"Ho scoperto a chi presumibilmente darò il mio voto!”
Con questa frase, Gino ha comunicato ad alcuni di Noi che, forse, era finalmente riuscito ad individuare un candidato da votare senza “turarsi il naso”; l’entusiasmo che traspariva da questa comunicazione sembrava quasi una sorta di “liberazione” che lo opprimeva e che opprime la maggior parte del popolo italiano: per Lui, il dado era (quasi) tratto!
Siffatta “folgorazione” è avventa sulla via o meglio sulle onde dell’etere e precisamente seguendo una delle tante trasmissioni televisive che ci deliziano durante tutto l’arco della giornata, salvaguardando solo le ore dei pasti che, però, sono occupate dai vari TG più o meno schierati.
Gino ci dice che questo homo novus della politica lo ha colpito “per la chiarezza e l'incisività delle idee, né di destra né di sinistra ma di buon senso, e soprattutto nuove anche se tengono conto, specialmente nel recepirne lo spirito, della vecchia esperienza italiana negli anni che hanno determinato il boom economico del dopoguerra”.
Personalmente, non posso che essere contento, quasi lo invidio, per Gino -di cui sono note l’adamantina onestà intellettuale e la granitica saldezza dei principi morali- che, forse, è riuscito ad intravedere una fioca lucina la termine di questo oscuro, interminabile tunnel quale è la politica (volutamente minuscolo) italiota: ma sono contento solo perché Gli sono Amico e non certo, ahimè, perché il suo entusiasmo abbia qualche speranza di concretarsi, altro ahimè.
Certo, tutti ci ringalluzziremmo se potessimo fare l’analisi sulla persona piuttosto che sull’ideologia (ammesso che ne esistano ancora!), se potessimo guardare i contenuti e la qualità delle argomentazioni prospettate (affermazioni di Francesco) ma, ancora ahimè, ci manca la materia prima; basta approfittare del maltempo e passare la giornata a seguir questa parodia di “confronto elettorale” che ci viene propinata a man bassa: trovatemi un altro come quello che ha trovato Gino ed io lo voto senza se e senza ma!
Ma, ammesso e non concesso che questo “qualcuno” esista, la domanda più immediata sarebbe: e come fa ad essere eletto? Su quale manipolo di eroi baserà la sua forza per portare avanti discorsi seri, concreti, fattibili?
E qui, casca l’asino, nel senso che l’attuale porcellum (con tutto il rispetto per il nobile e prelibato animale ispiratore) è lo strumento principe per stroncare qualsiasi velleità migliorista, purificatrice, rigeneratrice, chiamatela come vi pare; questo subdolo sistema liberticida (perché impedisce la libera espressione del voto, subordinandolo alle scelte dall’alto) continuerà a vanificare le capacità personali a tutto vantaggio di un gregge di “alzatori di mano” che ha rinunciato alla propria dignità “per un pugno (anzi tanti pugni) di €”.
Ad onor del vero, bisogna riconoscere che un partito ha fatto un timido tentativo di “ridare la voce agli elettori”, attraverso le cosiddette “primarie” che hanno consentito al popolo di illudersi di contare qualcosa e ad un plotoncino di candidati di sperare di essere messi in lista, in virtù dei voti raccolti. Ma questa immagine di “trasparenza”, ancorché ridotta, probabilmente, è stata inquinata delle solite caramille perpetrate nelle segrete stanze; cosa che è avvenuta puntualmente nel “collegio” di Anzio-Nettuno dove il candidato che aveva ottenuto più voti di tutti è stato posizionato, in lista, dietro altri che ne avevano ottenuti meno della metà.
Vabbè, direte Voi: che si vuol pretendere quando si è irreggimentati in una legge elettorale come quella che abbiamo noi?
E poi, a ben pensarci, questa parodia, questa stortura di “strumento democratico” ha anche una caratteristica che la rende unica nell’universo delle “Democrazie avanzate”; infatti è un ossimoro, in quanto istituzionalizza la figura dell’eletto-elettore, dal momento che un eletto in più collegi, dovendo optare per uno solo, lascia il posto libero a chi lo segue in tutti gli altri: in pratica, lo elegge!
Per cui, la domanda è: ma se sono anni che TUTTI (compreso suo “padre”) dicono che la si deve cambiare e NESSUNO la cambia, un motivo dovrà pur esserci?
E se, come mefistofelicamente insinua Giovanni, andasse bene a TUTTI così com’è?!
Un abbraccio,
Ettore.
domenica 27 gennaio 2013
lunedì 21 gennaio 2013
Cui prodest?
