Kurt
Becher, chi era costui?!
Senza
essere irriverenti nei confronti del Poeta, la domanda mi serve per introdurre
un ragionamento -che è senz’altro provocatorio- su uno dei temi che tiene banco
da decenni nella logorrea politica italiota, senza però trovare mai soluzione:
la Corruzione.
Il
Nostro era un alto ufficiale delle SS che “operò” in Ungheria insieme ad
Eichmann ma con una differenza fondamentale: mentre l’uno arrivò a deportare
nel giro di qualche mese più di quattrocentomila ebrei ungheresi, Becher – su
incarico di Himmler- aveva la “missione speciale” di controllare le principali
imprese ebraiche; e già che c’era, pensò pure di “farci la cresta”, imponendo una tariffa di duemila dollari per evitare
la deportazione. Con una serie di escamotage luciferini, scampò a Norimberga,
testimoniò persino al processo contro Eichmann in Israele e visse un’intera
vita come uno degli uomini più ricchi di Germania.
E
così, la Storia ci ha tramandato un Eichmann spietato persecutore ma, comunque,
sempre coerente con la sua “coscienza”, ispirata all’assoluto rispetto della
legge e motrice di un comportamento senza compromessi; dell’altro, solo pochi
“intimi” ne sanno qualcosa. La morale che ne deriva è: è più esecrabile colui
che, pur di rispettare le leggi –ancorché infami-, commina la morte oppure
colui che, per il solo tornaconto personale, baratta la vita con il danaro,
fregandosene della sorte di coloro che non ne hanno? Eppure, esasperando
l’accezione di “etica”: uno era un “fedele servitore dello Stato”, l’altro un
“corrotto”!
Non
c’è bisogno di essere dotati di poteri messianici per affermare che la
corruzione è uno –se non il peggiore- dei mali che affliggono una società, più
o meno complessa; è altrettanto vero, però, che i “grandi uomini” che hanno
fatto la Storia (Pericle, Cesare, Napoleone, Talleyrand ma l’elenco è molto più
lungo) non è che avessero avuto molti scrupoli nell’essere soggetti attivi e
passivi del fenomeno corruttivo. Ed anche in questo caso, è interessante vedere
se quanto di grande Essi hanno fatto sarebbe stato possibile se non avessero
agito in quel modo; e cioè, se la storia del mondo sarebbe stata diversa e,
soprattutto, migliore.
Nietzsche
afferma che i refrattari alla corruzione sono “inguaribilmente mediocri” e Mandeville afferma che una società
onesta è una società stagnante, mentre la corruzione genera una circolazione
incessante di beni e di status.
Koenig
sostiene che “Un potere onesto,
trasparente, fermo nei principi sarebbe debole per natura; per contro, una
corruzione senza potere è un non senso: perché corrompere qualcuno che non può
fare niente per noi? Perché farsi corrompere da chi non ci può dare niente?” I
pensatori più in voga sostengono che una simile affermazione non è un elogio
della corruzione, bensì e paradossalmente del liberalismo, dove l’interesse
personale è prevalente su ogni altra motivazione, in un contesto estremamente
realistico: il corrotto allaccia e rompe le amicizie al ritmo degli affari!
Convengo
che quanto sopra rappresenta una specie di sganassone alla vulgata corrente in
cui tutti ma proprio tutti si ergono a paladini della lotta alla corruzione,
vero cancro di ogni società. Ma proviamo a pensare per un attimo se ciò fosse
vero; una verità che nessuno degli attori interessati ammetterà mai
pubblicamente ma che, invece, potrebbe essere coltivata nell’intimo di ciascuno:
vizi privati e pubbliche virtù!
Eppoi,
se proprio vogliamo esser onesti, chi sarebbe in grado di scagliare la prima
pietra? Chi potrebbe spergiurare di non essersi mai trovato invischiato in un
giro di piaceri, di “grazie”, di “prego”, ancorché i più innocui, quasi
innocenti?
Se
si ragiona in termini fondamentalistici, anche la piccola mancia al
parcheggiatore più o meno abusivo è una forma embrionale di “corruzione”, dal
momento che, pagando, si persegue un interesse personale, rappresentato dalla
speranza di ritrovare la propria vettura integra.
E’
chiaro che non sono queste le cose che sconvolgono il mondo, però sono
l’espressione di un habitus mentale
che comporta atteggiamenti comportamentali, la cui valenza –positiva per
l’interessato, devastante per la Comunità- è direttamente proporzionale alla
posizione, al “posto” occupato.
E
se proprio si volesse essere cinici, si potrebbe affermare che è tutto da
dimostrare se, trovandosi in una determinata posizione, in un determinato
“posto” si avrebbe sempre la
capacità e la forza di saper resistere alle “tentazioni”; oppure, se i pochi che
appaiono come “integri” o che denunciano i corrotti esistenti nel proprio
ambito lo facciano perché convinti o perché invidiosi o perché incapaci.
In
ogni caso, si può dire che la “corruzione” è una componente indelebile della
natura umana e che, in una Società, ne rappresenta una metastasi contro cui non
ci sono cure; e Machiavelli -che di queste cose se ne intendeva- affermava che
i membri del corpo sociale, una volta corrotti, è impossibile riformarli.
Vi
ho sconvolti?Anche se sì, Vi abbraccio lo stesso,
Ettore.