lunedì 21 giugno 2010

Libertà di mercato, Costituzione e…Spatuzza

La scorsa settimana sono stato molte ore nella stanza di un ospedale senza poter far niente e ascoltando la radio, da me eletta, ormai, a fonte di informazione “più sicura”, ho seguito una trasmissione nella quale era intervenuto Bersani.
Normalmente quando ascolto Berlusconi e alcuni suoi portavoce, il sentimento che provo è di irritazione perché mi sento preso in giro; ascoltando Bersani ho provato sconforto. Sconforto per la pochezza dei contenuti di ogni suo intervento, sconforto per la retorica dei suoi messaggi, sconforto perché di tangibile e vero ho trovato solo il suo accento emiliano (o forse romagnolo).
In particolare, sul caso FIOM avrebbe dovuto schierarsi apertamente contro il sindacato ribelle e sulla liberalizzazione (o meglio sulla libertà di mercato) avrebbe dovuto puntare il dito sulle cause limitative di questa piuttosto che osannare una sua vecchia proposta di legge settoriale ed insufficiente alla risoluzione del problema.
Il mercato non diventa libero se tutti possono fare i tassisti o i notai o gli avvocati o i farmacisti etc. etc. etc., perché la libertà delle professioni porta alla spersonalizzazione e alla non competenza delle stesse. Per poter fare l’avvocato, oltre alla laurea, ho dovuto sostenere, presso la Corte di appello di Milano, un esame difficilissimo e molto selettivo che garantiva la preparazione giuridica di chi si accingeva a questa professione (per capirne la difficoltà, sappiate che la Gelmini, milanese, è andata a farlo al sud) e quando la selezione è diventata più “permissiva”, siamo stati inondati di giovani colleghi che fanno più male che bene ai propri clienti.
Il mercato diventa realmente libero, e conseguentemente il sistema economico/sociale può definirsi liberale, quando viene garantita la libera concorrenza e solo per questa garanzia dovrebbe intervenire lo Stato. La mia tesi di laurea (1978) si intitolava “Insolvenza ed intervento pubblico” e analizzando i casi Sindona (Banca Privata Italiana) e EGAM (ente creato dall’esecutivo per la ristrutturazione delle aziende in crisi), affermava che l’aiuto, diretto od indiretto, dello Stato nei confronti delle aziende insolventi, vanificava, di fatto, l’efficacia della legge fallimentare e costituiva concorrenza sleale nei confronti delle aziende sane le quali erano costrette a competere con le altre incapaci ed insolventi ma sostenute da denaro pubblico.
Questo concetto, molto semplice da capire ed applicare, non è amato dai politici e dagli economisti da questi foraggiati, perché toglie loro il vero potere; il potere cioè di governare l’economia, di creare ricchezza mirata, di arricchirsi personalmente. Per meglio comprendere come una legge possa incidere sulla struttura economica di un paese, porto ad esempio due vecchie normative ideate da Prodi molto prima del bipolarismo: la prima regolava il commissariamento di aziende con un certo numero di dipendenti che, in caso di difficoltà, venivano esautorate dell’organo gestorio privato e messe nelle mani di un politico che diventava, così, imprenditore; la seconda definiva le caratteristiche che un’azienda doveva avere per poter concorrere agli appalti pubblici. Ebbene, la prima legge ha permesso ad un numero enorme di aziende infruttuose e parassitarie di restare in vita per decenni con continua immissione di denaro pubblico, diventando un centro di collocamento per politici incapaci e tangentisti; la seconda era riuscita a rompere l’ingranaggio omertoso e delinquenziale che dava gli appalti solo a poche imprese e garantiva una maggiore trasparenza e concorrenza. La prima, negativa, è tutt’ora in essere, la seconda, positiva, è stata completamente stravolta e gli effetti delle modifiche sono visibili negli ultimi scandali relativi agli appalti e per i quali il governo ha annunciato che si costituirà parte civile per danni morali e lesione di immagine; ma perché non fare i conti su quali sono stati i costi per gli italiani e non costituirsi per danni patrimoniali?.
Ma ritorniamo al libero mercato e analizziamo il provvedimento che l’attuale maggioranza ha adottato per renderlo veramente libero: la costituzione di un nuovo ministero che studi la riforma dell’art. 41 della Costituzione. L’articolo in questione sancisce il principio che l’iniziativa privata, pur essendo libera, non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale e non deve arrecare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana e, come tutte le norme costituzionali, rappresenta un dogma per il quale il valore uomo non possa essere prevaricato dal valore ricchezza.
Può, secondo voi, un simile articolo essere in contrasto con il libero mercato? E se la risposta, come credo, sia negativa, quale arguto pensiero ha portato a tale affermazione? Quali possono essere le riforme che, stravolgendo il principio dell’articolo in questione, siano in grado di rendere più libero il mercato?.
Francamente non capisco e non capisco nemmeno cosa possa fare il neo ministro incaricato da Berlusconi che qualche dubbio sulla reale volontà di creare una libera concorrenza me lo pone, visto che è stato imputato (con prove pesanti) di falso in bilancio e finanziamento illecito ai partiti (tangenti) e che si è salvato grazie alla depenalizzazione del falso in bilancio e alla prescrizione.
L’ultimo pensiero lo rivolgo al “povero” Spatuzza che per la decisione di tre membri del Viminale, alla quale si sono opposti i due della Procura, si è visto revocare le protezioni ricevute sinora quale pentito e ora rischia grosso. Non voglio entrare nel merito della decisione e del contrasto, sempre più pesante fra esecutivo e magistratura, ma vi sembra opportuno che una simile decisione venga presa nel momento clou del processo a Dell’Utri e ai politici collusi, per appalti e riciclaggio, con la mafia?...altro che riformare l’art. 41.
Vi abbraccio
Francesco

venerdì 4 giugno 2010

Italia e Magistrati, che delusione .

