mercoledì 12 settembre 2012

Pensiero ed appartenenza


 

La morte del Cardinale Martini, com’era facile prevedere, ha innescato un “tiro al bersaglio” da parte di tutte le fazioni interessate; laici, clericali, cattolici liberali etc. etc. etc..

Pur definendomi un convinto cristiano, non frequento molto il clero perché, specialmente quella parte che si occupa di economia e finanza, spesso “è costretta” a distaccarsi dagli insegnamenti del Cristo. Ho avuto modo, però, di conoscere personalmente Martini ad una conferenza che Lui tenne al compimento dei Suoi 75 anni e mi lasciò una sensazione di conflitto fra la naturale propensione verso un uomo che sa parlarti amorevolmente con estrema semplicità e la diffidenza che deriva dall’esposizione di un pensiero ambiguo.

Egli si presentò dicendo: “Ora forse vi chiederete cosa voglio fare dopo aver esercitato per tanti anni il ministero di Vescovo; vorrei collocarmi come ultimo dei discepoli di Sant’Ambrogio e ciò che mi preparo a fare vorrei esprimerlo con due parole: una che indica novità e l’atra che indica continuità”.

Basta un simile concetto per portarti nel mirabolante gioco degli equivoci. Il nuovo è ciò che non c’è mentre la continuità è la persistenza di ciò che c’è; cosa voleva dire allora quell’uomo che si dichiarava fortemente “uomo della Chiesa” e che, nello stesso tempo, affermava che questa era rimasta indietro di 200 anni.

Le parole fuoriuscivano con facilità dalla Sua bocca senza alcuna alterazione di toni e quando toccò l’argomento Fede partendo dall’ambiente dei Gesuiti, dove Egli si era formato, non mi fu difficile comprendere la differenza fra dedizione completa -per un cattolico radice di ogni decisione possibile- e l’aspetto evangelico inteso come dialogo nel e con il mondo.  Capii allora che non si può conquistare la Fede attraverso un percorso intellettivo che enunci la tesi attraverso la dimostrazione razionale delle ipotesi. Si può credere ciecamente nell’esistenza di Dio solo attraverso la conoscenza e la dedizione continua verso l’uomo e la sua vita terrena.

Quando poi toccò gli argomenti propriamente “terreni”, vidi un prete “diverso”. Egli parlò del rapporto Chiesa/politica affermando che la rinuncia della Chiesa a voler essere una forza rilevante nel quadro politico della società avrebbe rappresentato un atto di umiltà, mitezza, misericordia e riconoscimento delle proprie colpe che, col tempo, avrebbe fatto crescere la stessa Chiesa.

Parlò della omosessualità, mostrandosi favorevole al fatto che due omosessuali avessero una certa stabilità di rapporti che lo Stato avrebbe dovuto agevolare e non esternò alcuna contrarietà alle unioni civili. Alle domande più specifiche sulla natura del  rapporto fra soggetti dello stesso sesso diede, però, una strana risposta definendoli rapporti di amicizia duratura e fedele. Questo tipo di amicizia, a suo dire, sarebbe stata tenuta in grande onore nel mondo antico anche se intesa nell’ambito di un superamento della sfera sessuale.

Allora giudicai questo concetto incomprensibile e contraddittorio e volli credere che, in fondo, Egli era favorevole ad una piena libertà sessuale tanto che a domande sull’Hiv mostrò desolazione per il numero dei malati e si espresse favorevolmente all’uso del preservativo per combattere la diffusione del virus.

Nel corso degli anni e dopo il manifestarsi della malattia, quella che definii ambiguità si palesò anche su altre due questioni di importanza fondamentale per la Chiesa: l’obbligo di celibato per i preti e l’eutanasia. Nel primo caso, in tema alle vicende sulla pedofilia nella Chiesa cattolica, Egli dichiarò, ad alcune agenzie di stampa, che sarebbe stato favorevole all’abolizione del celibato salvo poi, in un comunicato dell’Arcidiocesi di Milano, smentire queste dichiarazioni. Nel secondo, non si espresse mai favorevolmente per l’eutanasia ma ha sempre dimostrato fermezza contro l’accanimento terapeutico ed in questo è stato coerente sino alla morte. Proprio sulla morte Egli disse: “Mi sono riappacificato col pensiero di dover morire quando ho compreso che senza la morte non arriveremmo mai a fare un atto di piena fiducia in Dio. Di fatto in ogni scelta impegnativa, noi abbiamo sempre delle uscite di sicurezza. Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente di Dio”.

