Il
recente, inverecondo, triviale attacco delle orde grilline al Presidente della
Camera dei Deputati (e ad altri “non allineati”), mi dà il destro per fare
alcune considerazioni circa l’impatto –sociale, politico, culturale- dei social networks sulla Società e, in
particolare, su quella italiana.
Penso
che la mia ritrosia, quasi avversione, alla loro utilizzazione sia nota anche
in Paupasia; Oliviero sostiene che sono “antico”, anzi “vetusto” e che non sono
capace di vivere nel mondo di oggi, rifugiandomi -sicut ultimo Giapponese- nella jungla del mio mondo, ahimè, perduto.
A parte
il fatto che io, in “quel” mondo mi ci trovo da dio, i continui e sempre più
gravi episodi di aberrazione per il mezzo dei social rafforzano la mia convinzione che essi sono, appunto, solo dei
“mezzi” per facilitare alcune azioni e non il “fine”, sul cui altare si
sacrificano la propria intelligenza, la propria autonomia, la propria dignità,
fino a diventarne schiavi.
Prima
di darmi del retrogrado, provate a seguire il mio ragionamento.
Questi social hanno fatto la loro comparsa da
poco (mi sembra che Facebook abbia, da poco, compiuto i suoi primi dieci anni);
lo scopo era quello di abbattere le distanze, di ricercare, magari di ritrovare
amici perduti e di “farsi quattro chiacchiere” gratis. Tutti intenti
nobilissimi, non c’è che dire; ma…ma questo strumento -che è assurto a totem
feticistico di masse sempre più numerose- ha svelato il suo “lato oscuro”:
quello, cioè, di trasformare la realtà
in finzione virtuale, per non parlare dell’assassinio della Lingua.
E così,
quasi attempati ‘antenni hanno
incominciato a litigare con l’anagrafe (e pure con la tecnologia”) pur di
“apparire” giovani, non provando vergogna a scrivere frasi che stonerebbero
pure in una scuola materna; casalinghe e minorenni hanno mandato al diavolo
ogni remora e si compiacciono di “apparire” come sciantose (a premessa di ben
altre e più remunerative attività); politici fedifraghi e menzogneri non si
vergognano di “apparire” come salvatori della patria; semianalfabeti non
lesinano fregnacce pur di “apparire” tuttologi che pontificano su i massimi
siatemi.
Ecco,
quale è il verbo più ricercato, Ragazzi: apparire.
Cioè, dare
ad intendere quello che non si è o che si vuole che si creda si sia, in una
continua, affannosa corsa verso un narcisismo sempre più spregiudicato e fatuo;
una esasperata, affannosa corsa al voler proiettare all’esterno una propria “immagine”,
in un contesto che si vuol dare ad
intendere sia “spontaneo”, “autentico”, “disinibito” ed, invece, è solo una
patetica rappresentazione del più sgangherato individualismo.
Guardate
quello che sta succedendo con i selfie e, poi, dimostratemi che ho torto!
Questo
uso sconsiderato ed egoistico rappresenta la più clamorosa smentita delle buone
intenzioni iniziali, nel senso che, invece di favorire la conoscenza reciproca
in una dimensione globale, si è arrivati ad una puerile ostentazione della
propria immagine, delle proprie fisime, così chiudendosi in se stessi e
perdendo la voglia e la capacità di un confronto reale; cioè, invece di aprirsi
al mondo, si riduce il mondo a se stessi!
Ma se
queste azioni attengono alla sfera individuale -ed ognuno è libero di
sputtanarsi nel modo che ritiene più consono alla propria indole (non parlerei
di “dignità”, perché mi sembra eccessivo!)-, le cose cambiamo radicalmente
quando si utilizzano quei mezzi per scopi, diciamo così, “sociali” o politici.
E
l’esempio che ho riportato all’inizio rappresenta un serio campanello d’allarme
circa la pericolosa deriva su cui continua a scivolare la già sgarrupata
società italiana, nel senso che
personaggi indubbiamente abili ma senza scrupoli non esistano a far leva
su obiettive difficoltà, utilizzando in maniera subdola i mezzi informatici a
disposizione per manipolare le menti più deboli. E così, si dà libero sfogo a
reazioni primitive da parte
di persone incarognite e frustrate di sfogare la loro rabbia, coperte dall’anonimato.
E’ di
tutta evidenza che la spregiudicatezza di questi moderni agitprop, sommata alla
ingenuità, all’ignoranza, al livore dei destinatari, genera una dirompente
miscela di qualunquismo totalmente privo di decenza, di Principi, di limiti
morali; una miscela la cui pericolosa virulenza è direttamente proporzionale
alla paura che si ha della “vittima”, nel senso che più se ne ha e maggiore è
la forza con cui la si attacca, la si offende, la si dileggia, la si espone al
pubblico ludibrio.
In
conclusione, stiamo vivendo in un mondo sempre più (e solo) virtuale in cui le
manifestazioni più vere, più sincere, più sacre dell’animo umano (Amore,
Amicizia, Odio…) hanno perduto le loro naturali espressioni di schiettezza, di
rapporto fisico; non sono più né concrete, né fisiche, né sanguigne, né dolci;
si sono disumanizzate: sono solo
espressioni posticce.
Dall’idea
iniziale che si potesse realizzare una agorà di pensiero ed una vivida
scorciatoia per socializzare, si è arrivati ad avere uno sfogatoio di
alterazioni, di false identità, di disperata ricerca di “amici” da parte di
chi, probabilmente, di Amici non ne
ha mai avuti.
Nella
storia millenaria dell’Uomo, non era mai esistito che la “comunicazione” avvenisse
senza essere inquadrata in un sistema disciplinato e controllato, anche quando
era distorta; e i tanti Goebbels ce lo
insegnano!
Perché
non prendiamo in considerazione il fatto che c’è gente che non ha abboccato e
che vive bene lo stesso, anzi, forse, meglio?!
Un
abbraccio a Tutti,
Ettore l’ultimo
Giapponese.