venerdì 17 luglio 2009

Guarda te 'sti Abruzzesi !!!!

Due articoli (uno da "Vox Militiae" -Dir. Suffoletta- e uno inedito) di Giovanni Papi.


ANCORA SULL’ 8 SETTEMBRE 1943




Ho assistito alla 1a giornata del convegno della Vox Militiae del 18 novembre 2008 sul tema “La guerra di Liberazione in Italia: il ruolo dei militari e la Memoria nelle Forze Armate” apprezzando gli interventi, in particolare quello del prof. Dante che considero tra i più approfonditi ed obiettivi.
Tra le varie problematiche sono emerse, a mio avviso, perplessità circa :
1. la scarsa disponibilità di fonti o la loro accessibilità;
2. il ritardo nella memoria della tragedia di Cefalonia ;
3. la scarsa considerazione da parte dei vertici militari alleati delle truppe italiane inquadrate nei
reparti impiegati nella battaglia di Montelungo.

Mi interesso da sempre della Storia della Guerra di Liberazione in quanto mio padre vi partecipò (meritando un Encomio Solenne nel Fronte di Cassino) e perciò ho letto e raccolto molti libri sul tema. Tra questi due mi hanno colpito particolarmente in quanto risalgono a date che li pongono all’avanguardia di quanto si è scritto successivamente.
Nel primo, “Bandiera Bianca a Cefalonia”, edizione Feltrinelli (1963), se i fatti storici ed i nomi dei protagonisti tedeschi sono, come penso, veri allora bisogna riconoscere che se si fosse voluto indagare non avremmo dovuto attendere il famoso “armadio della vergogna” del tribunale militare di Roma per iniziare a ricordare e studiare quella tragica pagina della nostra recente storia.
Fa male dover ammettere che l’opinione pubblica si è interessata ai fatti in occasione della uscita del film “Il mandolino del Capitano Corelli“ che, a mio parere, ricalca, in qualche modo e male, proprio la trama del libro.
Nel secondo, “Roma 1943” di Paolo Monelli, stampato nella libreria del Senato nel febbraio del 1945, l’autore descrive i fatti avvenuti a Roma in particolare il 25 luglio e l’8 settembre del 1943. Quei fatti l’autore li ha vissuti personalmente o ne ha avuto conoscenza diretta e precisa. Quello che mi ha colpito in questo libro, che è una cronaca di avvenimenti con le considerazioni dell’autore, é l’assoluta mancanza di professionalità politica, amministrativa e militare dei vertici del nostro disgraziato paese.
Io non biasimo la “ fuga “ del re ma il modo in cui fu organizzata e condotta. In ogni epoca storica ed anche nella IIa G.M. le famiglie regnanti hanno, in caso di pericolo imminente, spostato la sede del regno per far sopravvivere la dinastia e la nazione. Quello che invece fa ribollire il sangue nelle vene è che a questa fuga si unirono il Capo del Governo ed i vertici dello Stato Maggiore Generale dell’Esercito e chi avrebbe dovuto difendere Roma (Gen. Ambrosio, Gen. Rossi e Gen. Carboni).
Il libro racconta anche della visita segreta, nella notte tra il 6 e il 7 settembre, del Generale americano Taylor (che sarà il Comandante in Vietnam ) venuto a coordinare, con il Gen. Carboni (?) l’imminente sbarco di truppe americane aviotrasportate a Roma per incrementarne la difesa in occasione dell’armistizio già firmato e di prossima diffusione.
Ebbene il Generale americano fu costretto ad annullare l’operazione già in atto con le truppe imbarcate sugli aerei, perché si trovò di fronte delle persone pusillanimi ed incompetenti preoccupate solo della loro incolumità!
E questo fu il motivo per cui l’annuncio dell’armistizio fu diffuso immediatamente dagli Alleati e colse di sorpresa tutti i vertici civili e militari che si giustificarono per questo delle sciagure che ne seguirono: ma se fosse stato annunciato quando se lo aspettavano (quattro o cinque giorni dopo) sarebbe cambiato qualche cosa? Forse si, perché ci sarebbero state almeno due o tre Divisioni tedesche in più in Italia aumentando l’alibi della assoluta impossibilità di qualsiasi difesa.
E così l’8 settembre 43 con un colpo solo l’Italia si attirò l’odio dei Tedeschi e contemporaneamente la diffidenza dei nuovi Alleati. Va anche ricordato che nei giorni seguenti l’armistizio l’Italia, e quindi i suoi soldati, non ebbe una posizione definita nell’ambito del conflitto, cosa di cui approfittarono subito i tedeschi che non riconobbero come combattenti regolari quei militari che, per il proprio singolo eroismo, resistettero da subito. E questo inizio immediato delle azioni di resistenza alle forze tedesche fu provocato dalla consapevolezza errata che la Nazione fosse ancora unita e soprattutto che le sue istituzioni fossero al loro posto a coordinare e dirigere insieme ai Comandanti intermedi. Io credo che l’8 settembre ogni soldato pensasse di avere ancora sopra di sé un Comandante di Reggimento, uno di Divisione, uno d’Armata e così via fino allo Stato Maggiore Generale ed il Governo. Quando si accorse, purtroppo dopo breve tempo che, salvo casi isolati, questa catena di comando e le istituzioni non esistevano più , allora fu il momento delle scelte individuali che a volte furono dettate da coincidenze e dalla posizione geografica in cui ogni singolo si trovava. Ad esempio mio padre si trovava in Puglia con la Divisione Piceno e per lui non vi fu bisogno di scelte perché il suo Reparto transitò gerarchicamente unito nel nuovo Esercito Italiano mantenendo fede al giuramento prestato al Re. Viceversa alcuni suoi amici e colleghi, che si trovavano al Nord, continuarono a combattere contro lo stesso nemico da tre anni e per questo alla fine della guerra furono “discriminati” e poi riabilitati per poi ritrovarsi nuovamente colleghi ed amici nell’ Esercito repubblicano.
A queste voglio aggiungere anche altre due brevi note.
La prima, ritengo che chi ha tratto maggior profitto dall’uscita dell’Italia dall’alleanza con i tedeschi sia stata l’Unione Sovietica che ha visto ridursi il numero delle Divisioni Tedesche impiegate contro l’Armata Rossa sul fronte orientale e penso che non sia improbabile un accordo segreto con Stalin che avrebbe garantito al Re una sorta di tregua politica la cui ratifica fu la svolta di Salerno da parte di Togliatti. E dulcis in fundo vale la pena di ricordare che il Re Vittorio Emanuele III scelse per la sua fuga la stessa via Tiburtina che 83 anni prima suo nonno Vittorio Emanuele II aveva percorso da Pescara a Popoli per recarsi all’Assedio di Gaeta. Che sia la Nemesi storica? E quale esempio di dignità offrì invece Francesco II di Borbone che si trasferì a Gaeta ma che resistette eroicamente, al di là della storiografia ironica che lo circonda, e che, comunque, risparmiò ai suoi sudditi una campagna militare nel capoluogo del Regno che avrebbe causato lutti e distruzioni ancora peggiori di quelli di Gaeta. E’ curioso ricordare che ancora ai primi del ‘900 i Gaetani continuavano a reclamare i danni di guerra che non erano stati ancora risarciti: nulla di nuovo sotto il sole!


