domenica 7 agosto 2011

Tanto diversi, tanto uguali


Il sole scendeva pigramente dietro il Gianicolo; una sinfonia di luce e di colori esaltava l’immensità del Cupolone e giocava a nascondino all’interno del profilo dei pini secolari sui “Colli fatali”; la città sottostante si compiaceva della ritrovata frescura e le mamme ondeggiavano orgogliose, spingendo le carrozzine dei loro pupetti lungo i viali sterrati.
C’erano anche loro, Pugacioff e Giovinezza, sulla terrazza con vista più mozzafiato del mondo: quella del Pincio.
Erano un paio d’anni che avevano preso quest’abitudine di incontrarsi a quell’ora ed in quel posto, dopo che si erano rivisti casualmente in occasione di una delle tante manifestazioni che affliggono l’Urbe.
Erano diversi, tremendamente diversi, anche se, tutto sommato, i loro percorsi di vita erano stati sostanzialmente uguali.
Uno, Pugacioff, era nato, cresciuto e pasciuto ai piedi della collina de’ cocci; dopo aver fatto anche da grandicello er cascherino, aveva campicchiato, spezzandosi la schiena ai “Mercati Generali”; doveva il suo nomignolo alla sua indissolubile fede nell’unicità del “paradiso dei lavoratori” e dei suoi abitanti; la sua sede sportiva era la curva Sud; il suo perimetro di vita era compreso tra Porta Portese ed il vecchio Mattatoio; il suo tempio politico era er bottegone.
L’altro, Giovinezza, era il classico pariolino; non era stato costretto a spezzarsi la schiena, grazie ad un buon patrimonio di famiglia che gli aveva consentito di non affannarsi più di tanto alla ricerca di un lavoro per sopravvivere; doveva il suo nomignolo, oltre all’invidiabile aspetto di eterno “bel ragazzo”, anche all’altrettanto indissolubile fede nel ritrovato destino millenario di “Roma imperiale”; la sua sede sportiva era la curva Nord; il suo perimetro di vita spaziava in tutta la città; il suo tempio politico era via della Scrofa.
Entrambi avevano dedicato le proprie esistenze al rispettivo “Partito”, rinunciando perfino a formarsi una famiglia; avevano lavorato giorni e notti con l’entusiasmo che solo la fede può conferire e sempre gratuitamente; avevano fatto a botte senza risparmiarsi e senza guardare in faccia a nessuno; mettevano i loro Capi al di sopra di ogni sospetto e qualsiasi cosa avessero detto, per loro, era vangelo che non ammette discussioni.
Insomma, ci avevano creduto ed entrambi erano vissuti nella certezza di essere nel giusto, con la speranza che, con la vecchiaia, si sarebbero potuti godere i frutti, almeno morali, dei loro sacrifici.
Ed ora che i loro templi politici non esistevano più, quasi per una nemesi, si ritrovavano ar Pincio, seduti su una panchina, con i loro acciacchi, i loro capelli bianchi, i loro rimpianti, le loro amarezze.
“ A Gioviné, hai visto si che casino te stanno armando lassù ar norde?! Ahò, l’avevamo chiamata “la Stalingrado italiana” perché lì pareva de stà proprio ‘n Russia, ner paradiso dei lavoratori”, chiosava Pugacioff commentando gli ultimi fatti che riguardavano quelli che lui si ostinava a chiamare ancora compagni. “Ma quello che me fa rode de più è er fatto che quella specie de Segretario che se ritrovamo va dicenno ‘n giro che puro noi semo come l’artri; che, ‘nsomma, nun è che semo proprio “diversi”, nun è che semo proprio “duri e puri”. Pensa te se ce stava er Mijore; a parte er fatto che nun se sarebbe saputo gnente, ma t’emmaggini te che macello che avrebbe armato er Partito: cortei, scioperi, striscioni contro li padroni, strilli contro voi fascistacci e, magari, ce scappava puro quarche scazzottata, giusto pe’tené allenati li muscoli”.
“ E io che t’ho da dì, a Pugacioffe; io che me so dovuto vedé er mio Segretario che fa tutto er fighetto, che nun se sa de che colore è, che ‘na vorta dice ‘na cosa e er giorno dopo dice er contrario; che s‘è fatto ‘nfinocchià co qu’a casa de Montecarlo che, se ero io, ‘nsa quante zampate alle palle gl’ammollavo a quella specie de cognato!!! Tu rimpiangi er tuo “mijore” e fai bene; ma te ricordi er mio, con quello sguardo che te furminava e co’ quei baffetti da sparviero che sembrava che te volessero prenne sempre per culo?! Ma ‘n te ricordi quei comizi che facevamo, voi a S. Giovanni e noantri a Santi Apostoli?! quelle sì che erano figate, a sentì quei discorsi pieni de forza, de idee, de vojia de vince, che te mettevano li brividi e te faceveno mannà a fanculo tutto er monno, perché c’iavevamo la forza di quello in cui credevamo”.
Ed andavano avanti così per ore, Pugacioff e Giovinezza, e tutti i giorni che il tempo e gli acciacchi glielo consentivano; parlavano, parlavano, ogni tanto si infervoravano anche, nel paragonare la vigoria travolgente delle rispettive Idee alla mollezza inconcludente dei rispettivi discendenti.
Poi, quando la luce cominciava a lasciare inesorabilmente il posto al buio, poggiando una mano sulla panchina e l’altra sul bastone, si alzavano e, lentamente, molto lentamente percorrevano il viale sterrato per raggiungere la fermata dell’autobus; ogni tanto, tiravano qualche sospiro: una poderosa emissione di fiato leggermente rauco, quasi sintesi sonora della loro amarezza.
Ora il sole era scomparso del tutto; come quello che, per uno, era stato “dell’avvenire” e, per l’altro, “libero e giocondo”.
Ciao a tutti,
Ettore.

1 commento:

  1. Caro Ettore bella riflessione, complimenti. Però un bravo anche al vignettista "Er papi", ti ha fatto una foto. Saluti Suff

    RispondiElimina

Scrivi qui i tuoi commenti .