I delitti sono proporzionati alla purezza della coscienza, e quello che per certi cuori è appena un errore, per alcune anime candide assume le proporzioni di un delitto (Honoré de Balzac).
Ho scelto volutamente questo aforisma del grande scrittore del Verismo francese non certo per far sfoggio di conoscenza, quanto perché l’affermazione è funzionale al modesto ragionamento che vorrei fare sul significato di “coscienza” , individuale e collettiva, ai nostri giorni ed in determinate aree del Paese.
Lo spunto mi viene da due recenti fatti che definire atrocemente inumani sarebbe solo un pietoso eufemismo: il suonatore ambulante che muore in una stazione ferroviaria ed il camorrista assassinato davanti ad un negozio in pieno giorno.
Entrambi nell’indifferenza più totale della gente, entrambi a Napoli.
Si è trattato di due episodi che mi hanno profondamente colpito, non tanto e non solo perché ritenevo che la pietà fosse ancora un sentimento diffuso nei cuori italici, ma anche perché non pensavo che potesse essere stata sostituita dall’indifferenza più assoluta.
Le grida di quella donna che chiede aiuto per il marito morente e che rimbombano inascoltate sono la testimonianza dello stato di durezza dell’animo di tutti i presenti, i quali, magari, si definiscono pure “brave persone”; così come quella donna che scavalca per ben due volte l’uomo colpito che giace a terra e per la quale riesce difficile trovare aggettivi che possano essere attribuiti al genere umano.
La cosa assume una dimensione ancor più agghiacciante se rapportata allo stereotipo del Napoletano Generico Medio: tutto mare e luna, che chiama i figli piezz’e core, che cadenza il suo tempo sul giorno del miracolo di San Gennaro e che ha elevato a ragion d’essere l’ammore!
Non so cosa mi diranno Giggione e Francesco al riguardo; certo dovranno far riscorso a tutte le loro eccelse doti morali e dialettiche per farmi capire come sia possibile conciliare simili atteggiamenti con quello spirito cristiano che dovrebbe costituire la linea-guida di ogni essere umano.
Giggione afferma – ed a ragione - che “parlare di Dio imbarazza”; ed io gli chiedo: ma di quale “dio” si deve parlare riguardo a quegli esseri così inumani, così lontani cioè da quell’idea di Uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio?
Francesco afferma – anche lui a ragione - che “non ci si deve allontanare né da Dio né dalla realtà terrena”; ed io gli chiedo: nella fattispecie, dove ci potremmo collocare, considerato che Dio non vi è contemplato e che la realtà terrena è orripilante?
In queste poche righe, non ho certo parlato di “delitti” intesi nell’accezione giuridica, quanto piuttosto in quella morale: quella cioè che è governata e regolata dalla “coscienza” cui si riferisce il buon Balzac.
Non ho la presunzione di essere un buon cristiano né, tanto meno, “un’anima candida”: ma di considerami un essere umano, quella sì che ce l’ho, e pure in buona dose.
Un abbraccio, Ettore.
Carissimo Ettore
RispondiEliminaOliviero dice che ti faccio troppi complimenti perchè, come te, sono juventino ma, oltre alla passione per la nobile e traballante signora, mi piace e ammiro la tua voglia di comprendere e di confrontarti.
Quando ho parlato dell'introspezione, ho tentato di spiegare come io vedo il rapporto Uomo/Dio e del modo di potersi a Lui avvicinare attraverso la cognizione e la sopraffazione delle proprie debolezze.
Solo la totale eliminazione dei vizi e dei difetti umani porta alla realizzazione della somiglianza divina e la permanenza terrena dell'uomo dovrebbe essere uno sforzo continuo per il raggiungimento di questo obiettivo.
Non penso, quindi, che gli episodi da te raccontati determinino una inconciliabilità dello spirito cristiano perchè il Cristo si è immolato proprio per dimostrare che l'egoismo, l'indifferenza verso gli altri, la repulsione dell'amore, avevavno irrimediabilmente allontanato l'uomo da Dio e se oggi la visione di quelle scene incute tristezza e sdegno, significa che quello spirito è in noi presente.
Sino a quando avremo la sensazione del bene e del male ci potremo collocare fra i tanti uomini che vivono la vita quotidiana con le proprie negatività e positività ma nella consapevolezza (qualche volta un po' ipocrita) che potremmo fare di più per avvicinarci a quel Dio che è comunque sempre presente.
Ciao
Francesco