Se qualcuno dovesse oggi chiedermi di esprimere un giudizio sul Cardinale Martini mi discosterei completamente dalle considerazioni riportate sulla stampa che va per la maggiore. Non lo giudico un Cappellano “alternativo” come ha fatto “Repubblica” ed “il Corriere della sera” né un “sovversivo” incoerente come è stato evidenziato su un blog lanciato da “Libero”.

Io credo che egli sia stato un teologo con una profonda fede cristiana che spesso veniva sottoposta alla prova delle quotidiane verifiche; alla fine, però, il senso dell’Istituzione e la voglia di appartenere alla Sua Chiesa hanno sempre prevalso. Per fare un esempio a voi consono, è come il militare che si trova ad essere in disaccordo con le decisioni dei suoi superiori ma che crede fortemente nel giuramento fatto, nella Bandiera, in tutto ciò che essa rappresenta e nell’uniforme che indossa.

Con una trasposizione nel mondo laico, penso che là dove i grandi pensieri ideologici, socialismo e capitalismo, sono franati davanti al bisogno di individualismo ed al fallimento della finanza, ci resta solo l’appartenenza allo Stato ed alle sue Istituzioni; anche a rischio di qualche incoerenza.

Francesco.

10 commenti:

  1. Non nego, caro Francesco, che dopo aver letto il primo mezzo rigo dell'intervento, avevo già indovinato che l'autore eri Tu...sia perchè hai vissuto a lungo a Milano, sia per la Tua sensibilità a certe problematiche. Si, il Card. Martini è stata, anche per me, una personalità come poche nella Chiesa. Si è distinto per la sua eccezionale intelligenza e per la sua enorme preparazione teologica e dottrinale, tanto che ha rappresentato uno dei più importanti punti di riferimento per la Chiesa stessa. Era,comunque, in particolare, un Gesuita e come tutti gli appartenenti alla regola di S. Ignazio, si è distinto non solo per la grande cultura e la preparazione, ma anche per una certa inclinazione, propria di tutti i Gesuiti, appunto, alla comprensione di alcune problematiche tipicamente sociali (atteggiamenti noti già fin dalla conquista del Nuovo Mondo) ed alla sensibilità per alcuni argomenti tanto cari ad una certa cultura propria di certi settori della sinistra (vedansi anche certi interventi dei suoi colleghi padri Gesuiti Sorge e Pintacuda che, se non erro, arrivarono anche ad esprimere i loro pensieri sull'Unità ed altri giornali marcatamente di una certa parte politica... oltre che su Famiglia Cristiana e nelle edizioni Paoline, di orientamento non troppo distante da quelli accennati. Credo che la tessa Chiesa di Roma sia dovuta intervenire più volte per "tenerlo a freno"...e non solo Lui..ma anche nei confronti dello stesso Papa Nero (il responsabile dei Gesuiti). Che dire..un grandissimo uomo, una eccezionale Personaltà, unica direi, che ho sempre ammirato e che ammiro anche dopo la sua morte, ma della quale non condido, nè ho condiviso, molti punti di vista, nè alcune prese di posizione che potrebbero aver contribuito ad intaccare le certezze che la Chiesa di Roma è tenuta a dare a tutti i cristiani cattolici. Un caro saluto. Carlo MORI

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  2. Francesco Miredi13 set 2012, 09:25:00

    Carissimo Carlo, ti ringrazio per il commento e per la più profonda presentazione sul percorso del cardinale Martini. Concordo sulla inopportunità di alcune esternazioni e sugli effetti negativi che avrebbero potuto causare sulla Chiesa di Roma ma era un uomo e, come tale, soggetto ad errori. A mio avviso, però, la voglia di affrontare tematiche scottanti senza seguire i rigidi binari imposti dall'alto (terreno) salvo poi ritornare su percorsi già tracciati, potrebbe essere intesa come metodo per dire: "è vero, tu minoranza potresti avere ragione ma, per il bene di tutti, devi segiure le regole". Il concetto potremmo racchiuderlo nella "tolleranza" che è alla base di tutte le aggregazioni libere e democratiche. Ti abbraccio
    Francesco

