione lo Stato in una delle più stimate Istituzioni, Le chiedo di dare un messaggio consistente e visibile a tutti noi che siamo abituati a fare il nostro lavoro in silenzio, ad esprimere le nostre idee nel rispetto di quelle degli altri, a seguire le regole. Ci sono stati chiesti ed immediatamente imposti sacrifici ed abbassamento del nostro tenore di vita; lo facciamo. I partiti ed i loro rappresentanti in tutti i Parlamenti e Consigli nei vari livelli della PA non possono essere considerati esenti e non si può rimandare di adottare i provvedimenti di rigore che li riguardano. Non e' possibile imporre subito e molto ai tanti e soliti noti senza voce e nello stesso tempo, di fronte alla stessa emergenza economica, insediare commissioni che studieranno, valuteranno, produrranno etc. quando si tratta di politici ed alti funzionari dello Stato con doppi stipendi o pensioni ed altissimi emolumenti e buonuscite. Questo atteggiamento e' profondamente deleterio ed uccide valori quali la coerenza, l'onesta' intellettuale, l'amore per le Istituzioni.
Nella speranza che questo messaggio arrivi a Lei o Le possa essere sintetizzato da un collaboratore, Le porgo i migliori Auguri per un buon lavoro nell'interesse della collettività.
Renato Scuzzarello.

Non ho certo l'ardire di pensare di riuscire a cambiare le cose, ma ho il diritto di dire, sinteticamente in relazione agli spazi disponibili, quello che penso. Se siamo in tanti ad intervenire, forse qualcosa si potrà muovere.
Un abbraccio a tutti,
Renato.