Cari Amici,
prendo spunto dall’intervento del Ministro degli Esteri alle Commissioni Parlamentari riunite Esteri, Difesa, etc del 16 gennaio per introdurre un argomento di discussione sulla legittimità e/o opportunità di intervento da parte di alcuni Paesi nei territori di altri Paesi.
Comunicazioni del Governo sullo stato delle missioni in corso e degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace di stabilizzazione.
Il Ministro dice:
“...il presidente Dini si è riferito alla situazione in Mali, che è quella di più evidente attualità e che si caratterizza, come è ampiamente noto con quello che appare sulla stampa quotidiana (ma vorrei fornire anche alcune indicazioni più precise su questo punto), con un attacco molto consistente di gruppi estremisti ed integralisti del nord del Mali alle città di Konna e Douentza nei giorni scorsi. Tale attacco ha suscitato una condanna unanime da parte della comunità internazionale ed ha anche rappresentato, sul piano strategico sul terreno, un salto di qualità nella capacità di questi gruppi non solo di avvicinarsi al controllo di Bamako, ma anche di radicarsi in modo forse irreversibile nella realtà maliana, se non si adotteranno le opportune operazioni di contrasto e di intervento...”
Tra le tante aree di crisi nel mondo dove forze armate di alcune nazioni sono dispiegate ed operano, proviamo a discutere del Mali, ultimo nella lista degli interventi.
La Francia ha inviato truppe ed ha attaccato i ribelli che occupano il nord del Paese; ha ottenuto una risoluzione ONU e l’appoggio di altri Paesi; l’ Italia si appresta a dare sostegno logistico ed a partecipare ad una missione di addestramento dell’esercito del Mali.
Va tutto bene? Ne siamo sicuri? E’ sufficiente la richiesta di un governo più o meno legittimo o fantoccio, per inviare truppe contro forze che sbrigativamente chiamiamo terroristi? O forse copriamo interessi nazionali (del Paese che manda le truppe)? Sono i giacimenti di uranio e di gas il vero obbiettivo dell'intervento? la comunità internazionale è coerente negli interventi a difesa della “democrazia”? quante volte nella storia recente la comunità internazionale ha visto perpetrare genocidi senza intervenire? Le risoluzioni ONU sono vincolanti sempre per le parti in conflitto o la comunità internazionale ne fa applicare alcune a giustificazione degli interventi armati che alcuni Paesi forti vogliono portare avanti e restano sulla carte altre perché forzerebbero Paesi “amici” a fare tremendi passi indietro?
Mi piacerebbe avere il punto di vista vostro colleghi ed amici oltre che recenti attori, come me per altro, in specifiche missioni all’estero.
Un abbraccio,
Renato
prendo spunto dall’intervento del Ministro degli Esteri alle Commissioni Parlamentari riunite Esteri, Difesa, etc del 16 gennaio per introdurre un argomento di discussione sulla legittimità e/o opportunità di intervento da parte di alcuni Paesi nei territori di altri Paesi.
Comunicazioni del Governo sullo stato delle missioni in corso e degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace di stabilizzazione.
Il Ministro dice:
“...il presidente Dini si è riferito alla situazione in Mali, che è quella di più evidente attualità e che si caratterizza, come è ampiamente noto con quello che appare sulla stampa quotidiana (ma vorrei fornire anche alcune indicazioni più precise su questo punto), con un attacco molto consistente di gruppi estremisti ed integralisti del nord del Mali alle città di Konna e Douentza nei giorni scorsi. Tale attacco ha suscitato una condanna unanime da parte della comunità internazionale ed ha anche rappresentato, sul piano strategico sul terreno, un salto di qualità nella capacità di questi gruppi non solo di avvicinarsi al controllo di Bamako, ma anche di radicarsi in modo forse irreversibile nella realtà maliana, se non si adotteranno le opportune operazioni di contrasto e di intervento...”
Tra le tante aree di crisi nel mondo dove forze armate di alcune nazioni sono dispiegate ed operano, proviamo a discutere del Mali, ultimo nella lista degli interventi.
La Francia ha inviato truppe ed ha attaccato i ribelli che occupano il nord del Paese; ha ottenuto una risoluzione ONU e l’appoggio di altri Paesi; l’ Italia si appresta a dare sostegno logistico ed a partecipare ad una missione di addestramento dell’esercito del Mali.
