I MILITARI IN SERVIZIO ATTIVO ED I MILITARI IN QUIESCENZA
Cari amici del 150°,
con l’argomento in titolo desidero aprire una riflessione/discussione ed avere un vostro parere, con la speranza che qualcuno legga e comprenda.
Quando si passa dal servizio attivo alla posizione di quiescenza si rimane legati all’uniforme ed a tutto ciò che essa rappresenta, passaggio che prima o poi ci sarà per tutti. Peraltro, nella posizione di quiescenza al grado si fa seguire la parola “riserva” che qualifica il nuovo status, una parola che indica una nuova posizione giuridica, ma non l’estromissione dall’Istituzione. Tant’è che ci hanno sempre insegnato che il grado e tutto ciò che ne consegue si perde solo con la morte. Purtroppo, alla teoria non fa riscontro la pratica e quando dalla posizione di quiescenza si entra in caserma si ha l’impressione di rompere le scatole: ecco il rompi….
Entro nel merito con due esempi su quel che accade. Ma avrei altri aneddoti di vita quotidiana di cui vi faccio grazia.
Il primo. Qualche anno fa, insieme ad altri commilitoni, anche loro in congedo, decidemmo di organizzare un raduno di ex appartenenti al 9° battaglione corazzato “BUTERA” (unità soppressa - di stanza a L’Aquila alle dipendenze della brigata meccanizzata “ACQUI”). Chiesta l’autorizzazione alle Superiori Autorità ci siamo scontrati con i paraocchi del comandante della caserma, attuale sede stanziale del 33° reggimento “ACQUI”, al quale competeva il nulla osta finale.
Naturalmente fu negativo. Ometto di raccontarvi la sequenza degli avvenimenti e le motivazioni addotte (non poteva mancare la Sicurezza davanti alla quale tutto è secondario, anche se a garantirla erano sottufficiali in servizio attivo ex del 9° Butera, effettivi all’unità, offertosi volontariamente e senza alcuna retribuzione di straordinario) che hanno poca importanza con il succo del discorso. Dopo varie sollecitazioni ed interventi siamo arrivati ad un compromesso: autorizzazione concessa limitatamente al percorso: ingresso – monumento, per il tempo necessario alla cerimonia di deposizione della corona. Così, accollandoci le spese per la riverniciatura del monumento (carro L3) e facendo buon viso a cattivo gioco, riuscimmo a depositare una corona di alloro. Finita la cerimonia la manifestazione proseguì in un ristorante vicino alla caserma.
Il secondo. Organismi di Protezione Sociale, ovvero Circoli, Mense, Foresterie, ect. istituiti per il benessere in senso lato dei militari in servizio ed in quiescenza. Il governo taglia i fondi e lo SME anziché cercare soluzioni per mantenerli attivi ed utili alla funzione di Protezione Sociale per cui sono stati istituiti, anche accollando le spese ai frequentatori - costo zero per la F.A., trova la soluzione più sbrigativa che porterà, almeno i più piccoli, localizzati nella provincia italiana, alla chiusura: cederli al miglior offerente e non solo alle associazioni d’Arma come si credeva inizialmente, con gare ed aggiudicazioni a chiunque possa dare qualche garanzia economica. Naturalmente un’associazione difficilmente può dare le stesse garanzie economiche di una impresa commerciale. Questa, se accetta, deve avere il suo tornaconto economico ed allora addio Protezione Sociale, gli organismi in titolo che sopravvivranno diventeranno “circoli esclusivi” con il solo fine di lucro. Quando, invece, le garanzie da dare dovrebbero essere, prioritariamente, di altra natura essendo i circoli luoghi di socializzazione e la culla delle tradizioni militari che solo le associazioni militari custodiscono, pur accollandosi le spese di gestione.
Che dire poi se un’Associazione vuole organizzare qualche cerimonia …. Ma per questo rimando all’ editoriale sul numero di maggio 2009 di Tradizione Militare (allegato) del sig. gen. Mauro Riva presidente dell’ ASSOCIAZIONE NAZIONALE UFFICIALI PROVENIENTI DAL SERVIZIO ATTIVO (ANUPSA), alla quale vi invito ad iscrivervi.
