Ettore mi ha incaricato di commemorare la “Folgore” nel giorno della sua festa. Cadere nella retorica è facilissimo soprattutto su un argomento ormai trattato sotto ogni punto di vista, perciò voglio commemorarla riportando il racconto che, tanti anni fa, mi fece un reduce della battaglia e con una poesia composta da un altro reduce, che unisce idealmente i caduti di ieri a quelli di oggi.
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Il vecchio, seduto sullo sgabello, sorrideva ma con un velo di tristezza nello sguardo. Il basco amaranto, portato sulla nuca come quello verde della sua giovinezza, spiccava sui capelli candidi. Il viso emaciato e scavato dalla vita e dal tempo testimoniava un’ esistenza non facile. I giovani Paracadutisti erano accosciati intorno a lui con gli occhi spalancati in un silenzio fatto di rispetto e ammirazione. Iniziò a raccontare.
“Erano circa le 23 quando il Tenente venne strisciando nella nostra buca. Preparatevi, tra mezz’ora si esce in pattuglia. Abbiamo il compito di osservare, riferire e contrastare le pattuglie inglesi. Solo armamento leggero. Pugnale, tre bombe a mano e cinque caricatori a testa. Soliti segnali per l’ uscita e il rientro. Appuntamento alle 11e mezzo al varco nord. Non disse altro e strisciò via nella notte come un fantasma.
Un’ora dopo tutti e sei eravamo già ben oltre i varchi, appostati dietro una duna. La notte era chiara e fredda, infinite stelle tremolavano nel cielo terso, il silenzio assoluto e sembrava impossibile che decine di migliaia di persone fossero rintanate tutte intorno. Trattenevamo il respiro con gli occhi fuori dalle orbite per cogliere il minimo movimento.
Dopo un’ora circa già pensavamo al rientro quando sentimmo un sordo brontolio, uno sferragliare sommesso che ogni tanto si arrestava per poi riprendere, sempre più vicino. Dopo pochi minuti apparve una cingoletta inglese. Sola, incredibile, senza scorta di fanteria. Forse erano guarda fili che si erano persi. Il Tenente col pugno chiuso fece il segnale di attacco. Lanciammo tutti insieme le bombe a mano e nel gran caos da esse generato ci slanciammo urlando sulla cingoletta sparando come forsennati mentre due camerati restavano a terra a guardarci le spalle. In pochi secondi tutto finì. Due inglesi morti.
Mentre il Tenente cercava eventuali documenti io ed un mio amico cercavamo qualcosa da mangiare e trovammo una specie di cassetta. No, incredibile, non era una cassetta ma una piccola ghiacciaia. L’aprimmo lentamente, con grande attenzione e reverenza, come fosse qualcosa di sacro. Ebbene, non ci crederete, dentro c’era un’anguria, ghiacciata. Restammo inebetiti a guardarla. Un urlaccio del Tenente ci richiamò alla realtà. Arraffammo l’anguria, spezzammo la lastra di ghiaccio con le baionette e ce ne riempimmo le tasche poi via di corsa.
Dopo circa un chilometro ci fermammo ansanti in una buca. Distribuimmo i pezzi di ghiaccio e con estrema attenzione dividemmo l’anguria in sei pezzi. Era squisita, dolce, fresca, zuccherosa, talmente buona che mi veniva da piangere. Eravamo tutti eccitati e ci prese una risarella come degli scemi. Poi calò il silenzio e la tristezza. Scorgevo il bianco degli occhi dei miei compagni. Sapevo cosa pensavano. Pensavano all’unica scatoletta di carne che avevano mangiato in due giorni, all’acqua razionata fetida di benzina e pensavano all’anguria ghiacciata. Tutti capimmo che quella guerra, ormai, l’ avremmo persa”.
Guarda il video : Onore ai Caduti.
La madre del soldato
Attende la madre
notizie del figlio
lontano alla guerra,
al sole cocente
di arida terra.
Sottile un’angoscia
la tiene e fa velo
al suo orgoglio.
Che il figlio combatta
scendendo dal cielo.
Gli tesse una maglia
seguendo la traccia
di un corpo
che ben ricordan le braccia.
Ed ecco che accanto,
improvviso,
si siede un soldato silente
e bianco nel viso.
E’ sporco e terroso
di sabbia giallastra,
la divisa è sbiancata
da un sole impietoso.
Egli tiene sugli occhi
calato il berretto
sì come celata.
Conosce la mamma
quelle ali al colletto,
conosce lo stemma
davanti al berretto.
Glielo alza sul capo
con gesto inatteso.
Nel mezzo alla fronte del figlio
c’è come un sigillo
di sangue rappreso.
“Mamma” lui dice
(gli parlano gli occhi)
“bisogna che tanto
ma tanto coraggio
tu abbia.
Io debbo tornare laggiù,
fra i compagni
rimasti là sotto
la sabbia”
E sparisce.
Inghiotte la madre
un groppo
di lacrime amare.
Intanto,
con mani di pietra
comincia a disfare.
(S.Ten. Idalberto Chiappini- 187° rgt. Divisione “Folgore”)
FOLGORE !
Giggione Chiavarelli
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