Anche se ultimamente sono poco presente, Vi garantisco che seguo giornalmente il nostro Blog per una sana voglia di sentirVi vicino e, senza alcuna retorica, confesso che i commenti sull’ultimo incontro romano mi hanno commosso. E’ incommensurabile la gioia che si prova nell’essere fieri di ciò che si è fatto e noi lo siamo perché, qualunque sia stato il percorso post Accademia, esso ha avuto quale vettore principale quel principio morale che ci ha spinto all’iniziale scelta.
Giovanni, al fine di dimostrare la sostanzialità della retorica propria di una cerimonia militare, ha fatto il paragone con ciò che avviene in un’aula di giustizia ma io vivo giornalmente in quelle aule e ciò che regola il mio comportamento è pura e semplice educazione civica ben diversa dall’ossequioso rispetto che nutrivo e che ancora sento come parte pregnante del mio essere, verso la nostra Bandiera o verso il ricordo dei nostri Caduti.
Il fine delle Forze Armate porta i propri adepti a vivere in modo diverso dal resto dei connazionali e credo che solo per essi possa valere l’assunto che la retorica è forma e allo stesso tempo sostanza. Quando ci si lega ad un giuramento che non crea solo obblighi limitati al proprio lavoro ma che impone, in maniera totale ed esclusiva, un determinato modo di vivere, elementi quali l’uniforme, i vessilli, le tradizioni, i ricordi assumono la forza vincolante dei principi normativi ai quali attenersi.
Nel mondo “civile” non è così perché esiste una continua evoluzione od involuzione sociale ed economica che spesso ti porta a comportamenti lontani da ciò che credevi fosse il tuo modo di essere e penso che oggi, nella Vostra vita di pensionati, non circondati dalle mura di una caserma, Vi siate scontrati con una realtà forse in parte sconosciuta; un mondo dove spesso la disonestà, l’ipocrisia e la menzogna vengono giustificati dalla comune convinzione che “così fan tutti”.
Pensateci, quante volte nella nostra vita di caserma abbiamo giudicato l’operato dei nostri soldati in funzione delle loro idee politiche o della loro cultura o delle loro origini? credo mai …. oggi invece giudichiamo il “peso” di una corruzione o malversazione, in funzione del partito al quale il reo appartiene e tacciamo di bieca ipocrisia moralistica colui che punta il dito verso il malfattore appartenente al partito al quale abbiamo dato il voto. L’onestà, il rigore, la correttezza morale dovrebbero essere principi chiari ed assoluti non valutabili soggettivamente e allora perché quando i soggetti coinvolti sono politici non riusciamo ad essere obiettivi?
La comune convinzione che tutti sono corrotti o che tutti, quando raggiungono il potere, si comportano allo stesso modo toglie ogni speranza verso un futuro migliore e rende privi di significato quei principi sui quali abbiamo basato la nostra vita. Sì perché io credo che a tutti noi sia capitata l’occasione di debordare e se non lo abbiamo fatto non credo che abbia prevalso la vigliaccheria ma, piuttosto, quel semplice attributo chiamato onestà ed è proprio quella onestà che oggi ci da il diritto di puntare il dito verso tutti coloro che hanno dimostrato di non averla.
Alla nostra età il contributo al miglioramento sociale può essere minimo se non irrisorio ma ciò che possiamo lasciare a chi ci sta vicino e a chi ha creduto in noi consiste essenzialmente in quel sacrosanto diritto a giudicare che è proprio di coloro che hanno sempre rispettato le Istituzioni e le norme, morali e legislative, che le regolano. Se la nostra capacità di giudizio viene minata da spinte partigiane o da conoscenze superficiali e/o, ancor peggio, stereotipate, allora sì che anche il saluto a quella bandiera che oggi serviamo al di fuori della caserma potrebbe diventare semplice retorica fine a se stessa.
Questo pensiero lo rivolgo principalmente a me stesso perché nel quotidiano contrastato fra una innata intransigenza ed una più premiante voglia di adattamento non vorrei mai che prevaricasse il concetto “così fan tutti”.
A Roma non ho partecipato per motivi di salute ma, con o senza basco, avrei voluto essere lì.