Va tutto bene? Ne siamo sicuri? E’ sufficiente la richiesta di un governo più o meno legittimo o fantoccio, per inviare truppe contro forze che sbrigativamente chiamiamo terroristi? O forse copriamo interessi nazionali (del Paese che manda le truppe)? Sono i giacimenti di uranio e di gas il vero obbiettivo dell'intervento? la comunità internazionale è coerente negli interventi a difesa della “democrazia”? quante volte nella storia recente la comunità internazionale ha visto perpetrare genocidi senza intervenire? Le risoluzioni ONU sono vincolanti sempre per le parti in conflitto o la comunità internazionale ne fa applicare alcune a giustificazione degli interventi armati che alcuni Paesi forti vogliono portare avanti e restano sulla carte altre perché forzerebbero Paesi “amici” a fare tremendi passi indietro?
Mi piacerebbe avere il punto di vista vostro colleghi ed amici oltre che recenti attori, come me per altro, in specifiche missioni all’estero.
Un abbraccio,
Renato
sabato 19 gennaio 2013
Ad baculum oppure abecula
Il termine greco αμνός (amnòs, lat. agnus) indica una pecora giovane, a volte di un solo anno, o un animale per il sacrificio; anche αρεν (arèn, lat. ovis, aries) indica un agnello da macello, mentre coloritura patetica riveste il diminutivo αρνιον (arnìon, lat. agnellus) agnellino.
Nella tradizione biblica degli scritti sacerdotali, l'agnello è la vittima sacrificale privilegiata, sia sotto forma di olocausto o di semplice offerta sia sotto forma di purificazione del popolo o di singole persone. Il suo sangue, infatti, è versato sia per onorare Dio sia come mezzo di riscatto dalla schiavitù in Egitto.
Tanta varietà semantica e simbolica, quasi emblematica, confluisce nella designazione cristologica di Gesù come Agnello Figlio di Dio. E, mentre la figura della pecora -con la sua funzione autonoma nel gregge- è preferita dall’immaginario del mondo gnostico, l’agnello presso gli autori cristiani conserva sempre un particolare aspetto cristologico di tenerezza: nella simbolica del dolore, come l’agnello portato al macello; nella simbologia escatologica, come l’agnello che sta sul monte Sion; nella dimensione deprecativa, sacrificale ed espiatoria, come l’agnello che porta e toglie il peccato; nella tipologia pasquale, come somma, sintesi ed esaltazione degli aspetti pneumologici (i pascoli spirituali), cristologici (l’Agnello Cristo), teologici (Dio Pastore) dell’evento salvifico, condotto a compimento da Cristo.
Grande rilievo ha perciò avuto il simbolismo dell’agnello anche nelle Catacombe e nei primi luoghi ove i Cristiani hanno potuto professare pubblicamente la loro religione.
Nelle basiliche post-costantiniane, l’agnello polarizza la dimensione visibile del
mistero trinitario ed ecclesiale: la croce e l’agnello indicano la vittima, il rosso porpora dello sfondo e le palme ne indicano il trionfo.
Questa breve, sommaria rassegna testimonia dell’importanza che un animale, piccolo, dolce, innocente, mite, inoffensivo ha rivestito nel contesto di due delle maggiori (e, sicuramente, le più antiche) Religioni monoteiste del mondo, assurgendo, nella seconda, ad un rango simbolico, eccelso ed a valenza duplice.
Nel mondo classico, per contro, l’ovino –adulto o no- diciamo che non era investito di nessun altro significato; lo si sacrificava e basta! Ad onor del vero, Omero tenta di conferirgli un aura poetica quando ci descrive il Pelide intento ad arrostirne uno allo spiedo; ma niente di spirituale comunque!
Nella Poesia, nella narrativa, nelle favole, l’agnello è sempre accostato al lupo e non sempre se la cava bene, salvo quando “s’enfurbisce” come lo canta il grande Trilussa; mentre William Blake, in “The Lamb”, tocca vette di lirismo che strappano le lacrime.
Ma il ruolo centrale dell’ agnello –che d’ora in avanti eleveremo al rango di abbacchio- non si esaurisce nella pur fondamentale dimensione spirituale o artistica ma ha investito anche la più terrena dimensione mangereccia, diciamocelo pure molto più appetibile e meno impegnativa.