A SULMONA UN ESEMPIO DI VERITA’ STORICA.



In occasione della presentazione del saggio “Il Passaggio: Sulmona 1943-1945“ , scritto dall’Architetto Prof. Raffaele Giannantonio, credo che a Sulmona, e forse per la prima volta in Italia, si sia raggiunto il massimo dell’obiettività e della verità storica riguardo agli argomenti che sono oggetto del libro.
Il volume descrive quanto successe in Sulmona negli ultimi anni della II G.M. dopo l’8 settembre 1943 : il “passaggio” dal Fascismo all’occupazione tedesca, dalla Liberazione fino alla nascita della Repubblica. I fatti sono circoscritti alla città ma sono strettamente connessi con i grandi eventi internazionali che caratterizzarono quegli anni.
Questo lo scenario di quanto é avvenuto e che considero un grande esempio di ricerca della verità e di serena valutazione da parte di tutti coloro che sono intervenuti in gran numero.
Al termine del suo approfondito e chiaro intervento, il Prof. Giannatonio ha dato la parola a tre testimoni di quegli eventi ( dei quali non faccio il nome per riservatezza ) : un reduce della gloriosa Brigata Maiella , un cittadino sulmonese di religione Ebraica ed il figlio di un membro del partito fascista assassinato il 1 Maggio 1945 in una cittadina del Nord ove si era recato dopo l’8 settembre 1943.
L’intervento del reduce della Brigata Maiella ha commosso il pubblico per il ricordo di un giovanissimo caduto e per l’assoluta dimostrazione di disinteresse personale e dei grandi ideali che sostenevano la lotta di tutti gli appartenenti alla Brigata. Infatti quei giovani lasciarono la loro terra che, desidero sottolinearlo, era già libera e proseguirono la loro lotta risalendo la penisola combattendo, inquadrati nelle forze regolari .
Questo, a mio avviso, é il migliore esempio della Guerra di Liberazione che fu combattuta con onore fino al 25 aprile del 1945.
Poi è stata la volta del signore di religione ebraica le cui parole hanno colpito me e penso anche altri, come una fucilata per la loro imprevedibile sincerità : quando era bambino e dopo la promulgazione delle infami leggi razziali, nessun fascista ebbe a rivolgere molestie o minacce di alcun tipo ne a lui ne alla sua famiglia. Anzi ricordava che,una volta in cui fu fatto oggetto di percosse ed insulti da parte di alcuni giovani teppisti, intervenne proprio un fascista in divisa (un “gigante” mi sembra che così lo abbia definito) che con modi molto bruschi allontanò gli aggressori e, se non ho capito male, questo signore in divisa era proprio il padre dell’altro testimone di quegli anni che ha parlato subito dopo.
I guai per la sua famiglia cominciarono con l’occupazione tedesca ma con l’aiuto della popolazione locale non mancarono nascondigli e sostegno. Fu una lettera anonima a denunciarli ai tedeschi e, racconta ancora il testimone, la fortuna volle che una parente fosse l’interprete ed il comandate un austriaco che non informò la Gestapo : anche quella volta fu sufficiente cambiare nascondiglio.
Infine ha parlato il figlio di un fascista che, per tenere fede alle sue convinzioni, lasciò moglie e figli ed aderì alla Repubblica di Salò: quanto dolore ma quanta pacata serenità nelle sue parole . Finalmente in pubblico ha potuto raccontare la storia di suo padre che, consegnatosi ai Carabinieri alla fine di aprile del 1945 , fu prelevato con la forza da sedicenti partigiani e ammazzato come un cane al bordo di una strada il 1° maggio. Come già accennato, mi sembra di aver capito che il difensore del giovane ebreo sia stato proprio questo “repubblichino”.
Anche in questo caso, ed inaspettatamente, il pubblico presente ha tributato un applauso alla memoria di quel padre ucciso lontano dalla moglie e dai figli. Il testimone poi ha voluto sottolineare che fu grazie al fatto che sua madre lavorasse all’ospedale che poterono superare ogni avversità anche economica. Ha anche ricordato che alla madre infermiera fu concessa un medaglia d’oro per l’impegno profuso nella cura dei feriti di un bombardamento avvenuto nell’agosto del 1943 a Sulmona.
Non mi aspettavo che queste cose potessero essere dette in pubblico anche alla presenza di autorità provinciali di chiara collocazione politica. E il merito, ritengo, va tutto al Prof. Giannatonio, che ha avuto il coraggio di inserire queste testimonianze autentiche nell’ambito del periodo storico di interesse della pubblicazione.
Un periodo particolarmente difficile di cui tuttora si discute ma che, grazie anche a testimonianze come quelle appena ricordate, appare più chiaro e meno intriso di interpretazioni di parte. Sono testimonianze come queste che rendono sempre meno netta la separazione tra buoni e cattivi ma solamente tra vincitori e vinti.
Ed infine la dott.sa D’Aurelio, organizzatrice dell’evento, ha chiesto ed ottenuto dai presenti un attimo di raccoglimento in onore di tutti i caduti senza distinzione di parte e questa mi è sembrata la degna conclusione di una serata che ritengo faccia onore alla città di Sulmona la cui millenaria storia si arricchisce di questo evento che è degno di essere portato all’attenzione di una platea ancora più ampia di quella che ha avuto la sera del 15 gennaio 2009.
Giovanni Papi

