mercoledì 28 ottobre 2015

E SE PROVASSIMO A SORRIDERE?

Come avviene ogni anno, l'ultima domenica d'estate è un giorno di festa per il condominio; il signor Dario, noto agitatore condominiale, organizza un pranzo sui prati con tanto di giochi per adulti e bambini. Già da ferragosto l'agitatore si aggira sui pianerottoli suonando a tutti per fare incetta di tavolini, sedie di plastica, sdraio, ombrelloni, giochi di società. Alle ore 23,45 di un sabato, suona al mio campanello; non ho nulla da offrirgli, solo un vecchio guinzaglio di Teo completo di museruola, che rifiuta sdegnato. Comunque mi offro per organizzare un posto di distribuzione rancio con tanto di tavoli, casse di cottura e bidoni di acqua fresca. Gli consiglio di distribuire a tutti i partecipanti al pic-nic gavette e gavettini al posto dei piatti di plastica, poco pratici in caso di vento, molto probabile a fine estate.
Teo, che si era seduto accanto a me, approva con un prolungato latrato. Ora, dovete sapere che il fidocane è un convinto militarista; partecipa alle manifestazioni sportive ”di corsa con l'Accademia”, presenzia a tutte le parate degli Allievi e nutre una segreta passione per i cavalli della Fabrizi. Il signor Dario mi guarda, buio in volto: ”Ma se io non ho neanche fatto il militare..”. Il turpecane inizia a ringhiare, non può sopportare la presenza di un imboscato e sdegnato rientra nel suo alloggio. Nei giorni successivi inizia una misteriosa serie di “incidenti” ai danni del renitente: il sellino della bici da corsa è rosicchiato in più punti, lo zerbino di casa inzuppato con un liquido maleodorante, la macchina appena lavata è lordata con fanghiglia d'origine sconosciuta ma dall'odore inequivocabile; un sospetto comincia a far capolino nella mia mente. Chiamo Teo e senza mezzi termini lo accuso di tutte le malefatte, il perfidocane si sdraia a terra e nasconde il muso tra le zampe (è il suo modo per confessare le colpe lievi), proseguo con tono minaccioso, Teo mi getta le zampacce sulle spalle e guaendo cerca di leccarmi la guancia (è il suo modo per confessare le colpe gravi). A stento trattengo una risata, proseguo la ramanzina minacciando severe punizioni; un umano non può rinunciare ad un minimo di autorità nei confronti del proprio cane. Per sviare i sospetti inizio a far circolare voci di incursioni notturne da parte di alcuni residenti del vicino condominio, gelosi per la nostra capillare organizzazione; aggiungo anche parole di solidarietà perché colpendo il migliore di tutti noi, il nemico intendeva colpire il condominio. Il signor Dario, pieno d'orgoglio, si affida all'amministratore che si era proposto quale paciere. Alle ore 5.30 della domenica convenuta parte l'agitatore condominiale col suo caravan; i condomini normali lasciano, invece, il parcheggio alle ore 10 circa. La giornata è limpida, temperata ma non calda; il prato vicino al lago della Ninfa, ai piedi del Cimone, è interamente occupato da tavoli, sedie e condomini in festa. Su tutto garrisce la bandiera della pace, adagiata sulla chioma di un alberello. L'arrivo dell'amministratore è salutato dal coro che intona l'inno del condominio. Durante il pranzo il signor Dario, armato di microfono, legge l'ultima direttiva dell'amministratore lodandone la concretezza e lungimiranza. La mia proposta di indire sul posto una assemblea straordinaria viene ignorata. I bambini giocano divertiti rincorrendosi in riva al laghetto. Teo, con un rapido colpo di zampa, s'impossessa della bandiera arcobaleno e si allontana abbaiando verso il vicino bosco; è tutta un'armonia quello che si vede, quello che si sente. Dopo alcune ore un lungo applauso saluta la partenza dell'amministratore, le macchine dei condomini cominciano a rientrare in città; mi guardo intorno alla ricerca del perfidocane non ancora rientrato dalla perlustrazione. Al limitar del bosco attivo sul telefonino, alzando al massimo il volume, un segnale di tromba: ADUNATA!! Di corsa arriva Teo masticando qualcosa di sconcio che gli pende dal muso, non voglio indagare oltre, rispondo al suo saluto e anche noi ci apprestiamo al rientro. Gli animaletti del bosco, rassicurati, riprendono sereni le loro attività. Massimo RICCOBALDI