Un abbraccio,
Francesco.
mercoledì 24 ottobre 2012
martedì 16 ottobre 2012
L'essere Noi
Ho volutamente fatto trascorrere qualche giorno prima di dire la mia sull’ultima esperienza che Ci ha visti ancora una volta riuniti per celebrare degnamente un ulteriore momento della Nostra esperienza di vita che Ci accumuna da quarantaquattro anni.
L’ho fatto perché, nel raccontarla, non volevo farmi condizionare da quella valanga di emozioni che mi e Ci ha investito nelle poche ore trascorse insieme; emozioni che mi avrebbero fatto utilizzare termini ed espressioni fortemente impregnate di retorica (o ritenuta tale) e che avrebbero in qualche modo offuscato la genuinità dei miei sentimenti.
Non eravamo tanti, questo è vero; molti non hanno potuto, a causa di seri problemi di vario genere o delle bizze dei trasporti; altri non hanno voluto, per scelte personali, certamente legittime ma che li hanno qualificati e ne hanno sancito la collocazione nell’ambito del Corso; tutti, però, abbiamo avuto la possibilità di fare un qualcosa che, credetemi, finora nessuno aveva mai fatto.
Dire che è stata un’esperienza totalmente positiva, sarebbe riduttivo; dire che si sarebbe potuto fare di più e di meglio, forse sarebbe presuntuoso; ma dire che tutti quelli che hanno partecipato –compresi, logicamente, coloro che non hanno potuto farlo fisicamente- si sono sentiti attivi protagonisti di un qualcosa di più grande di loro, è sicuramente vero.
Vedete, Amici cari, ho sempre ritenuto che esiste uno spartiacque tra una vita vissuta come l’abbiamo vissuta Noi e quella della “gente comune”; uno spartiacque che è la sommatoria di tanti macro e micro tasselli etici, morali, spirituali ma anche pratici e che delimita e circoscrive in maniera perentoria il Nostro campo: quello dello “spirito di appartenenza”, unico, indelebile collante di umanità, immune dalle offese del tempo e che, mutuando il Poeta, “intender non lo può chi non lo prova”!
La riprova? Guardate questa foto; i protagonisti potrebbero essere ciascuno di Noi.
Io l’ho guardata con molta ma molta attenzione e mi sono convito che la spontaneità, la freschezza, la potenza emotiva e la gioia che spigionano da quell’abbraccio annullano il messaggio di tristezza, di caducità, di declino che vorrebbero trasmettere, invece, quei radi capelli bianchi; come dire: per Noi, per i Nostri sentimenti il Tempo non è nemico!
Abbiamo chiamato l’Evento “Addio alle Armi”, perché tale è stato; allora, consentitimi di concludere con questa frase di Hamingway tratta dall’omonimo romanzo: “La vita di ogni uomo finisce nello stesso modo. Sono i particolari del modo in cui si è vissuta che differenziano un uomo da un altro”.
Un abbraccio a Tutti,
Ettore.
L’ho fatto perché, nel raccontarla, non volevo farmi condizionare da quella valanga di emozioni che mi e Ci ha investito nelle poche ore trascorse insieme; emozioni che mi avrebbero fatto utilizzare termini ed espressioni fortemente impregnate di retorica (o ritenuta tale) e che avrebbero in qualche modo offuscato la genuinità dei miei sentimenti.
Non eravamo tanti, questo è vero; molti non hanno potuto, a causa di seri problemi di vario genere o delle bizze dei trasporti; altri non hanno voluto, per scelte personali, certamente legittime ma che li hanno qualificati e ne hanno sancito la collocazione nell’ambito del Corso; tutti, però, abbiamo avuto la possibilità di fare un qualcosa che, credetemi, finora nessuno aveva mai fatto.
Dire che è stata un’esperienza totalmente positiva, sarebbe riduttivo; dire che si sarebbe potuto fare di più e di meglio, forse sarebbe presuntuoso; ma dire che tutti quelli che hanno partecipato –compresi, logicamente, coloro che non hanno potuto farlo fisicamente- si sono sentiti attivi protagonisti di un qualcosa di più grande di loro, è sicuramente vero.
Vedete, Amici cari, ho sempre ritenuto che esiste uno spartiacque tra una vita vissuta come l’abbiamo vissuta Noi e quella della “gente comune”; uno spartiacque che è la sommatoria di tanti macro e micro tasselli etici, morali, spirituali ma anche pratici e che delimita e circoscrive in maniera perentoria il Nostro campo: quello dello “spirito di appartenenza”, unico, indelebile collante di umanità, immune dalle offese del tempo e che, mutuando il Poeta, “intender non lo può chi non lo prova”!