mercoledì 15 luglio 2009

Ancora sul nostro Quarantennale

Carissimo Ettore,
casualmente, alla stessa ora della tua spedizione, oggi, dopo sei giorni, mi è giunto il "paccone", altro che " pacchetiello".
Colgo l'occasione per complimentarmi con te e con quanti hanno collaborato alla realizzazione della stessa perchè avete svolto un lavoro realmente egregio.
In particolare, mi ha colpito come avete affrontato la realizzazione del Numero Unico a cui ero particolarmente sensibile: avete fatto le cose con molto garbo.
Bravi veramente.


Michele Coppola

martedì 14 luglio 2009

Intercettazioni .

Il buon Ettore mi ha invitato a parlare della questione “intercettazioni” curando l’aspetto “tecnico” più che politico e credo sia necessario spiegare, preventivamente e sommariamente, come si applica la legge nel nostro ordinamento.
La legge è un insieme di norme pensate ed emanate in un determinato periodo (funzionale quindi al modo di vedere e alle esigenze di quel momento) al fine di regolare casi astratti, casi cioè che potrebbero verificarsi nel futuro. Applicare la norma significa verificare se il caso concreto (cioè realmente successo) è inquadrabile esattamente in quello astratto, cioè in quello pensato da colui che l’aveva emanata. Nell’applicazione della norma, quindi, lo sforzo interpretativo da parte degli operatori (amministrazione, polizia giudiziaria, avvocati, giudici) assume una importanza fondamentale e tale interpretazione dovrà, necessariamente, prevaricare i limiti della letteralità. Pensate alla fedeltà coniugale espressamente sancita dal Codice Civile come dovere fondamentale del matrimonio ma la cui importanza, nell’addebitabilità della separazione a carico dell’infedele, sta perdendo sempre più peso sino a svanire del tutto quando si riesce a dimostrare che l’amore coniugale era già finito per altri motivi o che le “corna” venivano messe in maniera discreta.
Parlare, quindi,tecnicamente di una norma giuridica enunciandone solo il testo, ha poco senso tant’è che se prendete un qualsiasi manuale di diritto, vedrete che a commento di ciascun articolo troverete decine di pagine che riportano il relativo pensiero interpretativo, sia da parte della dottrina (i professori) che da parte dei giudici.
L’intercettazione è uno strumento probatorio, permesso e regolato dal Codice di Procedura Penale, per i seguenti delitti: delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore al massimo a cinque anni; delitti contro la Pubblica Amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni; delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope; delitti concernenti le armi e le sostanze esplosive; delitti di contrabbando; reati di ingiuria, minaccia, molestia o disturbo tramite telefono; pornografia minorile. Di regola essa è autorizzata dal Giudice per le indagini preliminari, con decreto motivato, su richiesta del Pubblico Ministero ma, nei casi in cui si ritiene che il ritardo possa creare pregiudizio, è lo stesso Pubblico Ministero a disporla con successiva convalida (entro 48 ore) del GIP. Le intercettazione possono essere effettuate entro un determinato limite temporale e all’interno di un budget di spesa stabilita nel bilancio dello Stato.
In sostanza, il potere legislativo determina i casi per i quali è possibile intercettare; il potere giudiziario usa l’intercettazione per esercitare l’azione penale; il potere esecutivo la esegue attraverso gli organi di polizia che materialmente intercettano e provvede a pagarne la relativa spesa.
Nel mese di giugno del 2008, il Governo stravolgeva completamente la situazione in atto in quanto modificava, con decreto, i reati per i quali era ammessa l’intercettazione (eliminando la corruzione), stabiliva il completo black out per la stampa nell’uso delle intercettazioni e riduceva drasticamente la relativa spesa di bilancio. Da allora, grazie al diniego del Presidente Napolitano e a contrasti nella stessa maggioranza, il testo è stato più volte modificato sino a giungere a quello recentemente approvato dalla Camera e per il quale l’On. Schifani ha chiesto un periodo di riflessione.
Le questioni ora contestate dai politici (tutta l’opposizione e parte della maggioranza), dai Giudici e dalla stampa, riguardano le seguenti disposizioni: le intercettazioni saranno possibili solo quando sussistono evidenti indizi di colpevolezza; se il Magistrato procede contro ignoti non potrà chiedere intercettazioni; i limiti di tempo sono ridotti; le intercettazioni richieste dal Pubblico Ministero non potranno più essere autorizzate da un solo Giudice ma da un Collegio di tre Giudici con decreto motivato; sono previste sanzioni pesantissime per chi pubblica le intercettazioni (la stampa) e per chi la richiede impropriamente (la magistratura); è ridotta drasticamente la spesa per le intercettazioni.
Non vorrei riportare percentuali da me non controllate e per questo, come per le considerazioni che seguono, mi piacerebbe sentire il commento dei nostri amici Carabinieri ma non credo di allontanarmi troppo dalla realtà affermando che le intercettazioni, combinate con le delazioni, hanno permesso, sino ad ora, di scoprire e punire la stragrande maggioranza dei reati sopra descritti. Bisogna quindi comprendere, al di là della logica politica, come queste nuove disposizioni, se diventassero legge nel testo ora approvato, potrebbero modificare l’efficacia di questo mezzo probatorio.
Lascio a Voi ogni considerazione e/o previsione sull’argomento e, per una migliore valutazione, Vi invito a vestire i panni degli organi di polizia, che dovranno garantire lo stesso lavoro e gli stessi risultati in un tempo più breve e con meno soldi, e dei giudici che dovranno interpretare esattamente quell’”evidente colpevolezza” prima di autorizzare le intercettazioni. Per quanto mi riguarda, da operatore del diritto ritengo che oggettivamente questo mezzo perderà molto della sua efficacia e da ex dipendente pubblico penso ai tempi in cui era difficile addestrare i miei trasmettitori con la benzina contingentata o assumere iniziative con il dubbio di essere mal giudicato e mal valutato.