Ma anche in questa dimensione, l’abbacchio non è trattato come una bestia qualunque; si pensi solo che si scomoda Giovenale che lo definisce “: "il più tenero del gregge, vergine d'erba, più di latte ripieno che di sangue", mentre il grande gourmet Marco Gavio Apicio , in una delle sue celeberrime ricette, scrive a proposito dell’abbacchio partico: “Lo metterai nel forno. Triterai pepe, ruta, cipolla, santoreggia, prugne di Damasco snocciolate, un po’ di silfio vino, liquamen e olio. Ancora bollente si bagna sul piatto con l'aceto e si mangia”. Nella terra che ha dato la civiltà al mondo, c’è un rapporto di odio/amore con questo animaletto ma non nell’accezione “umana” dei termini, in quanto per “odio” bisogna intendere la necessità di nutrirsi e per “amore” un profondo senso di tenerezza; sembrerà un po’ mefistofelico, però quei miei lontani avi che rapirono le “ave” di Giggetto dando così origine a cotanta progenie, ci hanno tramandato il dogma che l’abbacchio si ama ma, siccome lo stomaco è debole, se magna puro! Infinite sono le modalità culinarie per onorare il sacrificio di questo inimitabile animaletto; sono tutte molto semplici, molto gustose, molto delicate, come molto semplice, molto dolce, molto delicato ne è il protagonista. Di tutte e per far contento Raffaele, indico la più semplice e la più immediata di tutte: lo scottadito!
Sono sufficienti un braciere acceso, una griglia, dei rametti di rosmarino, qualche goccia d’olio, un pizzico di sale, tanta fame e, logicamente….le Sue tenere costolette.
Ciao a Tutti,
Ettore.
Nella tradizione biblica degli scritti sacerdotali, l'agnello è la vittima sacrificale privilegiata, sia sotto forma di olocausto o di semplice offerta sia sotto forma di purificazione del popolo o di singole persone. Il suo sangue, infatti, è versato sia per onorare Dio sia come mezzo di riscatto dalla schiavitù in Egitto.
Tanta varietà semantica e simbolica, quasi emblematica, confluisce nella designazione cristologica di Gesù come Agnello Figlio di Dio. E, mentre la figura della pecora -con la sua funzione autonoma nel gregge- è preferita dall’immaginario del mondo gnostico, l’agnello presso gli autori cristiani conserva sempre un particolare aspetto cristologico di tenerezza: nella simbolica del dolore, come l’agnello portato al macello; nella simbologia escatologica, come l’agnello che sta sul monte Sion; nella dimensione deprecativa, sacrificale ed espiatoria, come l’agnello che porta e toglie il peccato; nella tipologia pasquale, come somma, sintesi ed esaltazione degli aspetti pneumologici (i pascoli spirituali), cristologici (l’Agnello Cristo), teologici (Dio Pastore) dell’evento salvifico, condotto a compimento da Cristo.
Grande rilievo ha perciò avuto il simbolismo dell’agnello anche nelle Catacombe e nei primi luoghi ove i Cristiani hanno potuto professare pubblicamente la loro religione.
Nelle basiliche post-costantiniane, l’agnello polarizza la dimensione visibile del
mistero trinitario ed ecclesiale: la croce e l’agnello indicano la vittima, il rosso porpora dello sfondo e le palme ne indicano il trionfo.
Questa breve, sommaria rassegna testimonia dell’importanza che un animale, piccolo, dolce, innocente, mite, inoffensivo ha rivestito nel contesto di due delle maggiori (e, sicuramente, le più antiche) Religioni monoteiste del mondo, assurgendo, nella seconda, ad un rango simbolico, eccelso ed a valenza duplice.
Nel mondo classico, per contro, l’ovino –adulto o no- diciamo che non era investito di nessun altro significato; lo si sacrificava e basta! Ad onor del vero, Omero tenta di conferirgli un aura poetica quando ci descrive il Pelide intento ad arrostirne uno allo spiedo; ma niente di spirituale comunque!
Nella Poesia, nella narrativa, nelle favole, l’agnello è sempre accostato al lupo e non sempre se la cava bene, salvo quando “s’enfurbisce” come lo canta il grande Trilussa; mentre William Blake, in “The Lamb”, tocca vette di lirismo che strappano le lacrime.
Ma il ruolo centrale dell’ agnello –che d’ora in avanti eleveremo al rango di abbacchio- non si esaurisce nella pur fondamentale dimensione spirituale o artistica ma ha investito anche la più terrena dimensione mangereccia, diciamocelo pure molto più appetibile e meno impegnativa.