venerdì 23 ottobre 2015

Biogenitorialità




La scorsa settimana, Massimo mi ha chiesto di esprimere (tramite Blob) il mio personale parere su un articolo di Daniela Missaglia (apparso su “il Giornale” del 15 ottobre 2015) dal titolo “Non lasciamo la famiglia in mano a Sindaci folli”. Non so se i nostri “magnifici tecnici”, Oliviero e Pierluigi, riusciranno ad inserire il testo integrale dell’articolo (ce la fanno , ce la fanno : clicca qui per leggere l'articolo !!) il quale, prendendo spunto dal fatto che De Magistris, in qualità di sindaco, ha permesso la trascrizione, sui registri dell’anagrafe del Comune di Napoli, di una doppia maternità nei confronti di un bambino concepito, da una delle due, con l’inseminazione artificiale, stigmatizza quanto segue: 1) non a caso, queste cose succedono solo nei Comuni governati dalla sinistra; 2) non esiste alcuna norma di legge che consente questo; 3) la magistratura ha il dovere vincolante di evitare questo scempio.
Personalmente ritengo che quanto espresso dalla sig.ra Missaglia sia mera propaganda politica non suffragata da una analisi obiettiva dei singoli aspetti. Questo genere di trascrizioni e di riconoscimenti giuridici è, purtroppo, diffuso solo nei paesi dove il concetto di libertà e di democrazia ha valore sostanziale   mentre è considerato fuori legge nei paesi governati da regimi comunisti. La ragione è semplice; il regime totalitario (sia esso di destra o di sinistra) si fonda sul “dogma”, principio imposto ed incontestabile, mentre la democrazia e la libertà hanno “l’etica” quale punto di riferimento la quale, però, è soggetta a mutevoli interpretazioni e a sollecitazioni esterne.
Anche il riferimento alla norme legislative in materia e alla pretesa attività dei magistrati richiesta dalla giornalista sono privi di rilevanza perché se è vero che nessuna legge identifica, per lo stesso bambino, due padri o due madri, è altrettanto vero che, in relazione alla figura del concepito e del minore, l’unico principio fondamentale certo del nostro ordinamento giuridico è l’assoluta tutela del figlio con corrispondente fardello obbligazionario per i genitori. E’ la tutela del figlio che assurge ad interesse pubblico e quali mezzi ha il magistrato per dichiarare che due persone dello stesso sesso non siano capaci di proteggerlo come due di sesso diverso?!. Inoltre, La doppia figura materna e paterna, sempre giuridicamente parlando, ha rilevanza solo formale perché allo status biologico riconosciuto alla madre si contrappone la paternità legittima (in costanza di matrimonio) o la paternità naturale (riconoscimento spontaneo o giudiziario al di fuori del matrimonio) e se prima, con gli istituti della patria potestà e dell’affidamento impostati su un’etica di 50 anni fa, si riconosceva una diversità sostanziale fra i due genitori, oggi si parla di genitorialità come di un unicum .
 Ad incrementare la confusione in atto è intervenuta la sentenza con cui il TAR ha rinviato la questione alla magistratura ordinaria perché, a mio avviso, questa sentenza è da considerarsi sbagliata nell’interpretazione delle norme sulla competenza giurisdizionale. La trascrizione sui registri dell’anagrafe è  un atto amministrativo che, se considerato legittimo, determina, in capo alle due “madri”, gli stessi effetti sostanziali derivanti dagli obblighi che la legge pone a carico dei genitori in genere. Il giudice ordinario chiamato a decidere sul rispetto delle norme sul diritto di famiglia sarà, quindi, legittimato ad emettere provvedimenti sul fatto (il rispetto o meno di questi obblighi) non sullo status dei soggetti chiamati in causa i quali, per la trascrizione sui registri dell’anagrafe, sono da considerarsi genitori a tutti gli effetti. Il giudice ordinario non ha la competenza per poter giudicare legittima o no la trascrizione delle due madri perché le questioni di legittimità sugli atti amministrativi competono esclusivamente al giudice amministrativo.
Sarei ipocrita se dicessi che considero “normale” l’amore fra due persone dello stesso sesso o la convivenza senza il matrimonio o la genitorialità senza un padre ed una madre ma le mie personali convinzioni fanno parte della mia etica che, tramandata dai nostri genitori, appartiene alla nostra generazione e che, purtroppo per noi, è diversa da quella oggi in voga. Non possiamo, quindi, anche per questo genere di cose inveire contro i politici o i magistrati o le Istituzioni in generale perché essi sono come natanti trascinati da un’onda che nessun timone può domare. Ciò che invece, a mio parere, bisognerebbe chiedersi è se questo tipo di richieste viene fatta per quell’amore assolutistico ed incondizionato che un genitore sente verso un figlio o solo per dimostrare al mondo che la propria diversità, in realtà, non esiste.
Un abbraccione a tutti.
Francesco

giovedì 22 ottobre 2015

22 Ottobre 1968, martedì




  4 Novembre 1968




Ricordiamo chi non c'è più.

giovedì 1 ottobre 2015

UN GIORNO, FORSE .....