La prossima settimana me ne torno in Puglia, a San Pietro in Bevagna nel golfo di Gallipoli, e a chi volesse venire a trovarmi garantisco un buon pranzo e musica anni 60; ai tempi di Modena, Gino Manco diceva che ero stonato ed aveva perfettamente ragione ma, caro Gino, se mi sentissi ora ti ricrederesti.
Buone vacanze a tutti
Francesco



Commento di Ettore.




Leggere Francesco è sempre un piacere, non fosse altro perché si sforza di “umanizzare” anche argomenti decisamente ostici ed in cui solo i più spregiudicati e scaltri degli Azzeccagarbugli , forse, riescono a districarsi.
E’ vero: sono stato io ad invitarlo a farci o a farmi capire un qualcosa di quest’altro bell’esempio di incomprensibilità assoluta che è la legge sulle “Intercettazioni”. Da povero ignorante, infatti, non riuscivo a capire come una legge -che dovrebbe disciplinare un argomento così attuale e scottante come quello- riesca ad essere presentata quasi si trattasse di una Tavola e , contemporaneamente, come se fosse un vademecum della peggiore delle sette sataniche.
A dire il vero e nonostante gli sforzi del buon Francesco, continuo a non capirci niente, anche se mi sembra di intuire che lui propenda più per il “vademecum” che per la “tavola”, lasciando trasparire inconfessabili motivi “politici” (che poi sarebbero di uno solo) quali elementi di rotta per l’approvazione di una legge che sarebbe la fine della “rapidità” e della “incisività”della giustizia italiana.
Siccome però sempre il buon Francesco ha ritenuto saggio precisare la differenza tra lo “spirito” di una legge la sua “interpretazione”, vorrei capire quale è (se esiste) la banda di oscillazione entro la quale questa “interpretazione” rispetta lo “spirito”, nel senso che ad un povero ignorante come me riesce praticamente impossibile capire come mai una sentenza possa essere letteralmente ribaltata tra un grado di giudizio ed il successivo. Che c’entrasse “l’interpretazione”?! ma se le prove di un delitto sono tali da inquadrare quel delitto in una determinata categoria, come fanno quelle stesse prove a dimostrare successivamente il contrario?! Misteri “dell’interpretazione”!!!
Secondo me (e sempre da povero ignorante) ci troviamo invece di fronte ad un caso molto ma molto più serio; quello cioè di un potentissimo “corpo” di intoccabili, dotati di un potere sterminato e che gridano “all’attacco all’indipendenza” ogniqualvolta un povero cristo si permette di alzare timidamente il ditino o si tenta una qualsiasi forma di riordinamento. Mi conforta in questo mio pensiero, l’autorevole parere di Angelo Panebianco che, in un editoriale apparso sul “Corriere” il 15 luglio scorso, sottolinea come le critiche al modus operandi della magistratura vengono spesso trattate dai suoi rappresentanti come delitti di lesa maestà, subdoli tentativi di “delegittimazione”.
Quindi, anche la cosiddetta “interpretazione”, così come gli organici insufficienti, così come la mancanza di mezzi e.....non sono altro che un paravento per nascondere le inefficienze di un sistema autoreferente che agisce al di fuori ed al di sopra di tutto e di tutti, nel pieno rispetto di una tradizione che sempre Panebianco definisce di chiusure corporative e di mancanza di trasparenza.
Il vero problema caro Francesco, non consiste tanto e solo nel “chi” deve ordinare le intercettazioni e nel “perché” le ha ordinate, quanto “dell’uso” che se ne fa o che si permette di fare di queste intercettazioni e di quanto costano al povero contribuente che già “contribuisce” in maniera consistente a pagare i faraonici stipendi dei magistrati; e devi convenire con me che sono troppi gli esempi negativi al riguardo!
La Storia ci ha insegnato che l’efficienza di qualsiasi “sistema” è sempre stata direttamente proporzionale all’efficacia, alla tempestività ed alla credibilità della sua “giustizia” che doveva essere funzionale a quel sistema.
Ma, mio caro e buon Amico, secondo te come fa a funzionare il “sistema Italia” (già oberato di una miriadi di inefficienze, di magagne e di caste) se anche il potere che dovrebbe essere il garante supremo del corretto vivere dimostra di avere gli stessi virus?! Mi spieghi perché non sono sufficienti otto anni per scrivere una sentenza, manco la si fosse dovuta incidere in aramaico antico su un obelisco? Mi spieghi perché (fatto di ieri) non sono stati sufficienti i filmati e le “mani nella marmellata” per convalidare il fermo dei componenti della “banda dei profumi”? Mi spieghi perché si manda “ai domiciliari” in albergo (a nostre spese, logicamente!) chi è stato riconosciuto colpevole di omicidio, ancorché colposo? Mi spieghi perché ci vogliono decenni per la definizione di una causa, omettendo se vuoi i lauti guadagni degli avvocati? Mi spieghi perché vengano proclamati scioperi (pensa: un potere dello Stato che sciopera contro lo Stato!!!!) come fanno i metalmeccanici, con la differenza che quei metalmeccanici difendono i loro miseri salari e.....? E tralascio di chiederti di spiegarmi perché un poveraccio debba subire anni di umiliazioni, di spese, di emarginazioni (vedi “unabomber”!) solo perché qualcuno ha preso lucciole per lanterne e per di più non deve nemmeno risponderne; lo faccio perché molti nostri colleghi ne sono state vittime e si sono visti tranciare una carriera che, forse, sarebbe stata migliore.
No, caro Francesco, non è questo secondo me il modus operandi che meglio si attaglia a chi rivendica ad ogni stormir di fronde la propria “indipendenza” come è sacrosanto che sia in una Democrazia. Ma, preso impietosamente atto dello stato attuale (tra cui si elevano picchi di eccellenza che però poco hanno ha che fare con il comune cittadino), ti faccio un’ultima domanda: non è che ha ragione ancora il nostro Panebianco quando afferma che le magistrature europee sono tecno-burocrazie separate dal processo democratico?
Grazie per quello in cui mi dimostrerai io abbia sbagliato.
Un abbraccione, Ettore.