Brutta giornata oggi ma non per la meteorologia!
Ieri due eventi , diciamo così "inopinati" mi hanno rovinato la serata e pure (in misura minore) la nottata: la proclamazione dello sciopero da parte dell'ANM e la sconfitta degli Azzurri.
Mi direte: ma come si azzezzano i due fatti?!
Si azzeccano, si azzeccano: e come se si azzeccano!
Le due categorie, infatti, hanno molti punti in comune anche se con valenze diverse: i super-super-stipendi; il potere di condizionare la vita di un singolo o di un gruppo; l'impunità pressocché totale per i propri errori, salvo ridicole sanzioni; una carriera trascorsa tra privilegi e prebende collaterali.
Unica differenza che, per i calciatori, c'è almeno uno straccio di meritocratizia: se non sei bravo, non vai avanti, nemmeno....a calci!
Eppure, queste due categorie di privilegiati si sono permesse, una di proclamare uno sciopero politico, mascherando dietro la riprovazione di un provvedimento governativo, il disappunto per la paventata riduzione di uno stipendio da favola; l'altra di accroccare una figuraccia contro il Messico che, grazie alla nostra pochezza, sembrava il Brasile di Didì, Vavà, Pelé.
A differenza dei primi, però, i secondi non si sono mai arrogati il diritto di sindacare/contestare provvedimenti che potessero essere interpretati come lesivi, ancorché in misura minima, di un potere sterminato al di sopra ed al di fuori di ogni controllo, in virtù della sua specificità; così come, non sono mai scesi tanto in basso da "risentirsi" per una modestissima sforbiciatina stipendiale: diciamo che hanno avuto un pò di dignità!
Invece, i nostri incliti detentori del "vero", quelli che possono rovinare la vita di un essere umano, salvo poi, dopo quasi venti anni, "assolverlo"; quelli che si autogovernano, senza nessuna possibilità di controlli esterni; quelli che dovrebbero rappresentare la più importante struttura portante di uno Stato liberale; quelli.....si schierano contro un altro Potere dello stesso Stato, quando questo decide -nell'ambito delle sue prerogative costituzionali- di assumere un provvedimento valevole per tutti ma proprio tutti i cittadini.
Ma la cosa che fa più male è che questa contrapposizione -che definire "corporativa" sarebbe riduttivo- viene millantata come "difesa dell'autonomia", di qualunque natura siano i provvedimenti non graditi.
Ora, questa "autonomia" sta per essere messa in pericolo dalla perdita di poche migliaia di Euro l'anno ed allora si pensa bene di comportarsi come una qualsiasi organizzazione sindacale che si batte per la difesa di poche decine di Euro l'anno, avendo pure l'ipocrisia di affermare che si "comprendono le difficoltà del Paese".
Mi auguro ardentemente, per il bene di questo sciagurato Paese, che ci sia qualcuno che mi dimostri che non ho capito un.....!
Ciao a tutti, Ettore.



..... e ancora


È ormai certo, lo sciopero ci sarà mentre avevo sperato sino all’ultimo che così non fosse. Lo sciopero è un diritto sacrosanto per tutti; è giusto lamentarsi per una manovra iniqua dagli effetti assolutamente precari; può essere comprensibile ogni difesa dell’organo di appartenenza, ma penalizzare, attraverso il non lavoro, milioni di cittadini che ai giudici si affidano per avere giustizia, non è proprio accettabile.
I magistrati rappresentano i dipendenti pubblici meglio pagati nel nostro ordinamento e ciò può essere giustificato sia dall’elevato grado di preparazione che devono avere, sia dalle responsabilità istituzionali che ad essi competono, è innegabile, però, che, la maggior parte di loro, lavora, in termini temporali, pochissimo.
In tutti i tribunali che frequento, è facile riscontrare mattinate intensissime, dove il giudice è subissato di lavoro, e pomeriggi con aule e corridoi deserte e mi è difficile credere che gli interessati si portino il lavoro a casa; in campo civile, poche volte ho avuto sentore che, alla prima udienza, il giudice avesse già letto gli atti di causa. Perché quindi protestare accentuando ciò che già fanno senza ricorrere allo sciopero!?.
Sono deluso perché, in questo caso, avrebbero dovuto dimostrare la loro contrarietà all’esecutivo attraverso il silenzio e l’operosità ma, probabilmente, nonostante il “pelo sullo stomaco” acquisito con gli anni, mi sono rimaste tracce di ingenuità.
Vi abbraccio
Francesco