giovedì 12 aprile 2012

Liberalizzazioni casalinghe

L'occasione di incontro è stata una foto di una terza elementare del 1957 della scuola di San Giuseppe a Sassari pubblicata sul quotidiano La Nuova Sardegna. Con un filo di emozione di nuovo tutti insieme dopo 55 anni, ognuno col suo ricco bagaglio di una porzione grande di vita vissuta prevalentemente nel mondo cittadino …
Ma poiché è tempo di liberalizzazioni ed io ancora non ho capito bene come queste liberalizzazioni possano (almeno parzialmente) riequilibrare il vigoroso salasso che i “professori” stanno perpetrando, ho profittato dell'occasione per chiederlo a due miei compagni di scuola, uno tassista e l'altro farmacista.
Mi dice Mariano, il tassista: “Appartengo ad una categoria che lavora 10 ore al giorno, 6 giorni su 7 e in estate anche 7 su 7. Spesso lavoro quando la maggior parte dei lavoratori italiani fanno festa. Abito in una casa modesta, in un quartiere popolare. Faccio questo lavoro da 40 anni e quando si parla di liberalizzazione tirando in ballo la mia categoria mi fa pensare che qualcuno voglia prendere in giro gli italiani. Ma siamo sicuri che questa benedetta liberalizzazione sia la panacea di tutti i problemi italiani? Ha la capacità di dimezzare lo SPREAD, aumentare il PIL, ridurre la disoccupazione, il debito pubblico? In realtà occorre riflettere sul fatto che il volume di affari globale per l'attività dei taxi a Sassari, come in qualunque città, è un dato che non varia nel corso degli anni. Per fare un esempio è, diciamo, una torta di 5 chili da mangiare in 50 persone. Se aumentano i partecipanti, non diventa più grande la torta, soltanto spetta una fetta più piccola a ciascuno. Se una mattina un datore di lavoro riunisse tutti i suoi dipendenti per dare loro un annuncio importante: assumere altre tre persone per ogni lavoratore; sembrerebbe un ottima soluzione che consentirebbe di ridurre la disoccupazione e far ripartire l’economia. Ma naturalmente manca un passo: il vostro datore di lavoro dividerebbe la paga per 4 (lui non può rimetterci!). Ecco, liberalizzare le licenze Taxi non vuol dire moltiplicare il lavoro né diminuire il prezzo delle corse; al contrario nel giro di pochi mesi i 70 (circa) tassisti di Sassari magari diventerebbero 200, riducendo notevolmente l’incasso giornaliero pro capite; poiché i costi di esercizio rimangono invariati, in poco tempo i 200 tassisti si troverebbero tutti a far la fame o, per salvarsi, cercare di rivalersi con i malcapitati clienti (controllate che cosa sta succedendo in Irlanda dopo la liberalizzazione!). Credo che pochissimi sappiano quanto guadagna un Tassista al giorno. La media giornaliera degli incassi si aggira sui 120 euro, dai quali bisogna tirar via le spese: il costo del carburante, le tasse, l’Inps, Inail, il commercialista, il costo dell’auto, la manutenzione, l’assicurazione, il bollo , il canone del tassametro ecc … Naturalmente occorre anche sperare,di stare sempre in buona salute e che l’auto funzioni , in caso contrario sono mancati incassi! Sento dire spesso che a Sassari mancano i taxi; questo succede raramente altrimenti non ci sono tempi di attesa. Ma se anche fosse, perché la gente non si lamenta per le file oceaniche all'Equitalia, in Banca, alle Poste ed al supermercato?”
 Interviene Luigi, il farmacista " Io intanto non riesco a capire perché venga chiamato liberalizzazione quello che più propriamente è il potenziamento del servizio di distribuzione farmaceutica e meno ancora riesco a capire come possa giovare al benessere economico del Paese. Si aumenta il numero delle farmacie, ma senza cambiare la struttura della distribuzione farmaceutica e soprattutto senza razionalizzarla. Questo porta inevitabilmente ad un aumento dei costi. Questo è un miglioramento? In Italia le medicine si acquistano oggi in farmacia e domani sarà lo stesso. Avrebbe meritato il nome di liberalizzazione qualcosa che avesse consentito al mercato di stabilire qual è la struttura di distribuzione ottimale, fermi restando i controlli sulla vendita delle medicine soggette a ricetta e il servizio garantito anche alle piccole comunità. Invece no, nel 2012 il Governo delle liberalizzazioni "liberalizza" le farmacie preservando l' obsoleto piccolo negozio familiare, anzi ne espande il numero. A Sassari le farmacie non mancano, ce n'è già una ad ogni angolo ed è normale che una di loro faccia pure servizio notturno. In Italia ci sono poche farmacie? Dubito. Un risultato questa pretesa liberalizzazione avrà: aumentando il numero di farmacie, i loro titolari saranno meno ricchi e meno invidiati dagli altri commercianti, quelli esposti alla concorrenza, nonché dai comuni cittadini. Questa è equità, ma di stampo caccia ai kulaki. La pretesa liberalizzazione delle farmacie vuole che aumenti la spesa farmaceutica, che in gran parte è a carico dello Stato? Con un maggior numero di farmacie, le vecchie magari si rimpiccioliranno, ma sicuramente quest'effetto sarà più che compensato dai nuovi occupati nelle nuove farmacie e, nel complesso, nel settore certo lavoreranno più persone, ci saranno più affitti da pagare, i costi complessivi saliranno. Che senso ha? Ci sono esempi di liberalizzazioni che hanno dato pessima prova, dalle agenzie bancarie alle linee aeree; l' abolizione del numero chiuso ha portato ad un sovra investimento: troppe agenzie, troppe linee aeree, che invariabilmente è stato seguito da una razionalizzazione che ha messo sulle spalle dello Stato i dipendenti in eccesso assunti nella fase di boom. Se la logica economica dice che il modello della farmacia posseduta dal farmacista non è ottimale, è assurdo aumentarne il numero”.
Ferma restando la mia ignoranza, quel poco che ho capito (e che forse era di mio interesse capire) è che, come qualunque cittadino normale, dalle “liberalizzazioni” non risparmia niente.
E' così? Aiutatemi a capire: Grazie e ciao a Tutti,
Pierfranco.
 P.S. Io sono il terzo da sinistra in prima fila, quello in berretto e capotto è il farmacista e il primo in alto a sinistra è il tassista.

