(Cliccaci sopra per ingrandirla)
Chissà quante ne avete anche Voi di così belle .
Mandatecele .
(Q.d.B.)
Il Romano antico che avesse avuto ambizioni di percorrere il cursus honorum non poteva esimersi dall’offrire ai suoi gaudenti e sfaticati concittadini spettacoli ludici per accaparrarsene i voti; si ricorreva agli spettacoli anche per celebrare vittorie militari di una certa rilevanza; e così facevano taluni Imperatori per far dimenticare ai cives che erano diventati “sudditi”.
Anfiteatri, circhi e teatri facevano bella mostra di sé, per soddisfare i raffinati gusti di quel populus che, a differenza dei suoi trucidi discendenti, non si limitava a riempire la curva Nord o quella Sud, bensì dimostrava appassionata competenza.
Man mano che il gagliardo “spirito repubblicano” si afflosciava –vuoi perché le guerre le facevano gli altri, vuoi perché era diventato noioso essere sempre seri- il popolo cominciò a pensare che uno stomaco sufficientemente pieno abbinato a giornate e mesi passati a divertirsi potevano essere, tutto sommato, un accettabile palliativo per la perdita della libertà o per la mancanza di lavoro.
Panem et circenses divenne quindi la panacea di una società totalmente diversa da quella che aveva fatto grande Roma, nonché l’espediente cui era facile ricorrere in caso di difficoltà.
Se per il pane provvedevano i fornai, ai circenses ci pensava una figura mitica nella Roma imperiale: il procurator.
Era, costui, un funzionario che provvedeva a rendere noti il motivo e la durata degli spettacoli o dei munera (con nomi e specializzazione dei gladiatori), eventuali altre “offerte” inserite nel “pacchetto” e connesse con le disponibilità di chi offriva; il tutto, rigorosamente inciso sui muri!
Questo salto nella Roma antica mi è servito per vedere se esistono analogie con quanto stiamo vivendo noi ai nostri giorni.
Oggi, sui muri, si scrivono altre amenità che attengono prevalentemente alla sfera sessuale o a quella sportiva dello scrittore e che, quasi mai, assurgono a livelli di decenza. Oggi, se si vuole lanciare messaggi, fare proseliti, insultare qualcuno, propagandare qualcosa basta ricorrere alla televisione, questa subdola e perfida imbonitrice che si insinua nelle menti di chi ascolta, abbonandogli anche la fatica di leggere.
Forse, non è tanto corretto parlare di panem, anche perché questo nobile alimento che ha provveduto a sfamare l’umanità per millenni è sempre più sostituito da altri che millantano chissà quali virtù dietetiche; io parlerei piuttosto di un qualcosa di immateriale come può essere il continuo ed assillante ricorso alla diffusione di determinate notizie, specie quando queste servono ad alleviare tensioni o a ridimensionare malcontenti o a spostare l’attenzione su cose decisamente più leggere. Se vogliamo, possiamo pure azzardarci a parlare di lavaggio del cervello.
I TG brulicano di “buone notizie” circa la salute della nostra economia, sull’attivismo governativo in ogni settore del Paese, sulla “tenuta” della maggioranza, sul beneficio per tutti della promulgazione di leggi che invece paiono essere solo per pochi intimi, sulla “bontà” delle banche nostrane, sul fatto che usciremo meglio e prima di tutti dalla crisi, sulle sfilate di moda, su......su una miriade di cose che, a forza di essere ripetute, finiscono per convincere lo spettatore generico medio che, alla fin fine, siamo stati proprio fortunati! Persino le batoste della Nazionale di rugby vengono proposte come successi, ancorché morali, nell’ottica del famoso aforisma romanesco :”m’ha menato ma sapessi quante jienò dette!”