Ma anche in questa dimensione, l’abbacchio non è trattato come una bestia qualunque; si pensi solo che si scomoda Giovenale che lo definisce “: "il più tenero del gregge, vergine d'erba, più di latte ripieno che di sangue", mentre il grande gourmet Marco Gavio Apicio , in una delle sue celeberrime ricette, scrive a proposito dell’abbacchio partico: “Lo metterai nel forno. Triterai pepe, ruta, cipolla, santoreggia, prugne di Damasco snocciolate, un po’ di silfio vino, liquamen e olio. Ancora bollente si bagna sul piatto con l'aceto e si mangia”. Nella terra che ha dato la civiltà al mondo, c’è un rapporto di odio/amore con questo animaletto ma non nell’accezione “umana” dei termini, in quanto per “odio” bisogna intendere la necessità di nutrirsi e per “amore” un profondo senso di tenerezza; sembrerà un po’ mefistofelico, però quei miei lontani avi che rapirono le “ave” di Giggetto dando così origine a cotanta progenie, ci hanno tramandato il dogma che l’abbacchio si ama ma, siccome lo stomaco è debole, se magna puro! Infinite sono le modalità culinarie per onorare il sacrificio di questo inimitabile animaletto; sono tutte molto semplici, molto gustose, molto delicate, come molto semplice, molto dolce, molto delicato ne è il protagonista. Di tutte e per far contento Raffaele, indico la più semplice e la più immediata di tutte: lo scottadito!
Sono sufficienti un braciere acceso, una griglia, dei rametti di rosmarino, qualche goccia d’olio, un pizzico di sale, tanta fame e, logicamente….le Sue tenere costolette.
Ciao a Tutti,
Ettore.
sabato 12 gennaio 2013
Dilemmi
Il nostro Blog
ha subito una insperata e positiva impennata, grazie a dotte disquisizioni che spaziano, libere,
nello sterminato ed imperscrutabile universo della gnosi.
Io non sono a quei livelli, non ho mai pascolato in praterie dove è necessario essere dotati di abbondanti scorte di speculazione etica per poter sopravvivere.
Forse stimolato
da tanto, mi ha punto vaghezza
abbandonare la mente ad alcune riflessioni che, però ed in virtù della
suddetta mancanza di solide basi, non do in pasto al pubblico ma le sottopongo
all'attenzione ed alla comprensione di Voi: i miei Amici più cari.Io non sono a quei livelli, non ho mai pascolato in praterie dove è necessario essere dotati di abbondanti scorte di speculazione etica per poter sopravvivere.
L'oggetto speculativo è il Piacere, quello con la maiuscola, tanto per capirci.
Di tutte le definizioni filosofiche classiche, quella dei Cirenaici mi è sembrata la più confacente a me; secondo Costoro, il Piacere è un obiettivo dinamico e tale da spingere l'uomo ad una sua continua ricerca in ogni aspetto/circostanza della sua esistenza.
Rimanendo sempre
nel classico, scopriamo che il Dolore -unica e vera antitesi del Piacere- è simbiontico con il Male ma si può
sempre cercare di eliminarlo , perseguendo la tranquillità e la serenità.
Forte di tali
certezze, mi sono messo a fare l'inventario degli strumenti che potrebbero essere
forieri di Piacere e, per eliminazione, del rigetto del Dolore.
Scartati,
ahimé, quelli che l'anagrafe oramai ci
preclude, mi sono scorsi davanti dei surrogati che, tuttavia, possono far
toccare livelli, se non proprio di sublimazione, almeno di moderata
soddisfazione, che poi è la sola che ci è consentita.
Tra essi, un
posto rilevante assume (almeno per me) il "piacere della tavola", favorito anche dall'alta maestria di
Ester, instancabile propugnatrice di sfiziosi manicaretti.
In questo
empireo mangereccio, la maglia rosa la indossa da sempre la "pasta", ineguagliabile inno alla pace dei sensi,
almeno quello del gusto, nonché ambasciatrice dell’italianità nel mondo.
Non credo che si
possano fare graduatorie tra le infinite tipologie di pasta, anche se, per me,
il "bucatino" non ha rivali, non fosse altro perché, sapientemente
miscelato con pecorino e amatriciana
(altri due campioni senza tempo), provoca impetuosi orgasmi gustativi.
Atteso, quindi,
che il bucatino può essere definito il "monarca", si potrebbe dedurre
che è il più prezioso, che abbisogna di maggiori attenzioni, che è di difficile
lavorazione, che è.....
Ma se tutto
questo è vero, mi spiegate perché ha il "tempo di cottura" più basso
di tutti!!!
Un altro piacere (almeno per me) è quello di fumarmi
una sigaretta mentre guido e solo se sono l'unico in macchina; sapete, mi dà
una certa voluttà, mi rilassa, anche se ho sempre rifuggito dal malvezzo di
guidare con il gomito fuori dal finestrino, come è, invece, costume dei
“trucidi” delle mie parti.
Il guaio è che bisogna buttare la cenere e, soprattutto, smorzare la sigaretta in un qualcosa adibito alla bisogna; ci sarebbe sempre la possibilità di viaggiare con il finestrino aperto ma questo impedirebbe di fumare quando piove e riempirebbe la macchina di cenere respinta dal vento "di crociera".