mercoledì 8 luglio 2009

L'introspezione

I commenti di Ettore e di Michele introducono un argomento estremamente affascinante che è l’introspezione intesa come capacità di acquisire la piena conoscenza, e quindi padronanza, del proprio essere.
Per coloro che volessero approfondire, dal punto di vista filosofico, questo concetto, consiglio la lettura dei “Libelli Ermetici” di Ermete Trimegisto (tre volte Grande); figura mitica che si dice apparsa in Egitto ai tempi della penultima dinastia faraonica ma i cui scritti, sempre in greco, sono intrisi di principi pitagorici.
I “Libelli” apparvero in Italia nel mille e quattrocento e furono subito osteggiati dai ceti predominanti, tanto da dare vita all’unione clandestina dei Rosacroce, perché inneggiavano all’energia divina propria di ogni uomo (concetto che esprimeva la totale uguaglianza fra gli uomini in contrasto con i diritti della stirpe e con la diversità delle religioni), capace di esprimersi solo quando si è in grado di conoscere e vincere ogni tipo di debolezza. Questi scritti riportano un dialogo fra due soggetti apparentemente diversi, Hermes (figlio) e Thot (padre spirituale), durante il quale il primo cerca di scoprire ogni segreto dell’esistenza umana ponendo domande all’altro che, in realtà, rappresenta la “gnosi” cioè la conoscenza che è in noi e che si forma vivendo; l’apoteosi della gnosi porta all’incontro-rivelazione tra uomo e divino.
Non è, per me, facile esprimere compiutamente il concetto ma, per meglio comprenderlo, pensate alla vita narrata di tre grandi Maestri: Zoroastro, Budda e il nostro Gesù; i loro insegnamenti si basano su principi diversi ma unisce loro il fatto che tutti hanno vissuto una vita umana normale prima di esprimere i principi ed i poteri divini che, in tutti i casi, sono stati acquisiti attraverso l’isolamento e la battaglia contro le tentazioni.
Ettore e Michele hanno sostanzialmente detto che non può esserci solitudine se dal proprio interno, dalla propria intimità, si è capaci di estrarre un qualcosa che dia significato alla nostra vita e questa appare una considerazione più che condivisibile. Questo qualcosa, però, non è concepito con il nostro corpo ma si crea, si amalgama e si trasforma attraverso il nostro vissuto durante il quale assumono importanza sia l’aspetto biologico del carattere sia gli imput che hanno contribuito a formarlo.
La formazione del carattere, inteso come modo di essere, porta l’uomo ad assumere atteggiamenti la cui diversità può essere rappresentata come un continum di opposti estremi; da una parte l’uomo completamente padrone di se stesso capace di poteri sovranaturali, dall’altra l’uomo debole e fragile la cui unica possibilità di sopravvivenza deriva dalla ricerca e ritrovamento di uno scoglio.
Non esisterebbero suicidi, malattie depressive, vite amorfe o intrise di dolore se tutti fossero in grado di mantenere e alimentare i principi semplici e fondamentali descritti da Ettore o crearsi la forza dell’autostima alla quale si riferisce Michele.
Ricordo un film commedia di qualche anno che aveva come protagonisti alcuni vecchi pensionati conviventi in una casa per anziani. Vicino a loro, all’interno di una piscina privata, un gruppo di alieni aveva lasciato i sarcofaghi di loro simili che necessitavano di una permanenza forzata sulla terra prima di essere riportati al loro mondo. Tre vecchietti e le rispettive mogli utilizzavano questa piscina per nuotare e nuotando acquisivano le stesse capacità fisiche e la stessa voglia di vivere che avevano avuto in gioventù; solo uno, pur rendendosi conto dei benefici ottenuti dai suoi amici, si rifiutava di andare a nuotare perché sua moglie era malata terminale e non poteva muoversi. Alla fine il vecchietto reticente resta solo perché la moglie muore ed è salvato, mentre tentava di impiccarsi, dagli amici che solo allora riescono a convincerlo ad aggregarsi a loro e ad accettare quel “dono” ricevuto dagli alieni.
Può succedere, quindi, che il venir meno di ciò che rimane quale unica ragione di vita può portare l’uomo alla parte più bassa del continum sopra descritto e, in questo caso, solo l’aiuto degli altri potrà salvarlo.
Alla prossima
Francesco