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    1. Cari amici, vorrei limitare il mio commento alla esaltazione del concetto di liberta' di pensiero legato a quello di liberta' di espressione; liberta' che vanno salvaguardate e difese con ogni mezzo tanto in quanto rimangono nei limiti del rispetto degli altri. Esse devono essere garantite anche all'interno di strutture forti ed organizzate gerarchicamente come la Chiesa o le Forze Armate, perche' esse costituiscono un arricchimento quando motivate e sostenute da studio, approfondimento, esperienza, volonta' di crescere e far crescere l'Istituzione.
      Questo argomento e' alla ribalta della cronaca con la conferma da parte della Cassazione della sentenza della Corte di Appello di Milano che aveva comminato 14 mesi di reclusione al Direttore Sallusti per diffamazione; certo i reati vanno puniti e quando un articolo e' dimostrato come diffamatorio perche' non risponde a verita', non e' sostenuto da alcuna attivita' di ricerca, e' rilevante in fatto di notorieta'e quindi di danno, non c'e' dubbio che il diffamato ha diritto di avere giustizia. Ma il carcere NO. E NO in questa Italia ove esiste una situazione disastrosa in materia di certezza della legge e della sua applicazione.Ci sono centinaia di sentenze di condanna a giornalisti per diffamazione con pene pecuniarie, ma questa per Sallusti e per un giornale il cui editore si chiama Paolo Berlusconi, commina il carcere.Molti giudici vanno decisamente oltre il concetto basilare di separazione dei poteri fondamentali in una democrazia.
      Un abbraccio
      Renato

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  3. Cari tutti. Carissimo Renatino, due riflessioni...ho il dubbio che, se la querela fosse stata sporta da un cittadino qualsiasi e non da un magistrato...credo che avrebbe avuto un iter quanto meno un po' più lento e tale, comunque, da permettere anche l'archiviazione per prescrizione, come si vede in tanti casi analoghi finiti nel fondo di cassetti, trattandosi peraltro di una ipotesi di reato di gravità molto relativa. Lo stesso dicasi per l'eccessiva asprezza della pena..IL CARCERE!... per non aver controllato un articolo scritto da un altro...L'altro dubbio che mi assale è... che, se si fosse trattato del Direttore di LA REPUBBLICA o qualche altro quotidiano politically correct...ci sarebbe stata una sanzione altrettanto severa? La cosa non solo mi stupisce, ma mi addolora. La nostra mi sembra una democrazia un po' monca, gestita non dal Popolo, ma dalle persone che gestiscono il... vero potere... in nome del popolo italiano (e non per un mandato elettivo, ma grazie al fatto di avrer vinto un concorso pubblico che garantisce loro insindacabilità ed un potere enorme, senza rispondere in pratica delle proprie azioni, fino alla bella età di 75 anni. E' cronaca di questi tempi su chi in effetti decide che fine debbano fare Governi, Regioni, Grandi industrie nazionali, direttori di giornali fuori dal coro etc. Un caro saluto. Carlo MORI

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  4. Francesco Miredi27 set 2012, 16:52:00

    Ragazzi ho parlato del cardinale Martini perchè volevo porre in evidenza due principi fondamentali: la tolleranza e l'obbedienza. Con questi commenti avete aperto un problema importante che raccoglie in se una miriade di altri problemi altrettanto importanti: la differenza fra libertà di stampa e libertà di pensiero; gli effetti derivanti dall'esprimere un proprio pensiero o dalla pubblicazione di menzogne contro una istituzione o un politico nemico al proprio editore; quanto la stampa può manipolare le convinzioni del popolo e conseguentemente quanto è libero o democratico il relativo voto. Per me Sallusti è alla stregua dei giornalisti faziosi che operano sotto le direttive della sinistra e, per tutti, eviterei il carcere a fronte di pene pecunarie di ben più elevato spessore ma, per favore, evitiamo di santificare i colpevoli per poter attaccare l'Istituzione. Il magistrato ha applicato la legge e se molti non lo fanno con le conseguenze descritte da Carlo Mori la colpa è della persona fisica non della magistratura in quanto tale. Credo che sia ampiamente dimostrato il fatto che il volere del popolo si generi attraverso ciò che apprende dai giornali e, per questo, è nell'interesse di tutti che i giornalisti riportino fatti, magari commentati da un loro personale e libero pensiero, non menzogne istigate da chi li paga. Questa non è libertà di stampa ma semplice tecnica di pubblicità ingannevole.
    Un abbraccio a tutti
    Francesco