Il guaio è che bisogna buttare la cenere e, soprattutto, smorzare la sigaretta in un qualcosa adibito alla bisogna; ci sarebbe sempre la possibilità di viaggiare con il finestrino aperto ma questo impedirebbe di fumare quando piove e riempirebbe la macchina di cenere respinta dal vento "di crociera".
Orbene e dato
che Vi ho invitati a farlo, mi spiegate perché la posizione reciproca tra la
leva del cambio ed il portacenere è tale che lo si può utilizzare -senza dover
abbassare pericolosamente lo sguardo per centrarlo- solo quando si è in
“quinta”?!
Grazie con
abbraccio,
Ettore.
venerdì 4 gennaio 2013
Massoneria. Ideale e pregiudizio
La messa in sonno è stata una mia scelta le cui motivazioni non esternerò ma, se vi interessa, dirò il perché sono diventato massone e cosa ho fatto in tale ambito. Verso la fine degli anni novanta, due Avvocati milanesi titolari di uno Studio importante, mi chiesero di collaborare con loro per l’acquisizione di una importante società finanziaria e nacque un’amicizia che mi portò a frequentare i loro ambienti: uno era legato all’Opus Dei e l’altro alla Massoneria. Le mie convinzioni cristiane avrebbero dovuto spingermi più verso l’Opera ma a volte non condivido il radicalismo cattolico e, dall’altra parte, mi vennero prospettati tre principi sui quali ho sempre fortemente creduto: uguaglianza, fratellanza e tolleranza.
Sono stato così iniziato in una Loggia milanese e dopo tre anni ne sono diventato il “maestro venerabile” assumendo cariche importanti anche nell’ambito della Lombardia. Queste cariche non mi hanno mai dato alcun vantaggio professionale o remunerativo (non ho mai avuto un cliente massone o un società o un ente presentato da un massone) ne mi hanno mai costretto a fare ciò che non volevo fare. L’essere massone ha comportato, per me, impegni di tempo, a volte di denaro nelle associazioni onlus affiliate (Pane quotidiano e Croce verde) e rigore etico nell’affrontare ogni problema sociale.
La mia attività massonica, a parte gli incontri di carattere amministrativo che la mia carica mi imponeva, si esplicava in una riunione rituale mensile dove i segni ed i simboli hanno lo scopo di congiungere i bisogni interiori con l’essere esteriore (lo stesso significato di ogni altra divisa), oltre che riportarci indietro su principi umani che nascono dal passato, e in una riunione mensile al di fuori dei templi e aperta ai non massoni dove venivano invitati personaggi rilevanti per l’argomento che si trattava (dal Prefetto a giornalisti, economisti e docenti). Quest’ultimo tipo di riunione era stata da me voluta proprio per aprire un ponte fra una associazione “chiusa” e il mondo reale perché sono convinto che il solo parlare di principi non serve a niente se non riesci a metterli in pratica nell’ambito sociale in cui vivi.
E’ stato durante gli incontri aperti al pubblico che ho capito quanti pregiudizi esistono intorno alla massoneria e come questi si dissolvono velocemente quando i massoni vengono allo scoperto. La P2 è stata creata da un massone, Gelli, ma, per la gran parte, non era composta da massoni bensì da gente (molti iscritti senza neanche saperlo) che nulla avevano a che fare con i principi massonici; pensate che con l’iniziazione vengono chiesti due Credo fondamentali: non essere ateo e rispettare l’autorità costituita.
E’ vero, molti massoni hanno fatto parte del gota politico ed alcuni si sono macchiati di reati ma molti altri sono stati protagonisti nelle scienze, nella politica, nell’arte, nella letteratura e anche nella stessa politica e non perché sono o erano massoni ma perché sono uomini. La sola diversità che si può loro ascrivere è la voglia di riunirsi con persone che, come loro, vogliono sentirsi libere e, nello stesso momento, parte integrante di una società che dia importanza alla dignità umana ed individuale.
Quindi caro Carlo, non additarli come peste da evitare perché ti garantisco che quelle stesse cose a cui tu aneli sono volute da tutte le persone oneste che credono nella coesione di idee e di principi alla cui schiera appartengono gran parte dei massoni.
Francesco
mercoledì 2 gennaio 2013
Riflessioni su quale Futuro?!