martedì 7 luglio 2009

CONGRATULAZIONI



A conclusione della Stagione Agonistica 2008-2009, il nostro Marco , oltre ad aggiudicarsi il "Premio Speciale 2008-2009", è stato uno dei trascinatori della Squadra Blu che si è aggiudicata la manifestazione.



Leggi altre notizie su Gruppo calcetto del Lunedì

venerdì 3 luglio 2009

La solitudine.

Il nostro quarantennale mi ha permesso di rivedere amici e compagni persi nel tempo e con alcuni ho incominciato a risentirmi telefonicamente. A dire il vero sono sempre io a chiamare e questo dovrebbe indurmi a pensare che forse mi comporto da rompiscatole ma essendo un inguaribile ottimista ed avendo, quale unico scopo, la voglia di salutare chi ricordo con affetto, non mi pongo alcun problema e continuo a farlo, così come continuo a tediarVi con le mie riflessioni.
L’altra sera ho avuto uno di questi colloqui telefonici e, contrariamente alle altre volte, ho chiuso la cornetta con un forte senso di tristezza. Già nel suo tono di voce appariva chiaro uno stato emotivo tutt’altro che sereno ed ho avuto conferma di questo quando alla domanda su dove sarebbe andato in vacanza, mi ha risposto che lui non ama le vacanze perché non ha con chi trascorrerle.
E’ evidente che il nostro amico vive o si sente solo e mi chiedo perché la solitudine debba generare sofferenza.
Seneca diceva che “la solitudine è per lo spirito ciò che il cibo è per il corpo”; per Jung “la solitudine è una fonte di guarigione che rende la vita degna di essere vissuta”; secondo Giorgio Gaber “la solitudine non è mica una follia, è indispensabile per star bene in compagnia”, e per Einstein “la solitudine è penosa in gioventù ma deliziosa negli anni della maturità”.
Non so se questi geni, che per definizione sono diversi dalla normalità, abbiano espresso i loro concetti credendo veramente in quello che dicevano o se era un modo per “darsi delle arie” o per dimostrare la loro diversità ma è certo che, per la maggioranza, la solitudine è una gran brutta compagnia.
Alcuni psicologi distinguono la solitudine ricercata e voluta, quindi volontaria, da quella imposta dagli altri attraverso la discriminazione o la plateale mancanza di interesse nei confronti di colui che a loro si rivolge, ritenendo pericolosa solo quest’ultima; la sensazione di non essere importante per nessuno o di essere diverso dagli altri è fonte di numerose depressioni.
Non so voi ma io credo, invece, che la solitudine sia sempre, coscientemente o no, voluta e, il più delle volte, è il risultato di scelte che, per ragioni anche ascrivibili ad altri, si rivelano sbagliate.
La vita di ogni uomo interagisce con una serie di componenti che definiamo amore , amicizia, ideali, ambizione, hobbyes etc. etc. e ad ognuno di questi viene sempre dato un peso o un valore. Questi pesi condizionano tutte le scelte che vivendo l’uomo opera e questi, rinunciando a ciò che ha considerato di minor valore, rischia sempre di trovarsi con interessi limitati che assurgono, così, ad unica sua fonte energetica.
E’ facile immaginare le conseguenze del venir meno, per qualsiasi ragione, di quest’unica fonte; disadattamento rispetto a tutto ciò che ti circonda, totale disistima di se stesso o, al contrario, sublimazione delle proprie capacità sino a manifestazioni schizzofreniche.
Non so se queste mie considerazioni possano essere condivisibili né quale possa essere la soluzione più adeguata per vincere la solitudine; penso, però, che il crearsi alternative e il sentirsi parte sostanziale del mondo che ci circonda, crei un buon sistema difensivo.
Francesco



Risponde Ettore


Carissimo Francesco,
ho atteso un po’ prima di dire la mia sulle Tue riflessioni perché quelle sulla solitudine, oltre ad essere improntate alla consueta lucidità, attengono ad un dominio così profondo, così personale, così intimo che non può essere affrontato con leggerezza e superficialità.
Ci proverò, quindi, sforzandomi di farTi capire perché io non mi sono mai sentito e non mi sento solo.