Per concludere, riprendendo il grido di dolore di Gigi Chiavarelli, quando, lamentando la mancanza di informazioni sulle attività delle FF. AA., affermava: i soldati creano imbarazzo come la biancheria sporca esibita nel salotto buono, ma per caso siamo i primi ad essere imbarazzati? Nel campo dell’informazione, pur riconoscendo i passi da giganti fatti dallo SME, ritengo che un ulteriore contributo in merito potrebbero darlo, ancora una volta, le associazioni d’Arma e di categoria che, essendo radicate nel territorio, ne conoscono la realtà (forse in misura maggiore dei vari Comandi Militari Regionali) e, nel contempo, possono muoversi più “liberamente”, anche su input dello Stato Maggiore.
In chiusura vorrei precisare che fortunatamente ci sono tanti comandanti illuminati ai quali il discorso non va rivolto, ma lo SME deve dare disposizioni univoche.
(R.Suffoletta)
TRA IL DIRE E IL FARE …
di Mauro RIVA
(Editoriale di Tradizione Militare – maggio 2009)
Ogni volta che i vertici politici e militari si rivolgono alle Associazioni della Difesa, e ciò avviene sicuramente almeno una volta all’anno, si inneggia alla fondamentale funzione di collegamento spirituale e morale svolta dagli associati tra F.A. e cittadini. Si afferma, con convinzione che gli associati stessi sono i veri testimoni dei sacri valori delle nostre più nobili tradizioni e, in definitiva, si inneggia alla loro insostituibile presenza sul tessuto connettivo della società per l’esemplare comportamento civile che dimostrano e per il sicuro punto di riferimento che essi rappresentano nei giovani nell’affrontare le difficoltà della vita.
Inoltre, se ne loda la serietà e l’abnegazione dimostrate dai veterani durante il loro servizio e, per i più anziani, il valoroso comportamento in guerra quando, a proprio rischio, hanno svolto valorosamente e con scrupolo i propri doveri al servizio della Patria.
Discorsi di convenienza o veri convincimenti?
I fatti, purtroppo, da un po’ di tempo, stanno dimostrando la prima ipotesi.
Ad esempio, le sedi di Presidenza e dei Gruppi nelle varie città d’ Italia vengono spesso negate oppure richieste trascurate in nome di una non ben definita indisponibilità a fronte dell’abbandono o dell’anemizzazione di numerose caserme.
I raduni di Corso in Accademia nella Casa Madre per festeggiare le ricorrenze più importanti (Ventennali, Quarantennali, etc.) vengono accolti non più come in passato, con gioia per vivere una giornata di incontri tra generazioni lontane tra loro nel tempo e come utile osmosi tra le fresche sensazioni dei più giovani, ansiosi di conoscere i sentimenti e le esperienze dei più vecchi, e le nostalgie di questi ultimi che, riandando indietro con gli anni, rivedono se stessi allievi con le ingenuità, le ansie, gli slanci patriottici e le aspettative di quella età.
Gli stessi raduni d’ Arma o di specialità vengono quasi osteggiati; se, per dovere, accettati, si lesinano i pochi concorsi richiesti; e se un misero picchetto di militari in servizio viene inviato, per poche ore, in occasione della principale cerimonia celebrativa, se ne presenta il conto per il rimborso; e ciò non solo per le spese chilometriche degli eventuali mezzi di trasporto concessi, ma persino anche per le ore di straordinario da pagare ai singoli partecipanti (vedasi Dir. SME 1030, pag. 4).
Si afferma, a giustificazione, che mancano i fondi per la partecipazione a queste iniziative; fondi già scarsi a fronte dei molteplici impegni che le F.A. devono affrontare.
In sostanza, si tende a monetizzare tutto, anche i sentimenti e quanto rimane dell’ entusiastico patriottismo rimasto tra i componenti delle generazioni più mature!
Tutto ciò provoca nel personale iscritto alle Associazioni profonda amarezza perché i fatti contraddicono platealmente quanto di esaltante viene da tempo affermato a tutti i livelli e fa comprendere che la tanto conclamata fondamentale utilità del personale in quiescenza iscritto alle Associazioni non è altro che il frutto di una retorica, formulata con sufficienza e forse con sopportazione, da autorità che in fondo considerano del tutto insignificante e velleitaria la presenza delle Associazioni in ambito nazionale.
In questo Paese in cui l’utilitarismo qualunquista più smaccato è diventato regola anche per le più giovani generazioni, non resta che sperare in una inversione di tendenza che recuperi quell’impalpabile, ma sostanziale tesoro spirituale rappresentato, per la nazione, dai sani ed onesti sentimenti patriottici portati dai più anziani sostenitori delle F.A., riuniti nelle Associazioni della Difesa.
