mercoledì 4 febbraio 2009

GAZA – Riflessioni di un profano



Semmai ce ne fosse stato bisogno, i recenti, dolorosi avvenimenti hanno di nuovo catapultato il drammatico problema della Striscia di Gaza sulla scena internazionale, evidenziandone le contraddizioni di fondo che, nonostante i tanti tentativi diplomatici o pseudo tali, si ripresentano ogni volta sempre più inestricabili.
Quanto segue –inevitabilmente conciso sia per la complessità dell’argomento che per il poco spazio disponibile- tenta di inquadrare il “ problema Striscia di Gaza” nel “macro problema palestinese”, senza voler azzardare giudizi di nessuna natura su chi siano i buoni e chi i cattivi.
Non vi è dubbio che la situazione attuale sia il frutto di decenni di equivoci derivanti dalle interpretazioni di comodo delle parti in causa (locali e non), tutte tendenti a portare acqua al proprio mulino: con le buone, con le cattive, grazie a connivenze internazionali più o meno palesi ed anche con tanto danaro. Equivoci che hanno origine nei lontani anni ’20 quando la Società delle Nazioni (sciagurata ed inutile antenata dell’ancor più sciagurata ed inutile ONU), per legittimare in qualche modo le mire di Francia e Gran Bretagna su una Regione divenuta ancor più strategica con l’apertura del Canale di Suez, “si inventò” i Mandati per le due Potenze, allo scopo di educare alla “democrazia liberale” le popolazioni del disciolto Impero Ottomano.
Non c’è che dire: l’afflato educativo è un vero e proprio “pallino” delle Potenze dominanti del momento per giustificare i loro interventi manu militari negli affari interni di altri Stati, specie se hanno rilevanza strategica!
Se a questo equivoco diciamo così internazionale si aggiunge quello derivante dal combinato-disposto dell’intenzione britannica di creare un focolare nazionale ebraico che non ledesse però i diritti civili e religiosi delle popolazioni non-ebraiche della Palestina, si ha l’esatta dimensione del perché la cosiddetta “questione palestinese”, lungi dall’essere risolta, si è vieppiù ingarbugliata nel tempo, quasi con una progressione geometrica.
Gli equivoci, si sa, generano ambiguità specie quando queste possono essere strumentali a giustificare i propri comportamenti. E mi spiego meglio, esaminando il concetto di occupazione che il Diritto Internazionale definisce come “presenza di FA straniere all’interno del territorio di uno Stato in una misura preponderante rispetto a quella delle FA dello Stato occupato”.... ma la Striscia non è riconosciuta internazionalmente come uno Stato : è solo proclamata dall’ANP come parte dei “Territori palestinesi”, né tantomeno ha FA regolari! per cui in teoria potrebbe essere valida la tesi israeliana che, nella Striscia, si effettuano solo operazioni di “polizia armata” contro i terroristi di Hamas. In pratica però, quando le truppe israeliane si ritirano, cessa sì l’occupazione da definizione ma si concreta e perpetua sotto un’altra forma molto più stringente e mortificante: la chiusura dei valichi, il controllo delle coste, l’approvvigionamento di ogni bene, compreso quello supremo dell’acqua. In sintesi, l’occupazione “classica” ha una durata molto limitata nel tempo e nello spazio (anche perché molto onerosa), così si evita di rimettere in moto il balletto delle “preoccupazioni” della “Comunità Internazionale” ma, nel contempo, si tiene sotto controllo l’intera popolazione mediante l’imposizione di una totale dipendenza dai voleri israeliani.

Il terzo ed ultimo esempio lampante della spirale perversa tra equivoci ed ambiguità concerne la tesi che il popolo palestinese sia un tutt’uno omogeneo e granitico, che obbedisce ad un solo capo e che sia un bell’esempio di purezza. In effetti le cose non stanno proprio così; forse, quando Arafat dette vita all’OLP ed inizio all’ondata di atti terroristici (però, gli fu conferito il Premio Nobel “per la pace” nel 1994!) si poteva millantare per unitaria una popolazione affamata, bistrattata, sempre in fuga o più semplicemente eliminata. Da diversi anni a questa parte, non più, soprattutto da quando l’ingente flusso di danaro che arriva sotto forma di “aiuto” si è tramutato in un potentissimo strumento di corruzione in mano a pochi notabili. In pratica, il “popolo palestinese” vive (si fa per dire!) costantemente sotto un duplice ricatto: quello israeliano fatto di divieti, imposizioni, restrizioni ed anche di cannonate se necessario e quello interno dei suoi “capi” che ne condizionano lo sviluppo, impiegando nel modo peggiore l’enorme flusso degli aiuti internazionali. Se ciò non bastasse, nella Striscia Hamas ne ha aggiunto anche un altro: quello di farsi scudo della popolazione per mascherare le proprie azioni terroristiche.
Non è proprio un bel vivere, diciamo la verità!
A tutto ciò, bisogna aggiungere anche i tentativi della diplomazia internazionale tanto maldestri quanto inutilmente dannosi che sono culminati nell’esperimento di includere politicamente i fondamentalisti islamici di Hamas (vittorioso poi alle elezioni) nella dialettica democratica palestinese; esperimento miseramente fallito e che si è tradotto in un’ ulteriore divisione nel campo palestinese, all’interno del quale appare quasi impossibile il solo pensare alla creazione di uno Stato indipendente.
In definitiva, la recente tragedia nella Striscia di Gaza deve essere letta come una ulteriore, inevitabile tessera di quel mosaico mediorientale, intreccio di interessi giganteschi delle Potenze mondiali e regionali che non sembra abbiano alcuna volontà concreta di giungere ad una soluzione, a meno che non si ricominci daccapo cambiando completamente l’approccio.
Perché questo nuovo approccio abbia qualche probabilità di successo, vorrei ricordare le conclusioni cui pervenne l’UNSCOP (United Nation Special Committee on Palestine) creato nel quadro del “piano di partizione della Palestina” nel 1947: “E’ stato pertanto relativamente facile concludere che, finché entrambi i gruppi manterranno costanti le loro richieste, è manifestamente impossibile in queste circostanze soddisfare interamente le richieste di entrambi i gruppi, mentre è indifendibile una scelta che accettasse la totalità di un gruppo a spese dell’altro”.
(Et.Ma)

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