Già la solitudine, questo male subdolo che affligge l’uomo da sempre, tant’è che, per non far sentir solo l’uomo, Dio gli mise a fianco la donna, creando di fatto le condizioni della sua infelicità terrena. Scherzi a parte, io non credo che la solitudine sia una categoria “fisica”, bensì che inerisca alla sfera puramente spirituale, quella più intima dove gli ammessi sono ben pochi, fino a ridursi solo a se stessi: al proprio ego, che è quanto di più esclusivo e complesso di ogni essere umano. E Tu mi insegni che la soddisfazione dell’ego è un continuo divenire, un continuo alternarsi di soddisfazioni e di sconfitte che contribuisce alla formazione del carattere ed alla convinzione di essere “felici”.
Ma c’è una cosa che secondo me prescinde da questa altalena di alti e bassi e questo qualcosa è la propria intimità.
Richard Bach sosteneva che “l’opposto della solitudine non è stare insieme: è stare in intimità”. E cosa c’è di più “intimo” di se stessi, del proprio cuore, della propria mente, della propria anima; territori questi in cui si racchiude e si esalta l’essenza più vera ed inviolabile di ogni essere umano. Il concetto stesso di “intimità” è, a mio avviso, in rapporto biunivoco con quello di “solitudine”, dato che si è “intimi” prima con se stessi e poi con una esigua parte del proprio prossimo che, in rapporto all’immensità dell’umanità, è decisamente infinitesimale. Quindi, ci si può sentire “soli” anche al Maracanà o, al contrario, assolutamente appagati come l’anacoreta che vive nella contrada più sperduta del mondo. D’altronde, anche Clarles Baudelaire (che non era proprio quello che si definisce un “allegrone”) sosteneva che “chi non sa popolare la propria solitudine, nemmeno sa essere solo in mezzo alla folla affaccendata”; e con cosa vogliamo popolarla questa solitudine, se non con una massiccia dose di intimità? Anche in questo caso, non parlo di qualcosa di “fisico”, bensì di quel rapporto privilegiato che si riesce a stabilire con uno, massimo due esseri umani con i quali certe volte non sono necessarie nemmeno le parole per farsi comprendere. E se questi “altri” non esistono o non li si riesce a trovare, allora restano pur sempre le nostre conoscenze, i nostri interessi, la nostra voglia di vivere e di migliorarci perché, come dice il Poeta: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir vertute e canoscenza.
E se ci pensi bene anche questa un’affermazione contiene ed esalta il concetto di intimità e, di concerto, quello di solitudine; infatti se pensiamo ai grandi della Storia, ai Santi, agli Eroi ed a tutti coloro che in qualche misura e con il loro agire hanno influito sul destino dell’umanità, non possiamo che dedurre che essi sono diventati tali perché, nella solitudine della propria intimità, hanno saputo e voluto valorizzare le proprie capacità fino a sublimarle.
Dice infatti Paul Gauguin “la solitudine non è consigliabile a tutti, perché bisogna essere forti per sopportarla e per agire da soli” e dice pure bene. Il debole si sente solo; l’insicuro si sente solo; il vigliacco si sente solo; l’incapace si sente solo; il fedifrago si sente solo; l’ignavo si sente solo; l’ateo si sente solo.......si sentono soli coloro che hanno perduto o non hanno mai avuto una propria intimità, quella sfera tutta personale dove coabitano la fiducia in se stessi, nel prossimo ed in un Qualcosa di superiore cui far riferimento.
Non è questione, secondo me, di crearsi alternative o di sfiancarsi, di umiliarsi per cercare un’integrazione nel mondo circostante che sarebbe comunque fatua, perché si tratterebbe di sconfiggere una solitudine fisica che nulla ha a che vedere con quella sfera intima che è esclusiva di ciascuno di noi.
Senza sembrare presuntuoso, non ricordo momenti in cui mi sia sentito veramente solo, anche quando ho trascorso lunghi mesi lontano dai miei affetti più cari; non mi sono mai sentito solo perché ho sempre creduto in me stesso, nei ridotti limiti connessi con le mie capacità, nella sacralità dei miei affetti, nella giustezza delle mie scelte e nell’importanza della mia professione. Non mi sono mai sentito depresso io, neanche nei momenti peggiori della mia vita che, grazie a Dio, non sono stati pochi; non mi ci sono mai sentito perché ho sempre creduto che quel Qualcosa di superiore che io chiamo Dio non poteva volere il male per me e per i miei cari; non mi ci sono mai sentito perché, nonostante tutto, la vita è un’avventura troppo bella ed esaltante per essere rovinata da atteggiamenti paranoici.
Ecco perché, caro Francesco, posso affermare con serenità che, per me, il termine solitudine ha un significato molto ma molto ristretto, limitato nel tempo e nello spazio e certamente mai influente sulla mia spiritualità, sulla mia mente, sulla mia intimità dove c’è spazio per pochi “eletti”. Potrai sempre dirmi che sono un limitato, uno che si accontenta di poco, uno che non ha ambizioni; forse, avrai anche ragione ma, Ti chiedo, se cosi mi sento appagato, perché cambiare?!
Grazie dell’attenzione e dei preziosi “stimoli” che mi e ci offri.
Un abbraccione, Ettore.

mercoledì 1 luglio 2009

Falsi pudori.

