Sabato scorso Ettore mi aveva segnalato un editoriale di Sergio Romano, apparso sul Corriere della sera, dal titolo “Riforme piccole (e sbagliate)” chiedendomi un parere tecnico.
Sergio Romano può definirsi un anziano diplomatico conservatore che ama scrivere e che, per esperienza, cultura, acutezza e brillantezza intellettiva, non è mai banale o fazioso.
Per chi non lo avesse letto, in questo editoriale, pubblicato il 14 novembre, egli stigmatizza la carenza delle riforme sulla giustizia emanate dai due governi Berlusconi perché motivate, soprattutto, dal desiderio di risolvere i problemi personali del premier e perché elaborate da avvocati investiti di funzione pubblica ma al servizio privato dello stesso premier.
Ciò non di meno, secondo l’editorialista, l’obbligatorietà dell’azione penale è un alibi per porre alla ribalta procuratori con ambizioni politiche; il Consiglio superiore della magistratura è un parlamento in cui sono rappresentate correnti ideologiche; l’Associazione nazionale magistrati agisce come una lobby per condizionare l’attività del parlamento; la lungaggine dei processi procura danni irreparabili anche all’economia nazionale.
Per questo, sempre a parere di Romano, la riforma della giustizia va fatta prima di qualsiasi altra riforma. Personalmente, non condivido quest’ultima considerazione e cercherò, nella maniera più stringata possibile, di spiegarne i motivi.
E’ vero che il Consiglio superiore è un parlamento ma se si considera che esso dovrebbe avere essenzialmente una funzione di controllo, ritengo giusto che sia così perché in questo modo contiene, in maniera proporzionale, rappresentanti delle varie ideologie liberamente scelte dagli elettori. L’alternativa dovrebbe essere che la nomina venga fatta esclusivamente dai magistrati, con l’assurdo che i controllori sarebbero gli stessi controllati, o da chi governa, con la realizzazione di una fusione fra organo esecutivo e organo giudiziario riscontrabile solo nei paesi comunisti. Il problema non è nella formazione del Consiglio ma nella capacità professionale e caratteriale degli uomini che lo compongono e, purtroppo, nelle pubbliche istituzioni si ha la tendenza a scegliere chi crea meno problemi piuttosto che l’innovatore super attivo capace, anche, di creare problemi .
E’ vero che l’associazione nazionale magistrati è un organo sindacale ma non esistono elementi per poter dire che sino ad ora essa abbia condizionato il Parlamento. Certamente interviene in tutte le norme che la riguardano ma il legislatore e l’esecutivo sono sempre andati avanti per la loro strada senza farsi intimorire. Hanno fatto molto più danni i sindacati di sinistra quando hanno costretto il Parlamento ad emettere le norme dello Statuto dei lavoratori per le quali il dipendente, anche se assenteista incapace, è diventato illicenziabile.
Sulla separazione delle carriere, i miei colleghi penalisti sono molto divisi fra loro ma non lo ritengono un fatto di primaria importanza. Inoltre, il protagonismo dimostrato da molti procuratori, seppure deprecabile e deleterio, non ha portato alla introduzione di processi infondati e l’azione penale si è sempre fondata su consistenti elementi fattuali e di diritto; tutti i processi di tangentopoli e quelli che riguardano le aziende del premier sono partiti da elementi oggettivamente esistenti.
La questione più importate resta, quindi, la lungaggine dei processi che, per la mia esperienza, ritengo determinata dai seguenti fattori:
a) Norme procedurali esistenti;
b) Scarso tempo lavorativo messo a disposizione dei magistrati nelle aule del tribunale;
c) Tendenza, da parte di molti avvocati, a chiedere rinvii.
Chi decide le norme che regolano i processi civili e penali è il legislatore e non la magistratura e le riforme presentate in questi ultimi anni, con particolare riferimento a quelle presentate dal centro destra, sono state contraddittorie e di difficile applicazione. In una situazione simile è facile per chi governa il processo, cioè il giudice, interpretare in maniera del tutto personalistica. Vi porto come esempio la procedura relativa al diritto societario nella quale sono state inserite le cause che i risparmiatori fanno contro le banche. Negli ultimi cinque anni, questa ha subito tre trasformazioni passando da un regime ordinario ad uno straordinario (simile al processo del lavoro) per ritornare, dal luglio scorso, al regime ordinario; il risultato è stato che tutti i processi incardinati a Parma (per la Parmalat) sono favorevoli al risparmiatore perché la lentezza di quell’ufficio ha fatto sì che si applicasse il regime ordinario; in sezioni veloci, come quella di Milano, si è applicato il regime straordinario che, per le preclusioni sui mezzi istruttori, ha avvantaggiato le banche.