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  5. La Magistratura, caro Francesco..e ritorniamo ai soliti discorsi...non è un'entità astratta e sovrannaturale che applica le leggi con estrema obiettività. E' composta di uomini con le loro pecche ed i loro difetti, talvolta scaturenti da quelle che si possono ritenere eccessive personalizzazioni interpretative, che potrebbero essere condizionate (anche se in buona fede) da sospette politicizzazioni. Lo dimostrano le correnti all' interno dell'Ordine giudiziario (maggioritarie quelle di sinistra) che possono talvolta far dubitare, almeno secondo la mia opinione, sulla effettiva imparzialità delle scelte che queste persone sono chiamate ad adottare. Ciò rigurarda sia la fase delle indagini preliminari, quando un PM può vedere un reato ove un suo collega non vede alcunchè (grazie allo zelo ed alla interpretazione dei singoli), sia la fase del rinvio a giudizio, che quella del giudizio con la comminazione della pena. Nel caso Sallusti, a mio avviso, si è esagerato un po' in tutte le fasi ed in tutti i gradi del procedimento, tanto da far sorgere dubbi spontanei sulla serenità ed obiettività dei provvedimenti adottati. Mai si è visto una tale severità ed un tale accanimento per una critica (pur se sbagliata) espressa addirittura da un'altra persona e per la quale il Sallusti è stato chiamato a rispondere per una responsabilità, tutto sommato, oggettiva, che dovrebbe essere esclusa, peraltro, dalla stessa Costituzione -art. 27. No, Francesco, non si può parlare sempre di presa di posizione della singola persona fisica...i casi sono troppi (anche quelli di eccesso di protagonismo) per cui non si debba o non si possa ritenere necessaria una revisione delle leggi e delle regole, a tutto vantaggio di una maggior credibilità della stessa Magistratura. Anche in questo caso, peraltro, non si può fare a meno di ritenere che esistano cittadini con possibilità molto diverse (quando TUTTI dovrebbero essere uguali di fronte alla legge!)...non so cosa sarebbe successo se la querela fosse stata presentata da un povero cristo...forse sarebbe finita in modo molto diverso... Quanto alla menzogna...inoltre, più che menzogna vedrei una critica, pur male espressa ed in modo pesante, non tanto al magistrato, quanto alla stessa legge che autorizza l'aborto nelle modalità come quelle che si sono verificate con l'intervento, sia pur legittimo, del magistrato stesso. Quello poi di non concedere la sospensione condizionale della pena nel dispositivo della sentenza (la concedono a tutti!)credimi, per un incensurato, ha proprio dell'incredibile. Una pena pecuniaria, come verificatosi in quasi tutti i casi analoghi, sia pur consistente, sarebbe stata, a mio modesto avviso, più che sufficiente. Ciò, ribadisco, tenendo conto peraltro che il Sallusti, come accennato, non era l'estensore dell'articolo e che la sua sarebbe stata, soprattutto, una culpa in vigilando (e la responsabilità penale, come già ricordato...dovrebbe essere strettamente personale..). Nessuno santifica nessuno, caro Francesco, ma qui siamo, a mio avviso, davanti ad una situazione aberrante che ci pone in cattiva luce perfino a livello internazionale. Speriamo in qualche rimedio normativo a breve termine. Un caro saluto. Carlo MORI

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  6. Francesco Miredi28 set 2012, 10:52:00

    Carissimo Carlo la magistratura non è una entità astratta ma una Istituzione necessaria ed imprenscindibile come lo sono tutte le altre Istituzioni dello Stato (a parte i partititi politici che, a mio avviso, non dovrebbero essere finanziati). Io non ho mai negato gli effetti negativi da te evidenziati e la necessità di meglio operare sul percorso introduttivo e formativo dei giudici ma questo compete al potere legislativo e non fa bene a nessuno continuare a delegittimare un Organo che non può non esistere. Avrei apprezzato che lo sdegno popolare per il caso Sallusti si fosse limitato a stigmatizzare la tipologia di condanna e l'esclusività di questa rispetto alle precedenti invece è stata invocata una libertà di stampa mai posta in discussione, l'esistenza di una magistratura tendenzialmente di sinistra quando il giudice in questione ha applicato una legge che la destra avrebbe potuto tranquillamente cambiare, un attacco alla famiglia Berlusconi che in realtà, così come fanno gli editori di " La Repubblica", fa marketing e non giornalismo. In ogni caso, subito dopo la sentenza è stato lo stesso Procuratore ad affermare che Sallusti non avrebbe fatto un giorno di carcere e il Ministro della giustizia ha detto che la legge va rivista. Quanto a Sallusti, a mio parere, se continua a comportarsi come ha fatto sino ad ora, non sarà mai un giornalista ma un dirigente di partito che agisce da tale e la sua non può essere considerata mera responsabilità oggettiva perchè è il direttore che decide ciò che si deve pubblicare. Un caro saluto anche a te
    Francesco

