Moralità e pragmatismo
Ho finalmente finito le mie “vacanze” e, con la ripresa del lavoro di studio, ho riaperto il blog dove ho ritrovato le idee e i dialoghi dei “quattro gatti” che lo animano.
Ormai mi conoscete ed è superfluo riaffermare la mia vicinanza concettuale alle esternazioni di Ettore; per questo non commenterò le disquisizioni sul moralismo di Zuff o la diatriba sulla “fedeltà” degli uomini appartenenti ad un gruppo ideologico; voglio, semplicemente, tentare di ripercorrere, con logica analitica, i momenti caratterizzanti ogni nostro modo di essere e dare la “mia” risposta alla domanda di Zuff e alle affermazioni di Giovanni e Gino.
Il luogo e il livello “sociale” della famiglia di origine hanno avuto un ruolo fondamentale nel creare le prime intime convinzioni sul miglior modo di aggregazione sociale possibile; le capacità intellettive e la voglia di emergere hanno caratterizzato le posizioni personali all’interno dei vari gruppi di appartenenza; l’importanza o la superficialità o la totale mancanza di obiettivi sono stati il motore dei nostri atteggiamenti. Non sempre, però, questi elementi hanno il riconoscimento che meritano e, in funzione dei successi o degli insuccessi ottenuti, attribuiamo importanza causale ad altri fattori, quali la moralità, l’onestà, la dignità, che molte volte non hanno alcuna attinenza con il fatto di riferimento.
Prendiamo ad esempio due casi che hanno coinvolto tutto il nostro corso e che hanno avuto, da parte della stragrande maggioranza, una risposta unanime: la lettere aperta di Giovanni Bernardi successiva al nostro quarantennale e la vicenda giudiziaria del generale Ganzer.
Nel primo caso, Giovanni ha etichettato come ipocrita il cerimoniale del quarantennale in quanto convinto che la conclamata amicizia e fratellanza (l’una acies) si siano concretizzate, in realtà, in una totale indifferenza ai bisogni altrui a favore di un bieco egoismo di potere. Nel caso del capo corso dei nostri anziani, si è puntato il dito contro una giustizia iniqua basandosi sul fatto che per il suo passato di Cadetto e di Carabiniere, Ganzer non avrebbe potuto fare ciò che i giudici gli hanno attribuito.
Nella realtà, Giovanni, nella sua carriera professionale, ha forse subito qualche torto che rende comprensibile il suo sfogo ma il relativo maturato acredine lo ha portato ad esprimere un concetto completamente avulso dalla realtà perché lo spirito per il quale tutti noi ci siamo ritrovati a Modena, non aveva nulla di ipocrita.
Anche per il generale Ganzer, abbiamo espresso una unanime e sana solidarietà fondata sullo spirito di appartenenza ma molti di noi hanno attribuito la condanna alla esclusiva incapacità o inadeguatezza o “disonestà” degli organi giudiziari senza farsi scalfire dal dubbio che il fatto, le infiltrazioni per intenderci, erano state ordinate e che la magistratura avrebbe dovuto essere fermata già al momento delle indagini preliminari eccependo “l’interesse pubblico” alla indagine sulle operazioni ordinate; in questo caso possiamo sì etichettare come ipocrite le dichiarazioni di solidarietà dei politici.
Spesso, quindi, ci è difficile cogliere l’essenza delle cose e giustifichiamo ogni nostra scelta o con l’adeguamento a principi morali superiori o con la necessità di mantenerci il più pragmatici possibili. Nell’ambito delle nostre discussioni politiche, ad esempio, non si è mai accesa una discussione sulla natura e sugli effetti dei provvedimenti normativi adottati ma si è puntualizzato sull’appartenenza ideologica del soggetto o sulla inadeguatezza del contendente come se il politico o il partito in discussione fossero cosa diversa o addirittura avulsa dalla società destinataria di quei provvedimenti. In sostanza, dai nostri dialoghi traspare una difesa ad oltranza dell'uomo o del partito che offusca o entra in contrasto con gli stessi principi che possano aver determinato la personale scelta ideologica o politica.