Sempre a mio avviso, una riforma procedurale dovrebbe avere come fine principale la regolazione dei termini fra le varie fasi del processo imponendo, coercitivamente, al giudice, quale organo fondamentale, il rispetto di detto termine.. Un processo lungo danneggia sia le parti processuali che le casse dello Stato e la coercibilità a carico del giudice potrebbe consistere nella possibilità reale, per il danneggiato che ne ha interesse, di richiedere un congruo risarcimento. La relativa azione dovrebbe essere sottoposta al giudizio di un giudice speciale operante al di fuori del distretto presso cui lavora il giudice responsabile.
Un iter simile non ha bisogno di grandi riforme istituzionali ma solo di una semplice legge ordinaria e sono i legislatori, non i giudici, che dovrebbero pensarci.
Ho sempre detto che la maggior parte dei giudici che ho professionalmente conosciuto è formata da gente onesta e molto preparata ma non posso negare che tutti passano in tribunale un numero limitatissimo di ore. Dalle h. 14,00 le aule sono pressoché deserte e se si tenessero udienze anche di pomeriggio, i tempi di un processo sarebbero dimezzati. Sotto questo aspetto è più verosimile parlare di lobby perché chi ha la mansione di presidente della sede, e quindi chi ha il potere di disporre e controllare il funzionamento della sede stessa, è un giudice che precedentemente si è sempre comportato alla stessa maniera dei suoi subordinati.
Anche la condotta degli avvocati non è immune da critiche perché spesso e volentieri vengono chiesti rinvii non suffragati da un reale interesse per il cliente e un processo lungo dà la possibilità di emettere parcelle di importo superiore.
A mio avviso, quindi, la riforma della giustizia può essere fatta prendendosi tutto il tempo necessario per partorire norme adeguate ma non deve essere anteposta a problemi molto più seri quali la disoccupazione, il precariato e la corruzione che non è diminuita dopo tangentopoli perché gli effetti di queste sono molto più destabilizzanti di un eventuale processo al nostro premier.
Alla prossima
Francesco
Grazie, caro Francesco, delle delucidazioni che ci hai fornito per cercare di fare un pò luce in un mondo "oscuro" ed impenetrabile come quello della giustizia, e non solo italiana.
RispondiEliminaVista la mia ignoranza in materia, non posso che prendere atto di quanto tu affermi e, siccome so chi sei e per questo ti stimo, mi fido ciecamente di quello che dici, salvo...salvo quando tenti una velata difesa dell'Associazione Nazionale Magistrati (ANM), giustificandone l'esistenza e l'azione in quanto "organo sindacale".
E' vero che i danni provocati dai sindacati di sinistra sono enormi (e non solo nel caso da te citato) ma sono comunque sempre rimediabili, laddove esistesse la volontà politica di farlo. Nel caso della ANM, invece, i danni potrebbero essere anche di portata inferiore ma sarebbero sempre e comunque quasi irriparabili, considerata la potenza -anche politica- della stessa.
Non mi sembra molto aderente alla realtà l'affermazione che non ci sarebbero elementi che certifichino "condizionamenti" del Prlamento, come però non ce ne sono nemmeno per i sindacati di sinistra.
Stiamo parlando di strutture autoreferenti, di una capacità di pressione inaudita, gelose del loro immenso territorio e che reagiscono con virulenza ad ogni tentativo di ridimensionarne il monopolio, trincerandosi dietro gli stereotipi dei "diritti dei lavoratori" o della "indipendenza della magistratura". A questo punto, quale potrebbe essere quel politico capace di assumersi la responsabilità di essere tacciato da "liberticida affamatore del popolo"?!
Il fatto è, caro Francesco, che, nella mia visione ingenua ed empirica dell'organizzazione sociale, il "giudice" deve essere come la "moglie di Cesare", al di sopra di ogni sospetto, a cominciare da quello di essere politicizzato e sindacalizzato.
Ciao, Ettore.
Caro Ettore
RispondiEliminapur non essendo mai stato iscritto ad alcun sindacato di categoria, ritengo legittima la loro esistenza in quanto organo di rappresentanza. Le norme dello statuto dei lavoratori alle quali mi riferivo sono realmente un grosso handicap per i datori di lavoro e questo ho potuto constatarlo in tutte le vertenze di lavoro che ho seguito. Lo statuto è stato emesso nel 1970 sotto un governo centrista il quale non lo avrebbe mai promulgato se non fosse stato spinto dai sindacati che allora poteva considerarsi un partito politico a tutti gli effetti. Non so se la tua contrarietà al sindacato magistrati si basi sulla convinzione che esso abbia un occulto potere o perchè la natura professionale del giudice non si concilia con quella del sindacalista ma, in ogni caso, non saprei darti una risposta adeguata. Devi comunque convenire con me che, negli ultimi anni, sono state emanate molte leggi verso le quali l'associazione ha sempre espresso una inascoltata contrarietà.
Ti abbraccio
Francesco