martedì 10 aprile 2012

La guerra nella guerra

La massificazione delle notizie, la loro sovrapposizione, la rincorsa a ciò che può creare scandalo, rendono assai diverso il mondo attuale rispetto a quello che hanno vissuto i nostri genitori ed, in parte, abbiamo vissuto noi sino all’inizio degli anni ‘80. Chi, come noi Carabinieri, aveva l’obbligo di comunicare tempestivamente al Centro e, a scendere, fino al livello comando di gruppo, immediatamente superiore a quello del proprio livello,avvenimenti di rilievo, riusciva il più delle volte nell’intento. Le attività dei giornalisti, sempre che non fossero alimentate da scoop, giungevano successivamente . Questo apparente rallentamento del circuito mediatico consentiva il raggiungimento di un importante obiettivo: se da una parte , infatti, occorreva essere sempre molto attenti alla vita del territorio, dall’altra gli eventi importanti, l’omicidio, la strage, l’inondazione o il terremoto, restavano fermi nell’immaginario collettivo e non venivano facilmente dimenticati.
Perché tutto questo preambolo? Lo ho fatto per evidenziare come la Storia, anche se drammatica, sia stata vissuta da me, in questi ultimi venti anni, come un susseguirsi stratificato di emozioni, spesso difficili da incasellare e da mettere in relazione tra di loro. Ed allora ben vengano le rievocazioni, ancora più importanti quando servono a mobilitare coscienze, come la mia, sopite, quasi disinteressate. E, in questa ottica, ho tratto grande beneficio nel partecipare , in occasione del ventennale della Guerra di Bosnia e dell’assedio di Sarajevo, all’anteprima della proiezione del film documentario “ MILLE GIORNI A SARAJEVO “ di Giancarlo Bocchi.
Siamo nel 1994,e l’Autore fa una scelta di vita: giornalista-regista, decide di documentare, stando con loro, l’impegno di tre cittadini di Sarajevo nella prima linea della loro Città martire. Accerchiata per mille giorni, gli abitanti non si definirono soldati, non si ritennero “impiegati della guerra”, difesero con tanto sacrificio, fino a quello della vita, il loro territorio.
Alija, ex funzionario televisivo, Graca, un grafico di un giornale, Hidajet, un ex manager di una grande azienda di Stato, si incamminavano al tramonto verso la prima linea e ritornavano la sera dopo, al calar delle tenebre. Sembrava che facessero un lavoro qualsiasi, capace di spezzare dentro anche l’uomo più coriaceo, facendogli accettare la banalità dell’orrore, la quotidianità dell’assassinio.
Bocchi ha avuto il merito di penetrare con gli occhi propri e della telecamera in una guerra così dolorosamente inspiegabile ed avvolta dalle nebbie della storia, come quella jugoslava, vivendo la drammaticità degli eventi , con un vissuto del tempo che è reale, correndo il rischio di essere colpito, accomunandosi ed accompagnandosi ai combattenti assediati, fin nelle loro ragioni di disperazione e rassegnazione, insieme.
La visione della pellicola, trentatre minuti, non lascia spazio a scene di sangue, di morte anche se la Morte è protagonista assoluta del filmato. Parlano di Essa i muri delle case, colpiti da cannonate senza risparmio, i boschi senza alberi, tagliati per la cottura dei cibi e per il riscaldamento, gli abiti a brandelli della popolazione, le corse disperate per l’attraversamento delle strade, sottoposte al tiro implacabile dei cecchini. E’ un film sul “ tempo ”. Della vita, della morte e della “Storia”. Il “tempo” sulla prima linea si dilata, fino a sembrare tutto irreale, senza tempo. Un minuto può durare un anno, un giorno una vita eterna. In trincea tutto si annulla. Un secolo intero, il ’900, si appiattisce tra le trincee della Prima guerra mondiale e quelle della Guerra di Bosnia. Vincitore di molti premi, il film, acquistato dalla RAI, non è stato mai programmato. Mancanza di sangue, assenza di morte evidente? Forse, se i tentativi di rimontarlo con spezzoni tragici di scene di quel martirio hanno trovato il netto rifiuto dell’Autore.
Anche il filmato “il tunnel segreto di Sarajevo”, di cui è stato proiettato uno spezzone della durata di tre minuti, è un documento unico, di rilevanza internazionale. Esso riprende il percorso sotterraneo dell’unica via di rifornimento dall’esterno della cinta di assedio verso la Città. I guadagni, realizzati per il noleggio orario dell’unica via di sopravvivenza, devono aver avuto ragione della più bieca cattiveria verso la popolazione . Ma la importanza della testimonianza non ha convinto la RAI del tempo che ne ha ostacolato l’acquisto poco prima della messa in onda. E , così , fu pure per il documentario “ Morte di un pacifista “ che svelava i retroscena dell’assassinio di Gabriele Moreno Locatelli, l’unico italiano che perse la vita durante l’assedio di Sarajevo. Il filmato portò all’apertura di un’inchiesta giudiziaria internazionale ed alla concessione dell’autorizzazione a procedere del Ministero della Giustizia per “omicidio politico commesso all’estero”. La pellicola in seguito fu acquistata e mandata in onda da TELE+ ( oggi Sky TV ).
A vent’anni dal conflitto si può dire che, all’epoca, ci fu “una guerra nella guerra”. Una guerra contro le falsificazioni, le manipolazioni, l’occultamento della verità. Una guerra combattuta da pochi contro molti. Una guerra triste, come tristi sono tutte le guerre, che ha visto morire 11600 abitanti di Sarajevo, che ha sterminato, ad opera di cecchini, 1100 persone di ogni età e sesso, bambini compresi.
Una guerra spietata, una città devastata, un’economia rimasta segnata dalla povertà e con minime speranze di affrancarsi dal mare oscuro delle divisioni etniche allorquando le forze di interposizione lasceranno quelle genti a regolare i loro conti di incultura, odio, ignoranza.
Una guerra dimenticata, in un’ Europa distratta e colpevolmente assente.
Un abbraccio a Tutti,
Carlo Minchiotti.