Poi arrivano gli spettacoli che non saranno cruenti come quelli antichi ma sono di una pochezza di contenuti da far accapponare la pelle ad un coccodrillo. In un turbinio di “case”, di “isole”, di “amici”, di “domeniche” più o meno buone, di varietà che sono un monumento alla volgarità, alla rissosità ed all’insipienza, il cervello di quello spettatore generico medio (che poi deve essere pure in buona compagnia, stando agli indici di ascolto) è destinato ad un progressivo ed inarrestabile annichilimento che lo porterà al rimbambimento totale.
Non meravigliamoci, quindi, se il popolo italiano si preoccupa solo di telefonini, se ha il più alto grado di ignoranza del mondo civile, se si riempie di debiti per andare in vacanza o per frequentare una palestra o per rifarsi una tetta, se ha i suoi modelli di vita nelle “veline”o nei “calciatori”, se preferisce distruggersi nelle discoteche o nei rav-party.
Sono cambiati o meglio, sono mutati il panem e i circenses ma temo che il risultato sia anche peggiore.
Pensate che dietro tutto questo ci sia un procurator, magari anche due?!
Ciao a tutti,
Ettore.
Per non sentire le idiozie che normalmente vengono dette in quindici minuti , durante l’intervallo tra il primo ed il secondo tempo della rocambolesca trasferta ucraina, mi sono messo a fare un giro di canali, giusto per vedere cosa passava il convento.
Mi sono così imbattuto in uno di quei film di Peppone e Don Camillo che avremo visto tra le due e le tremila volte, proprio quando c’era la scena dell’eventuale abbattimento dell’edicola sacra; quando cioè neppure il più “trinariciuto tra i trinariciuti” ha avuto il coraggio di prendere a picconate quei pochi mattoni che si reggevano a malapena in piedi ma che racchiudevano l’immagine sbiadita della Tradizione (non solo quella legata alla Fede, si badi bene), quella a cui anche la più proterva della logiche di partito si dovette inchinare.
Ed allora, è stato naturale fare un parallelismo con la recente sentenza della “Corte europea per i diritti dell’uomo”, quella per intenderci che vorrebbe “imporre” all’Italia il divieto di esporre il Crocefisso nelle aule scolastiche, in nome di un fantomatico “rispetto” di chi non la pensa in quel modo.
Scusatemi: io sarò pure ignorante ma a chi invece la pensa in quel modo chi glielo garantisce il “rispetto”?!
Non credo che agli albori del terzo millennio si possa e si debba ragionare come ai tempi dell’ Inquisizione, però mi sembra che ora le cose si siano ribaltate; ora mi sembra che con questa litania del “rispetto delle minoranze” si stia un tantino esagerando; ora mi sembra che, in nome di un “diritto individuale” (chissà perché non si parla mai di “doveri”?!), si stia permettendo di prendere a picconate i pilastri portanti dell’ identità di un’intera Nazione.
Non mi risulta che nessun popolo possa essere obbligato a dare un colpo di spugna su quello in cui crede o che almeno rispetta per fare piacere ad una percentuale infinitesima che non la pensa nello stesso modo; se così fosse, si ribalterebbero gli stessi principi fondanti di ogni democrazia.
Ma dirò di più: si instaurerebbe una versione moderna di colonialismo, ancor più devastante di quello che è stato mandato in soffitta nell’ultima metà del secondo millennio, in quanto mascherato da ipocrita appiattimento su teoremi che non sono accettati da tutti.
Spiegatemi voi perché si devono esecrare il Conquistadores che cancellarono ogni cultura nelle Americhe centrale e meridionale, o i coloni che fecero altrettanto in quella del Nord, o quanti si adoperarono in tal senso in Africa ed invece accettare un comportamento similare ai nostri giorni; l’unica differenza sta nel metodo: non più a botte di massacri ma con una semplice sentenza.