 Charles De Brosses, magistrato, filosofo e politico francese, scriveva così da Roma nel 1740:      
“ La forma di governo è quanto peggio si possa immaginare: giusto il contrario di quello che Macchiavelli e Moro avevano immaginato. Figuratevi cosa può essere una popolazione composta per un terzo di sacerdoti, per un terzo di persone che lavorano poco e per un terzo di persone che non lavorano affatto. “
Di consistente, gli Stati Pontifici avevano solo il territorio e la popolazione. Dal Tirreno all'Adriatico comprendevano il Lazio,l'Umbria, le Marche, la Romagna e parte dell'Emilia. Si chiamavano Stati appunto perchè uno Stato non c'era. Millesettecento anni creano una mentalità radicata e immutabile. Un guazzabuglio di poteri, di inefficienza, di incompetenza caratterizzavano il regime papalino. Tutto era saldamente in mano a una burocrazia composta da oltre 53.000 sacerdoti, l'elemento laico faceva capolino solo se rientrava nella clientela di qualche alto prelato. Una teocrazia rigida, chiusa a tutto ciò che si presentava come nuovo,soffocava ogni forma di libertà; il ricorso ad eserciti stranieri per ripristinare il potere temporale del “discendente” di Pietro era l'ultima pennellata in questo quadro di sopraffazioni.
I papi Farnese, Borghese, Barberini Sforza, Odescalchi, ed altri ancora, avevano formato una aristocrazia concedendo ai loro familiari titoli e blasoni. Tra questa nobiltà “ nera” e il clero non ci poteva essere competizione; erano legati da vincoli di sangue. Il Cardinale diventava Principe e, purtroppo, viceversa. La via al papato era spianata con o senza intervento dello Spirito Santo.     Quando un Papa veniva eletto, i suoi familiari erano iscritti d'autorità nel “Libro d'oro” del patriziato romano e il giro ricominciava.
A Roma esisteva una forma caricaturale di borghesia, quella che ancora oggi va sotto il nome di “generone”; borghesia formata da famiglie che di padre in figlio si tramandavano alcune professioni come quelle di notai, cancellieri, medici, anch'essi naturalmente al servizio della chiesa.
In altri Stati italiani il seme illuminista diede i suoi frutti perchè a concimarlo c'era la borghesia. Il”generone” romano vi era assolutamente refrattario. Gli unici luoghi in cui gli ospiti stranieri trovavano accoglienza e la possibilità di presentare le nuove idee, erano i salotti dei nobili e dei cardinali. Potevano sì parlare, ma chi li ascoltava era puntellato al sistema e quindi completamente refrattario. A Roma, la cultura restava strettamente legata al potere, unico datore di lavoroe fonte di qualsiasi carriera.
L'unico ceto vivo e vero era il popolino:ignorante, irrequieto, superstizioso e scansafatiche, a volte sanguinario, ma festaiolo, dotato di un suo sarcasmo mescolato a scetticismo.
Proprio dal popolino venivano reclutata la polizia, teppisti mal pagati, violenti e ottusi. Di loro dice Dupaty:”dei briganti privilegiati che fanno guerra a briganti non privilegiati.”
Il cardinale Lambertini, eletto papa col nome di Benedetto XIV, definì quello pontificio un regime ”dove il papa comanda, i cardinali disobbediscono e il popolo fa ciò che vuole”. Questo sant'uomo fu una delle poche luci in queste tenebre.

Eppure anche in questo pantano, spiriti illuminati, liberi e forse sognatori riuscirono per cinque mesi a fondare la Repubblica romana. Carlo Armellini, Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi sperarono invano di aver dato l'esempio al popolo.  Roma, per quel breve periodo, fu luogo d'incontro e di confronto tra molte figure del Risorgimento, accorse da tutta Italia tra cui Garibaldi e Mameli.      Fu banco di prova di nuove idee democratiche che sarebbero diventate realtà in Europa solo un secolo dopo. I cannoni francesi (ecco ancora lo straniero invocato dal successore di Pietro) misero fine a questo sogno.
Lo Stato pontificio non ha mai visto di buon occhio, nel corso dei secoli, la formazione di uno Stato italiano, situazione che avrebbe urtato contro il potere e i privilegi della corte papalina e dei patrizi romani. Pio IX, dopo Porta Pia, si chiuse in uno spendido isolamento durato otto anni dopo aver trasformato Re, Governo, Parlamento e Popolo italiano in una congrega di scomunicati.
L'effetto di tale atteggiamento pesò moltissimo sulle anime semplici dei fedeli, specie meridionali che ancora non avevano digerito l'annessione al nuovo Regno. Teniamo conto che il papa da pochi mesi aveva ottenuto l'approvazione di un dogma sulla sua infallibilità in materia religiosa e morale. Ma questo distinguo non era certamente colto dal fedele analfabeta , per lui il papa era infallibile e basta. Certamente è merito anche suo se fatta l'Italia non sono stati fatti gli Italiani.
L'interferenza della Chiesa sulla vita nazionale continuera' negli anni successivi, e ancora oggi....
Chissà se un giorno un papa, magari amante della storia, avrà il coraggio di riconoscere l'azione frenante della Chiesa sulla nascita del Regno d'Italia, prima, e sulla creazione di una coscienza nazionale, dopo. E magari chiederne scusa agli Italiani.
Chissà, forse un giorno....
   Massimo RICCOBALDI