mercoledì 14 luglio 2010
SudAfrica 2010
E così, anche “South Africa 2010” è agli atti della storia del Calcio mondiale.
Ha vinto la Spagna, la squadra che si era presentata con delle credenziali di tutto rispetto ed il cui percorso era stato lastricato da una serie ininterrotta (salvo l’incidente con la Svizzera) di vittorie, tanto da farne una delle papabili alla vittoria finale; aveva solo un neo che ne faceva ridimensionare le ambizioni: quell’incapacità atavica a non saper concretare con un titolo una indubbia superiorità di gioco.
Ora, anche quel neo è sparito e la Spagna entra con tutti i diritti nel novero delle Grandi.
Resterà il ricordo di una Finale più di zampate a stinchi e sterni che di calci al pallone; una Finale ammantata anche di un certo misticismo, se si pensa che, ad un certo punto, erano contemporaneamente in campo un Jesus ed un Elia.
Questo l’aspetto “storico” quello che si scrive negli Annali del Calcio e si perpetua, indelebile, nel tempo; ma ci sono, a mio modo di vedere, altri aspetti che hanno caratterizzato questo Mondiale africano, da troppi intellettualoidi “impegnati” millantato come una rivincita contro un colonialismo becero che ha ridotto il Continente nelle condizioni in cui è; non ne parliamo per non fomentare polemiche sterili e che, con il Calcio, non si azzeccano affatto.
Eccoli gli altri aspetti caratterizzanti: il pallone, gli arbitri, la caduta rovinosa dei miti, le vuvuzelas e l’abbigliamento di Maradona; ai quali bisogna aggiungere solo per noi Italiani, i commentatori ed il polpo Paul.
Non vi è dubbio che il pallone utilizzato, forse per vendicarsi di tutti i calci che gli appioppavano, ha deciso di fare di testa sua, facendo rimediare figure barbine ai portieri ed ai cosiddetti piedi vellutati; abbiamo assistito a scene esilaranti e patetiche allo stesso tempo ma che hanno inciso pesantemente sui risultati di diverse partite. Oddio, non è che quei portieri fossero tutti degli Yashin o che quei piedi fossero di vero velluto, però è stata quantomeno singolare questa scorpacciata di papere!
Gli arbitri , nella più parte dei casi, non sono stati affatto all’altezza dell’importanza della manifestazione; capisco che tutti i Paesi del mondo pallonaro ne dovessero avere almeno uno, però riesce difficile capire come faccia un arbitro di un Paese in cui il Calcio è semi-sconosciuto ad avere l’esperienza per dirigere una partita mondiale: non credo che ci si possa fare le ossa con i corsi per corrispondenza! Per Rosetti & C., invece, non ci sono aggettivi tanto dispregiativi per qualificarne l’operato: non ci bastavano i calciatori a sputtanarci!!!
E veniamo ai cosiddetti miti: quelli che hanno conti correnti a numero indefinito di zeri e che conquistano veline e similia a lunghezza indefinita di coscia. Ebbene, i conti correnti e le veline sono rimasti immutati (anzi tra i due c’è un rapporto biunivoco); quel che è cambiato è la loro faccia o meglio i loro piedi che da “mitici” appunto hanno dimostrato di essere molto ma molto terra-terra: ahò, ce ne fosse stato uno che uno che si sia salvato!
Qualcuno, in prossimità dell’inizio della competizione, si è inventato che le vuvuzelas rappresentavano non so quale tradizione locale che, sempre nel citato spirito di rivalsa sul colonialismo, avrebbero dato un carattere particolare ai primi Mondiali in terra d’Africa. Sembra che, i locali, quegli strumenti infernali non li conoscano nemmeno; in compenso, ci hanno spaccato i timpani (e non solo) in ogni partita ed hanno fatto la fortuna di chi è riuscito a piazzarle in ogni angolo del mondo, riuscendo nella storica impresa di far iniziare alle cinque del mattino le code dei soli dei soliti mona che le volevano comprare.
Ma l’elemento più toccante ma anche più allucinante è stato l’abbigliamento di Maradona che dovendo pur giustificare la sua presenza (non certo quale CT!), ha fatto in modo di farsi notare, infilandosi in un vestito di quattro taglie superiori, color grigio-triste che ben si abbinava con la sua faccia da eterno piagnone. E’ pur vero che in quanto a piagnoni non possiamo lamentarci, però lui si è superato, alternando espressioni da “portatore unico di tutte le disgrazie del mondo”, a baci a go-go, ad espressioni di giubilo certamente più consone ad un raccattapalle; e tutto questo, sempre con i calzoni di lunghezza idonea ad un giocatore di Pallacanestro e con la giacca buona per un lottatore di Sumo.
E veniamo a noi, poveri ex Campioni, ridotti a fare una delle figure più barbine della nostra storia calcistica di tutti i tempi, arbitri e segnalinee compresi!
Ma, a questa miseranda e miserevole figuraccia che abbiamo offerto al mondo, noi, poveri telespettatori RAI nonché tifosi, abbiamo dovuto aggiungere anche il supplizio dei commentatori/esperti/tuttologi che ogni sera ci hanno afflitto con le loro sentenze, occupando l’etere con le loro cazzate dal Capo di Buona Speranza a Piazza di Siena. Già riesce difficile capire perché si siano dovuti spendere tanti nostri quattrini per mantenere una spedizione africana degna dei bei tempi delle esplorazioni; ma se poi a questo si aggiungono la prosopopea arrogante ed inconcludente di Collovati, la lotta continua e mai vittoriosa di Bagni con la lingua italiana, le cronache da libro cuore di Civoli e compagni, le pontificate a sguardi ammiccanti di Bartoletti, le arrampicate dialettali di Cosmi, le farfugliate di Bisteccone , le..... ragazzi non se ne poteva proprio più!
Alla fine di questo mese tormentato e, speriamo, irrepetibile, è arrivato l’unico essere vivente italiano a far parlare di sé positivamente e con stupore: il polpo Paul, di accertate origini nostrane, che ha strabiliato il mondo con le sue capacità divinatorie da far invidia alla più incallita delle sibille.
Ciao a tutti, amanti ed indifferenti dell’arte pedatoria; ci risentiamo tra due anni: per il Campionato europeo.
Ettore.
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