Fra meno di due mesi, questo tanto esaltato –e, subito dopo, vilipeso- Popolo sovrano sarà chiamato a fare da notaio, mandando a “rappresentarLo” una schiera di personaggi del tutto sconosciuti (se non alle Segreterie dei partiti) che si apprestano a dividersi, more solito, un’altra, sostanziosa torta: un’altra pagata da noi!
Da un annetto a questa parte, però, sembra che quel “Popolo” stia timidamente abbandonando la non esaltante veste da bue, per assumere quella, se non proprio da toro, almeno da vitello giovincello, prima che venga sottoposto alla ingloriosa operazione.
Se a questo si aggiunge il (per me) lodevole e, pare, riuscito tentativo del cosiddetto “Governo tecnico” di fare allontanare il Paese da quel pericoloso baratro cui l’avevano colpevolmente spinto decenni di governacci (di ogni colore), si potrebbe avere una timida ma anche ragionevole speranza che il prossimo turno elettorale possa partorire un qualcosa che sia o abbia in nuce, almeno, il meno peggio.
E’ vero che ci vuole ben poco, quasi niente per esserlo; è vero che decenni di malcostume politico non si eliminano “con un sol colpo di scorrevole”; è vero che per espugnare le cattedrali fortificate dei tanti corporativismi non basterebbe nemmeno la più raffinata poliorcetica; è vero che l’atavica propensione italiota al particolarismo egoista (a danno del bene comune) è una tara difficilmente eliminabile; è vero…..è tutto vero ma, almeno, si è riusciti a vedere un qualcosa che smuove la palude e che non sia il solito sasso che fa tanta scena per poi far ritornare tutto com’era.
Finora su questo nostro Blog, abbiamo espresso le nostre opinioni in termini, diciamo così, metafisici, nel senso che abbiamo detto tutto ed il contrario di tutto, magari pure incazzandoci ma tutti ci siamo arenati difronte all’atroce dilemma: “…datemi un nome ed io lo voto!”
Io, però, dico che bisogna, smetterla di cercare “un nome”; bisogna fottersene dei “nomi”, non fosse altro che sono sempre gli stessi e quei pochi nuovi, sono portatori (non)sani di qualunquismo arrabbiato, arruffone, a forti tinte megalomani, totalmente privo di concretezza programmatica.
Io dico che bisogna superare le categorie politiche in cui siamo stati abituati a muoverci sempre più lentamente, sempre più vicini ad una abulica rassegnazione, obnubilati da sconci balbettii, millantati per “discorsi politici”.
Io dico che è ora di rottamare un’Italia pericolosamente “all’antica”, irresponsabile ed instabile, ed iniziare a costruirne Una che l’avvicini a quell’Europa che, ci piaccia o no, è l’orizzonte di tutti i Paesi membri, magari puntando alla realizzazione di quello Stato federale che potrebbe essere la panacea dei tanti guai odierni.
Io dico che bisogna smetterla di farsi “rappresentare” da degli impresentabili, in termini sia di fedina penale che di occupazione pluridecennale di scranno, cercando di individuare persone in grado di riportare al Politica alla sua vera natura: quella di fiume che scorre, impetuoso, tra gli argini della legalità e dell’interesse generale.
Io dico che è necessario passare dalle prefiche, dalle tricoteuses a persone con gli attributi, in grado cioè di saper prendere anche decisioni impopolarissime, purché finalizzate al raggiungimento di una accettabile soglia di stabilità, foriera di progresso.
Ora che ho “detto” tutto questo, Vi dico pure non a “chi” ma a “cosa” darò il mio voto.
Lo darò a quella “cosa” che avrà in programma cose fattibili e non sogni irrealizzabili e, magari, pure dannosi; lo darò a quella “cosa” che mi presenterà una lista di nominativi “scremata”; lo darò a quella “cosa” che mi saprà dimostrare che i sacrifici che mi sono stati e che mi saranno chiesti serviranno per raggiungere un obiettivo ben preciso e non chimere ideologiche o populistiche; lo darò a quella “cosa” che farà sentire me, Italiano generico medio, un partner eguale tra gli eguali e non un morto di fame, per di più claunesco; lo darò a quella “cosa” che sappia guardare al futuro con occhio abile e competente, senza scordare il passato; che sappia finalmente portare a termine tutte quelle riforme indispensabili a traghettare il Paese da una struttura post-bellica ipergarantista ma pesante ad una più agile e più vicina a quella degli altri Paesi con cui dovrà convivere confrontarsi.
Se poi questa “cosa” sarà targata “Monti” o solo vi si ispirerà, poco importa: l’importante che mi dimostri di avere tutte le intenzioni di proseguire sulla strada appena tracciata.