Scrive Ettore
Carissimo Zuff,
ho letto con molta attenzione le Tue riflessioni sulla condizione di noi quiescenti ed altrettanto quelle del Gen. Riva, mio vecchio revisore di note che ricordo ancora con profonda stima e sincera ammirazione.
Le ho lette e ne condivo l’amarezza di cui sono permeate, specie laddove si mette il dito nella piaga dolorosa dell’ inarrestabile declino di tutto quanto è Tradizione, con particolare accanimento sulle tradizioni militari; un declino che porterà inesorabilmente all’oblio, in un mondo che di “tradizioni” non ne vuole sapere affatto perché il loro rispetto comporta solo DOVERI e Tu mi insegni che, nell’Italia di oggi, il termine non fa più parte del vocabolario della stragrande maggioranza dei cittadini, soprattutto dei giovani.
Tu ed il Generale lamentate giustamente la scarsa considerazione in cui sono tenute le Associazioni (salvo l’ANA !), sottolineando la progressiva perdita di quei sacri Valori di cui Esse sono gelose custodi, nonché di quella insostituibile funzione di “raccordo” tra mondo civile e mondo militare che hanno assolto per decenni. E’ vero, c’è poco da discutere! Però Vi chiedo: ora che il volontariato (leggi, ammortizzatore sociale) ed il dogma dello straordinario sono i cardini inamovibili su cui si reggono le FA moderne, credete ancora che quattro “vecchietti” nostalgici ed in lotta con l’anagrafe possano costituire ancora un riferimento valido?!
Sarò forse un tetro pessimista, ma credo proprio di no!
E’ molto triste ma dobbiamo arrenderci alla realtà; una realtà che non è la nostra, perché non sono nostri i parametri di riferimento, perché non è nostra la ricerca spasmodica del denaro, perché non è nostro il concetto di orario di servizio. Sono due realtà distanti solo pochi decenni in termini temporali ma anni-luce in termini spirituali.
Ma te l’immagini come saremmo accolti, caro Zuff, se ci mettessimo a parlare di salario d’onore o a raccontare di quante volte abbiamo fatto ripartire i mezzi (dall’AR all’M47) con il buon “fil di ferro” o ci consolavamo delle inzuppature con il fatto che, tanto, eravamo non solubili in acqua?! Credo che Tu convenga con me che, ad essere buoni, ci prenderebbero per degli inguaribili “romantici” e nemmeno tanto a posto con il cervello!
D’altro canto, cosa possiamo aspettarci dopo che generazioni intere sono state allevate nel “culto” manicheo di un antimilitarismo ottuso o di un malinteso pacifismo disfattista, perpetuando una sistematica ma inesorabile demolizione della nostra Storia, specie se, a scriverla, avevano contribuito i militari? Prova a chiedere cosa rappresenta il 24 Maggio: prova a chiederlo ad un studente di qualsiasi ordine o ad un concorrente di uno dei tanti quiz televisivi!
Zuff, Amico caro: che ci piaccia o meno facciamo parte del passato, con l’aggravante che si tratta di un passato che non vuole essere riconosciuto, anzi che si tende a relegare sempre più nel dimenticatoio, salvo che in quelle occasioni ufficiali, in cui si leggono quattro frasi tronfie di retorica ma vuote di sentimenti.
Io non darei nemmeno tutta la colpa ai nostri Vertici, perché anche loro debbono comunque mettere insieme “il pranzo con la cena”e Tu mi insegni che, quando manca il companatico per tutti, si rinuncia a quello la cui perdita è meno influente sulla funzionalità dell’insieme.
Non sono né l’ottusità di un Comandante di reggimento né il drastico ma inevitabile ridimensionamento degli Organismi di Protezione Sociale che ci devono preoccupare, bensì l’indifferenza che ci circonda fino a farci rimpiangere di non essere biancheria sporca: almeno qualcuno si accorgerebbe di noi!
Allora, dobbiamo essere noi a fare quadrato, per dimostrare che eravamo e siamo un corpo monolitico che “ha dato” con onestà e dignità e far capire che, se quelli di oggi possono godere della situazione di benessere (solo materiale, però!) di cui godono, forse un po’ lo devono a questi quattro imbecilli che usavano il fil di ferro e, quando pioveva, invece di mettersi al riparo, continuavano a lavorare sotto la pioggia.
Ti ringrazio, caro Zuff, e ringrazio il Gen. Riva di avermi dato l’opportunità di sfogarmi un po’; sapete tutti che non sono un pessimista e, se qualcuno, mi dimostrerà che quanto ho detto è sbagliato, sarò felicissimo di ammetterlo pubblicamente.
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