Colui che auspica una economia capitalistica non dovrebbe giustificare provvedimenti lesivi della libera concorrenza; colui che si professa socialista non dovrebbe invocare l’assoluta libertà imprenditoriale come lite motive del proprio partito; colui che si sente nazionalista dovrebbe scagliarsi contro chi auspica la secessione e non riconosce l’inno nazionale. Invece avviene il contrario e quando, al solo scopo di intavolare un discorso con persone verso le quali ci sentiamo affettivamente legati, puntiamo il dito contro l’amoralità o l’irriconoscenza, la risposta si limita ad apodittiche affermazioni sul fatto che non esiste niente di meglio.
Invece no, non sono tutti uguali e se tutti hanno qualche scheletro nell’armadio o se tutte le onestà hanno un prezzo, non tutti hanno creato alla società la stessa quantità di danni.
Ecco, il punto da focalizzare dovrebbe essere questo, se esiste ancora una ideologia politica, quanto questa possa influire sul bene sociale degli individui e, ancor più, qual è il rapporto fra l’interesse personale di chi gestisce la cosa pubblica e la quantità di danno che dalla sua gestione ne deriva alla comunità.
Restando nell’ambito della ideologia di destra, chi ha letto qualcosa di Almirante sa che i suoi “pallini” erano il rispetto delle prerogative degli organi istituzionali, ai quali bisognava attribuire i massimi poteri, e l’integrità dell’immagine che il rappresentante pubblico avrebbe dovuto dare. Fini ha cercato di seguire questi principi chiedendo una maggiore attenzione sui provvedimenti ad personam e il risultato è stato il voltafaccia di tanti vassalli che non può non essere stigmatizzato e condannato da coloro che a quella ideologia hanno creduto.
Le questioni morali sui matrimoni fra gay, sull’aborto, sulla eutanasia sono fondamentali per l’indirizzo etico che si vuole dare ad una società ma attengono principi filosofici di altissimo livello che dovrebbero essere digeriti dalla comunità senza bombardamenti mediatici e faziosi mentre oggi l’obiettività non esiste. Facciamo, quindi, parlare di moralità solo coloro che possono farlo attraverso l’esempio derivante dal loro modo di essere e soffermiamoci sulle questioni pratiche dove ognuno, guardando anche il proprio entourage, possa esprimersi con dati oggettivi.
La parentopoli privata del povero Fini, usata come arma di distruzione politica e distrazione di massa, ha nascosto un grossissimo favore fatto alla Mondadori, colosso editoriale di Segrate di cui il premier Berlusconi è “mero proprietario” e la figlia Marina è presedente. La Mondadori doveva al Fisco la bellezza di 350 milioni di euro e grazie al decreto n. 40, approvato dal governo il 25 marzo e convertito il legge il 22 maggio, potrà chiudere la vertenza pagando solo 8,6 milioni…come è possibile parlare di mancanza di conflitto di interesse fra la gestione politica pubblica e il proprio patrimonio aziendale?
Ricordo l’enfasi con la quale Gasparri ha spacciato il digitale terrestre come una grande innovazione tecnologica e invidio il buon la Russa quando lo vedo protagonista sui rotocalchi mondani e mi chiedo, come è possibile che avvenga tutto ciò? Come è possibile che il premier, dopo aver proclamato che si sarebbe presentato ai processi, continua a non presentarsi invocando il legittimo impedimento e sta distruggendo uno dei pochi politici veri al suo fianco (parlo naturalmente di Fini che, come tutti noi, ha commesso lo sbaglio di innamorarsi) per far passare la legge sui processi?... Bah!... Gigi dice che confida sulla capacità di decidere del popolo italiano e voglio crederci ma se ci è rimasta un po’ di capacità di analisi, lasciamo i proclami ai tromboni e, da uomini onesti, analizziamo le cose con raziocinio e serenità.
Vi abbraccio
Francesco