Io la mia l’ho detta e, spero, sia concreta; ora à Vous e…che le danze inizino!
Un abbraccione a tutti,
Ettore.
Da un annetto a questa parte, però, sembra che quel “Popolo” stia timidamente abbandonando la non esaltante veste da bue, per assumere quella, se non proprio da toro, almeno da vitello giovincello, prima che venga sottoposto alla ingloriosa operazione.
Se a questo si aggiunge il (per me) lodevole e, pare, riuscito tentativo del cosiddetto “Governo tecnico” di fare allontanare il Paese da quel pericoloso baratro cui l’avevano colpevolmente spinto decenni di governacci (di ogni colore), si potrebbe avere una timida ma anche ragionevole speranza che il prossimo turno elettorale possa partorire un qualcosa che sia o abbia in nuce, almeno, il meno peggio.
E’ vero che ci vuole ben poco, quasi niente per esserlo; è vero che decenni di malcostume politico non si eliminano “con un sol colpo di scorrevole”; è vero che per espugnare le cattedrali fortificate dei tanti corporativismi non basterebbe nemmeno la più raffinata poliorcetica; è vero che l’atavica propensione italiota al particolarismo egoista (a danno del bene comune) è una tara difficilmente eliminabile; è vero…..è tutto vero ma, almeno, si è riusciti a vedere un qualcosa che smuove la palude e che non sia il solito sasso che fa tanta scena per poi far ritornare tutto com’era.
Finora su questo nostro Blog, abbiamo espresso le nostre opinioni in termini, diciamo così, metafisici, nel senso che abbiamo detto tutto ed il contrario di tutto, magari pure incazzandoci ma tutti ci siamo arenati difronte all’atroce dilemma: “…datemi un nome ed io lo voto!”
Io, però, dico che bisogna, smetterla di cercare “un nome”; bisogna fottersene dei “nomi”, non fosse altro che sono sempre gli stessi e quei pochi nuovi, sono portatori (non)sani di qualunquismo arrabbiato, arruffone, a forti tinte megalomani, totalmente privo di concretezza programmatica.
Io dico che bisogna superare le categorie politiche in cui siamo stati abituati a muoverci sempre più lentamente, sempre più vicini ad una abulica rassegnazione, obnubilati da sconci balbettii, millantati per “discorsi politici”.
Io dico che è ora di rottamare un’Italia pericolosamente “all’antica”, irresponsabile ed instabile, ed iniziare a costruirne Una che l’avvicini a quell’Europa che, ci piaccia o no, è l’orizzonte di tutti i Paesi membri, magari puntando alla realizzazione di quello Stato federale che potrebbe essere la panacea dei tanti guai odierni.
Io dico che bisogna smetterla di farsi “rappresentare” da degli impresentabili, in termini sia di fedina penale che di occupazione pluridecennale di scranno, cercando di individuare persone in grado di riportare al Politica alla sua vera natura: quella di fiume che scorre, impetuoso, tra gli argini della legalità e dell’interesse generale.
Io dico che è necessario passare dalle prefiche, dalle tricoteuses a persone con gli attributi, in grado cioè di saper prendere anche decisioni impopolarissime, purché finalizzate al raggiungimento di una accettabile soglia di stabilità, foriera di progresso.
Ora che ho “detto” tutto questo, Vi dico pure non a “chi” ma a “cosa” darò il mio voto.
Lo darò a quella “cosa” che avrà in programma cose fattibili e non sogni irrealizzabili e, magari, pure dannosi; lo darò a quella “cosa” che mi presenterà una lista di nominativi “scremata”; lo darò a quella “cosa” che mi saprà dimostrare che i sacrifici che mi sono stati e che mi saranno chiesti serviranno per raggiungere un obiettivo ben preciso e non chimere ideologiche o populistiche; lo darò a quella “cosa” che farà sentire me, Italiano generico medio, un partner eguale tra gli eguali e non un morto di fame, per di più claunesco; lo darò a quella “cosa” che sappia guardare al futuro con occhio abile e competente, senza scordare il passato; che sappia finalmente portare a termine tutte quelle riforme indispensabili a traghettare il Paese da una struttura post-bellica ipergarantista ma pesante ad una più agile e più vicina a quella degli altri Paesi con cui dovrà convivere confrontarsi.
Se poi questa “cosa” sarà targata “Monti” o solo vi si ispirerà, poco importa: l’importante che mi dimostri di avere tutte le intenzioni di proseguire sulla strada appena tracciata.
Io la mia l’ho detta e, spero, sia concreta; ora à Vous e…che le danze inizino!
Un abbraccione a tutti,
Ettore.
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