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  7. Caro Francesco, sull'applicazione delle leggi ho già detto molto e sulla possibilità di interpetrarle sotto molte sfaccettature pure. Chi le applica e le interpreta ha di fatto, spesso, un potere superiore a chi le leggi le fa o le può far fare, non certo Berlusconi che aveva una maggioranza con molte persone che remavano in direzione contraria alla sua. Quello che ha detto il procuratore Bruti L. appare un tentativo di rimediare ad una situazione aberrante. Siamo al limite...a parer mio si è esagerato... e non poco...Sallusti a parte, gli altri non sono migliori. Questa sentenza proprio non mi è piaciuta. Un abbraccio, a presto. Carlo

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    1. Cari Amici, credo che l'argomento non sia la posizione politica di Sallusti o come lui si ponga con i lettori del suo giornale; io vorrei riportare l'argomento sui principi da difendere e cioe' la liberta' di pensare ed esprimere la propria opinione anche all'interno di strutture rigide. Ho ammirato il Cardinale Martini per le posizioni difficili espresse, pur non condividendo tutti i suoi punti di vista;ho ammirato ed ammiro i colleghi che hanno saputo e sanno esprimere con determinazione le proprie idee anche quando non coincidono con quelle dei superiori. Voglio difendere qui il principio legato alla possibilita' di esprimersi dentro i limiti del rispetto degli altri ma senza temere ritorsioni. Lasciatemi finire il mio pensiero tornando al caso Sallusti: un giornalista non e' libero, un cittadino non e' libero in uno Stato dove esprimere il proprio parere comporta il rischio di finire in galera; d'altra parte una persona che si ritiene offesa deve avere i mezzi per ottenere giustizia all'interno di un ordinamento giudiziario credibile. Qui tutto e' mancato ed i giudici hanno perso un'altra occasione per dimostrare che sono fedeli alla loro missione. La legge va e sara' cambiata ma non ha senso che un giudice decida di punire con 5000 euro di ammenda la diffamazione messa in opera da un giornalista anonimo ma fatta pubblicare dal direttore che se ne assume la responsabilita' prevista dalla legge,ed il giudice di appello decide per il carcere. Brutta pagina, tra le altre, nella nostra amata Italia.
      un abbraccio
      Renato

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  8. Toccando tasti come la "libertà di pensiero", era praticamente inevitabile che si sconfinasse sul "caso Sallusti" e, di conseguenza, sul modus pensandi ed operandi della Magistratura, trascurando il tema -invero "poderoso"- proposto da Francesco sul Cardinal Martini.
    Confesso la mia scarsissima preparazione sull'argomento e prendo atto delle due "visioni" (quasi opposte) di Francesco e Carlino, segno evidente di come gli Uomini -che hanno smosso le coscienze e l'ordine gerarchico in cui sono vissuti e cresciuti- siano in grado di dividere più che unire.
    Chiaramente non scendo nell'agone "giudiziario" perché non saprei cosa aggiungere alle Vostre giuste considerazioni; vorrei, invece, soffermarmi un momento su quel concetto di "tolleranza" espresso da Francesco.
    Potrebbe essere l'uovo di Colombo ma ho dei forti e motivati dubbi che quel concetto possa trovare ospitalità in strutture fortemente dogmatiche e gerarchizzate, come appunto la Chiesa (qualsiasi "chiesa" di qualsiasi Religione); lascerei stare, caro Renato, le Forze Armate le quali, non avendo imprimatur divini che ne legittimino l'esistenza ma "missioni" esclusiamente terrene, sono soggette a più umane regole.
    Ma che significa "tolleranza"? per me, è sinonomo di "rispetto" delle opinioni altrui, fintanto il confronto avviene su temi di carattere generale, di quelli cioé che non inficiano né mettono in discussione la "Regola" che governa e dà continuità alla struttura di cui si fa parte.
    Quella stessa "Regola" in nome della quale i Gesuiti si sono macchiati dei delitti più infami pur di imporla, non importa con quale mezzo.
    Andiamoci piano, quindi, con questi aneliti "tolleranti", specie quando gli stessi sono unidirezionali ed inducono ad approcci manichei a realtà similari.
    A costo di sembrare un bieco conservatore, sono dell'opinione che, quando si decide di entrare in una struttura e ci si fà pure "carriera", si ha l'obbligo morale (deontologico?) di non mettersi a fare il controcanto; semmai, si ha l'obbligo di mettere a disposizione la propria cultura, la propria preparazione, il proprio zelo perché vengano individuate soluzioni migliorative ma sempre nell'alveo della "dottrina".
    Se no, è meglio e più onesto uscirne e continuare la propria battaglia dal di fuori!
    Un abbraccio,
    Ettore.

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