Cari amici, qualche giorno fa ho sentito in tv un intervento del Ministro della Difesa (Ignazio, come dice Fiorello) che ha risvegliato in me alcune perplessità latenti fin dai tempi delle operazioni in Kosovo. Ho contattato Ettore per farlo partecipe dei miei dubbi e, se ora vi dovrete subire questo Papi-pensiero, lo dovete proprio a lui che mi ha invitato ad inserirlo nel nostro sito.
Ecco i fatti : Ignazio ha detto che il nostro contingente in Afganistan sarebbe stato aumentato in occasione della prossime elezioni (vigilanza ai seggi ?). Il Ministro ha precisato che i Carabinieri avrebbero avuto compiti di addestramento delle polizie locali e l’aviazione non avrebbe avuto ruoli di combattimento. E allora mi è saltato in mente il dubbio che mi attanagliò anche quando D’Alema (allora 1° Ministro) parlava di aviazione senza compiti offensivi in Kosovo ma poi venne puntualmente smentito dai piloti; qualcuno ricorda che fu coniato il termine “bombardamenti difensivi”. Perché in tutti i nostri governanti c’è questo falso pudore che li spinge a non voler vedere in faccia la realtà ?
Da comune cittadino, come tanti, ritengo che sia implicito l’uso della forza quando si impiegano reparti militari per riportare l’ordine e la sicurezza in qualunque regione del mondo. Da questo scaturisce che l’uso della forza inevitabilmente produce effetti che, anche se limitati e selettivi, provocano danni a cose e soprattutto a persone. Se non si vuole ammettere questo allora si mandino i boy scout oppure qualche associazione di pacifisti magari dei centri sociali. Se si devono evitare bombardamenti si mandino alianti e mongolfiere, almeno si risparmia il carburante!
Ci sono altre due cose che mi lasciano perplesso.
Perché i nostri soldati (termine che comprende sia uomini che donne perché (se la grammatica non obbedisce ancora al politicamente corretto, un vocabolo al plurale maschile comprende anche quelli femminili) sono sempre “ragazzi” e non, come si dovrebbe, Carabinieri, Paracadutisti, Granatieri, Lancieri, Piloti etc.? Forse anche questo appellativo serve ad ingentilire la realtà e rendere più simpatici i nostri soldati, che, comunque , devono comportarsi da soldati e non da “ragazzi”.
L’altra: in Afganistan per l’impiego delle nostre truppe anche in settori diversi, sono necessarie sei ore di tempo per consentire al politico (non al Comandante sul posto) di valutare se autorizzare o meno. Questa procedura, oltre a mettere i nostri reparti in una posizione almeno curiosa nei confronti di chi, in quelle sei ore, continua ad operare da solo, non tiene conto di quante cose possono e sono accadute i sei ore : l’attacco alle torri gemelle, la Passione di Cristo, l’attentato a via Rasella, lo sbarco in Normandia, Hiroscima, la carica del Gen. Desaix a Marengo , la caduta del Fascismo e , forse, anche Caporetto!
Un saluto da Giovanni Papi

ALMANACCO STORICO LUGLIO

(Fatti e protagonisti della storia militare nazionale)


2. Difesa del Pasubio, fronte trentino, 1916 (Brigate “Verona” e “Volturno”).
3. Combattimento di Monte Suello (BS), 1866 (Gen. Giuseppe Garibaldi).
6. 2a Battaglia del Piave o del Solstizio (fine), 1918 (Gen. Armando Diaz).
7. 1a Battaglia dell’Isonzo (fine), fronte isontino, 1915 (Gen. Luigi Cadorna).
8. Occupazione del Veneto (inizio), 1866 (Gen. Enrico Cialdini).
8. Conquista di Misurata, Tripolitania, 1912 (Gen. Vittorio Camerana).
9. Battaglia navale di Punta Stilo, Mare Ionio, 1940 (Amm. Inigo Campioni).
9. Attacco “gamma” della X Flottiglia MAS nel porto di Mersina (Turchia), 1943 (Ten. Luigi Ferraro).
9. Liberazione di Filottrano (AN), 1944 (Divisione “Nembo”).
10. Sbarco degli Alleati in Sicilia, 1943 (Gen. Harold Alexander).
12. Impiccagione del Ten. Cesare Battisti e del S.Ten. Fabio Filzi, irredentisti, Trento, 1916.
13. Fondazione dei Carabinieri, Torino, 1814 (Carlo Emanuele I, re di Sardegna).
14. Conquista di Sidi Alì, Tripolitania, 1912 (Gen. Vincenzo Garioni).
14. Attacco “gamma” della X Flottiglia MAS nella rada di Gibilterra, 1942 (S.T.V. Agostino Straulino e 11 operatori subacquei).
17. Occupazione di Cassala, Abissinia, 1894 (Gen. Oreste Baratieri).
18. Forzamento dello stretto dei Dardanelli, Mar Egeo, 1912 (C.V. Enrico Millo).
18. 2a Battaglia dell’Isonzo (inizio), fronte isontino, 1915 (Gen. Luigi Cadorna).
19. Combattimento di Governolo (MN), 1848 (Gen. Ardingo Trotti).
19. Scontro navale di Capo Spada, Mar di Creta, 1940 (Inc. “Colleoni” e “Bande Nere”).
20. Occupazione di Milazzo (ME), 1860 (Giuseppe Garibaldi).
20. Battaglia navale di Lissa, Mare Adriatico, 1866 (Amm. Carlo Pellion di Persano).
21. Combattimento di Bezzecca (TN), 1866 (Gen. Giuseppe Garibaldi).
23. Conquista di Monte Cimone, fronte degli Altipiani, 1916 (154° Reggimento Fanteria e Battaglione Alpini “Val Leogra”).
25. Battaglia di Custoza (VR), 1848 (Carlo Alberto, re di Sardegna).
26. Combattimento di Versa (UD), 3a guerra d’indipendenza (fine), 1866 (Gen. De La Forest).
26. Attacco della X Flottiglia MAS contro La Valletta, Malta, 1941 (C.F. Vittorio Moccagatta).