La riprova? Guardate questa foto; i protagonisti potrebbero essere ciascuno di Noi.
Io l’ho guardata con molta ma molta attenzione e mi sono convito che la spontaneità, la freschezza, la potenza emotiva e la gioia che spigionano da quell’abbraccio annullano il messaggio di tristezza, di caducità, di declino che vorrebbero trasmettere, invece, quei radi capelli bianchi; come dire: per Noi, per i Nostri sentimenti il Tempo non è nemico!
Abbiamo chiamato l’Evento “Addio alle Armi”, perché tale è stato; allora, consentitimi di concludere con questa frase di Hamingway tratta dall’omonimo romanzo: “La vita di ogni uomo finisce nello stesso modo. Sono i particolari del modo in cui si è vissuta che differenziano un uomo da un altro”.
Un abbraccio a Tutti,
Ettore.
sabato 13 ottobre 2012
giovedì 4 ottobre 2012
Addio alle Armi
Fra pochi giorni
avremo ancora una volta il piacere di incontrarci: celebreremo in modo
solenne il nostro “Addio alle Armi” al
sacro cospetto del Milite Ignoto e trascorreremo qualche ora insieme.
Formalmente ed
anagraficamente, si chiude un ciclo che ha visto il 150° “Montello” attivo
protagonista delle vicende dell’Esercito e dell’Arma; ognuno di Noi ha dato il
massimo che potesse dare; ognuno di Noi ha servito, con dignità ed onestà,
quell’Istituzione cui ci eravamo liberamente legati quarantaquattro anni fa;
ognuno di Noi l’ha lasciata nella forma ma l’ha conservata nel cuore.
Vivremo un
momento decisamente molto importante e particolarmente significativo al quale
avremmo voluto, con l’animo, che fosse con Noi il Generale Duranti: Lo avremmo
volentieri rivisto ed abbracciato, sentendoci rassicurati, ora come allora,
dalle Sue parole e dal Suo sorriso paterno.
Ciò, purtroppo,
non sarà possibile: a spiegarcene i motivi, è stato uno dei figli, Pierluigi,
al quale ci eravamo rivolti , facendogli presente che avremmo accolto , con
orgoglio , onore e gioia , il nostro
Comandante.
Egli ci ha partecipato che il Papà -che nello scorso maggio ha compiuto novanta anni- accompagna alla Sua menomazione ed agli inevitabili acciacchi dell’età -vissuta ancora oggi con la Sua forte fibra di combattente- una minore lucidità , perdendo spesso la coerenza temporale.
Pur avendo
considerato l’ipotesi di farGli vivere ancora una volta una “ grande
avventura”, accompagnandoLo a Roma per il nostro Raduno, i figli hanno
ritenuto, con dispiacere , di dover soprassedere. E ci hanno assicurato di aver
così deciso , con cosciente consapevolezza, sia per le reali difficoltà logistiche
connesse al Suo stato, sia, e soprattutto, per evitarGli la sofferenza e
l’umiliazione che Egli oggi prova quando si rende conto dei Suoi vuoti di
memoria.
Gli stessi figli
ci hanno assicurato che il nostro Comandante vive le Sue giornate nel ricordo
nostro e di quel periodo tanto che, a fronte delle perplessità palesateGli di venire a Roma, si è rivolto Loro con tono
autoritario, affermando che, allora, “avrebbe
usato la macchina di servizio”. Spesso, poi, da quel giorno, pretende di
alzarSi per poter partire, dovendo “partecipare
alla cerimonia di inaugurazione del Corso”…..
Nel mentre
formuliamo al Gen. Duranti, il nostro Comandante, l’augurio più fervido per la
Sua salute, affermiamo con orgoglio che i Suoi Allievi, riconoscenti e memori dei
Suoi insegnamenti e della Sua autorevole e paterna guida, lo hanno avuto, per
tutta la loro non breve vita militare, al proprio fianco.
E tale stato di
grazia per il Suo 150° Corso “Montello” troverà nuovo vigore anche il 13 ottobre
, su quella sacra Scalea: oggi come nel lontano ottobre 1968.
Q.d.B.
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