E’ pur vero che, già da tempo e grazie al nostro atavico provincialismo, abbiamo abdicato a molte forme della nostra cultura e della nostra tradizione; abbiamo mandato in soffitta la cara Befana per sostituirla con un simpatico vecchietto dalla lunga barba bianca che si sposta su una slitta trainata da renne ( come noto, entrambe “tipiche” ed usuali in Italia!); abbiamo seppellito la “melodia” con gli urlacci, tutti rigorosamente non italiano; parliamo per acronimi o con frasi di un’altra lingua, facendo rivoltare nella tomba i Dante ed i Manzoni; scimmiottiamo quello che non siamo né potremmo mai essere (Halloween compreso), come ben ci ha insegnato l’indimenticato Alberto Sordi.
Ma se tutto questo attiene essenzialmente alla sfera del consumismo più becero, quella del Crocefisso è tutt’altra storia, nel senso che si tratta di materia talmente personale, talmente intima, talmente sublimante che nessuna sentenza di nessun tribunale al mondo può togliere ad un popolo che, in quel Simbolo, in qualche misura si riconosce.
Se così non fosse, allora ci resterebbe solo l’amara e terrificante considerazione del Cardinale Bertone: una zucca, una inutile, vuota zucca.
Ciao a tutti, Ettore.
I delitti sono proporzionati alla purezza della coscienza, e quello che per certi cuori è appena un errore, per alcune anime candide assume le proporzioni di un delitto (Honoré de Balzac).
Ho scelto volutamente questo aforisma del grande scrittore del Verismo francese non certo per far sfoggio di conoscenza, quanto perché l’affermazione è funzionale al modesto ragionamento che vorrei fare sul significato di “coscienza” , individuale e collettiva, ai nostri giorni ed in determinate aree del Paese.
Lo spunto mi viene da due recenti fatti che definire atrocemente inumani sarebbe solo un pietoso eufemismo: il suonatore ambulante che muore in una stazione ferroviaria ed il camorrista assassinato davanti ad un negozio in pieno giorno.
Entrambi nell’indifferenza più totale della gente, entrambi a Napoli.
Si è trattato di due episodi che mi hanno profondamente colpito, non tanto e non solo perché ritenevo che la pietà fosse ancora un sentimento diffuso nei cuori italici, ma anche perché non pensavo che potesse essere stata sostituita dall’indifferenza più assoluta.
Le grida di quella donna che chiede aiuto per il marito morente e che rimbombano inascoltate sono la testimonianza dello stato di durezza dell’animo di tutti i presenti, i quali, magari, si definiscono pure “brave persone”; così come quella donna che scavalca per ben due volte l’uomo colpito che giace a terra e per la quale riesce difficile trovare aggettivi che possano essere attribuiti al genere umano.
La cosa assume una dimensione ancor più agghiacciante se rapportata allo stereotipo del Napoletano Generico Medio: tutto mare e luna, che chiama i figli piezz’e core, che cadenza il suo tempo sul giorno del miracolo di San Gennaro e che ha elevato a ragion d’essere l’ammore!
Non so cosa mi diranno Giggione e Francesco al riguardo; certo dovranno far riscorso a tutte le loro eccelse doti morali e dialettiche per farmi capire come sia possibile conciliare simili atteggiamenti con quello spirito cristiano che dovrebbe costituire la linea-guida di ogni essere umano.
Giggione afferma – ed a ragione - che “parlare di Dio imbarazza”; ed io gli chiedo: ma di quale “dio” si deve parlare riguardo a quegli esseri così inumani, così lontani cioè da quell’idea di Uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio?
Francesco afferma – anche lui a ragione - che “non ci si deve allontanare né da Dio né dalla realtà terrena”; ed io gli chiedo: nella fattispecie, dove ci potremmo collocare, considerato che Dio non vi è contemplato e che la realtà terrena è orripilante?
In queste poche righe, non ho certo parlato di “delitti” intesi nell’accezione giuridica, quanto piuttosto in quella morale: quella cioè che è governata e regolata dalla “coscienza” cui si riferisce il buon Balzac.
Non ho la presunzione di essere un buon cristiano né, tanto meno, “un’anima candida”: ma di considerami un essere umano, quella sì che ce l’ho, e pure in buona dose.
Un abbraccio, Ettore.
(Fatti e protagonisti della storia militare nazionale)
Novembre