venerdì 23 ottobre 2009

Tutto cominciò con tangentopoli ...........

Ho apprezzato moltissimo l’intervento di Ettore perché evidenzia, in maniera chiara ed analitica, una situazione politica incomprensibile dove l’insulto nasconde il problema e il confronto ideologico si concretizza solo nell’appartenenza ad uno dei due gruppi: quelli a favore e quelli contro Berlusconi. In questo contesto si rischia realmente di arrivare alla ghettizzazione nelle categoria dell’estremista o del fazioso descritta da Angelo Panebianco.
Se tentassi di rappresentare, in modo semplicistico, come vedo un organismo politico, lo identificherei in un accumulatore di beni destinati ad essere distribuiti, con diversa proporzione, a quegli stessi utenti dai quali sono stati acquisiti. Le modalità di acquisizione e di distribuzione sono diverse in funzione dell’orientamento politico assunto dall’accumulatore: la sinistra predilige un maggiore controllo sulla formazione della ricchezza al fine di garantire “il minimo salariale”; la destra vuole l’assoluta libertà di mercato. In sostanza la sinistra dovrebbe tendere ad uno Stato onnipresente capace anche di condizionare l’economia pur di garantire a tutti il minimo indispensabile per vivere dignitosamente; la destra, al contrario, dovrebbe agevolare la libera iniziativa privata in quanto solo la certezza di poter guadagnare di più può indurre l’uomo a dare il meglio di sé (questi sono i principi di base del proletariato e del capitalismo).
Entrambe le posizioni hanno dei pro e dei contro e sino all’avvento del bipolarismo i nostri vecchi politici, attraverso un numero abnorme di governi, hanno tentato, con coalizioni di centro destra e di centro sinistra, di combinare le proprie esigenze ideologiche con le necessità dell’elettorato influenzato, prevalentemente, dal sindacato e dal clero.
In Italia è stata, quindi, realizzata un tipo di economia mista che aveva portato alla monopolizzazione di importati industrie somministratrici di beni e servizi primari (ENEL,SIP,ENI etc.) e alla incentivazione dello sviluppo industriale privato attraverso una legislazione che, almeno nelle intenzioni, avrebbe dovuto garantire l’iniziativa economica attraverso la libera concorrenza.
Sino a vent’anni fa, quando con i miei limiti cercavo di analizzare gli aspetti salienti del nostro paese, arrivavo alla conclusione che nonostante alcune storture quali: la Cassa del Mezzogiorno, le cattedrali nel deserto, alcuni articoli dello Statuto dei lavoratori, l’intervento pubblico a favore delle imprese decotte; si viveva in un paese dove la pluralità moderata dei nostri politici, l’indipendenza della stampa (i giornali di partito si auto dichiaravano tali e venivano letti solo dai militanti) e l’emarginazione sociale verso quei corpuscoli estremisti (di sinistra e di destra) parassitari e violenti, ci garantivano un discreto sviluppo in linea con gli altri paese occidentali. Ciò che ci distingueva negativamente era il crescente indebitamento pubblico e l’elevata tassazione che colpiva, per lo più, chi non aveva mezzi per eludere; sintomi, questi, di una non corretta acquisizione e distribuzione di beni. In sostanza lo Stato spendeva troppo entrando anche in settori che avrebbe dovuto lasciare ai privati (persino tutti i giornali erano e sono finanziati dallo Stato) e non era in grado di scoprire i patrimoni nascosti prelevando, principalmente, dai più deboli, cioè i dipendenti.
Tangentopoli ha, in buona parte, evidenziato le principali ragioni di questo stato di cose mettendo in luce una situazione, in realtà già conosciuta e tollerata, attraverso l’indifferenza, di illecita commistione fra il mondo politico e quello imprenditoriale. Gli appalti pilotati, le variazioni ad hoc dei piani regolatori, la corruzione dei funzionari pubblici, non avevano solo una conseguenza diretta per le parti in causa ma rappresentavano un esborso di denaro pubblico, la creazione di ingenti fondi nascosti e l’esatto contrario dei principi del libero mercato la cui esistenza può essere garantita solo da una leale concorrenza. Pensate a due imprese che si occupano di manutenzione stradale delle quali una paga i contributi, rispetta le norme di sicurezza, usa materiale adeguato e non ha “amicizie” politiche mentre l’altra opera con criteri opposti; in un contesto dove la corruzione è regola, quale delle due, secondo voi, ha più possibilità di acquisire lavoro e di guadagnare?
Chi ha avuto modo di conoscere a fondo i fatti di tangentopoli sa che nell’associazione a delinquere fra politici ed imprenditori coloro che hanno intascato di più e leso maggiormente gli interessi economici dello Stato, sono stati i corruttori, cioè gli imprenditori, i quali si rivolgevano a tutti i partiti, di destra, di centro e di sinistra, con la certezza che in ciascuno avrebbero trovato adesione; il PCI non ha mai avuto un coinvolgimento diretto ma il geom. Greganti, condannato per corruzione, era strettamente legato alle cooperative rosse.
Il ruolo degli imprenditori, però, non fu considerato rilevante dalla magistratura inquirente la quale “liberò”, con i patteggiamenti o con la riduzione di pena legata alle delazioni, i corruttori soffermandosi maggiormente sui politici corrotti. Personalmente penso che questa scelta non sia frutto di alcuna congiura e che sia stata motivata semplicemente da una deprecabile voglia di protagonismo di alcuni magistrati, sta di fatto, però, che l’impatto sull’opinione pubblica destabilizzò completamente gli equilibri politici togliendo consenso a personaggi in quel momento all’apice della loro carriera quale Bettino Craxi. In sostanza, l’esternazione e la ridondanza mediatica di processi relativi a fatti già noti nell’immaginario collettivo, avevano dimostrato che anche una solida organizzazione politica avrebbe potuto essere seriamente danneggiata dalla magistratura e dai mass media.
Berlusconi entrò in politica spinto da Craxi il quale, con un blitz del governo, aveva dato, alle sue reti, la possibilità di dominare l’etere (quindi la comunicazione mediatica) e mostrò subito i suoi piani strategici sia attaccando chi avrebbe potuto rappresentare per lui il maggior pericolo (la magistratura), sia creando la figura dell’orco cattivo (i comunisti) ai quali attribuire tutti i mali peggiori della nostra democrazia. Il meglio di sé lo ha però dato incarnandosi nella ideale figura dell’uomo che la maggior parte degli italiani vorrebbe essere: ricco, sicuro di se, idolatrato e capace di creare sicurezza e ricchezza. Con il suo ingresso il confronto ha prevaricato i limiti delle idee e del fatto sociale per soffermarsi sulle caratteristiche della persona; da una parte lui, l’operaio che è diventato il miglior imprenditore e il miglior governante, dall’altra la mortadella di turno che nella vita non ha saputo fare altro se non il politico.
Come ho più volte ribadito, l’indirizzo socio economico che prediligo vede uno Stato garantista della libertà e dignità individuale dell’uomo il quale deve poter operare in un mercato effettivamente libero e meritocratico ma credo che, indipendentemente dalla sua collocazione politica, Berlusconi persegua obiettivi diversi; per queste mie soggettive valutazioni sull’uomo eviterò di parlare di lui. Ritornando però all’analisi dell’attività di un organismo politico, coloro che con me condividono la semplicistica rappresentazione dell’accumulatore/distributore, converranno che la valutazione su detta attività deve tener conto di tre elementi essenziali: 1) l’indebitamento pubblico; 2) la tassazione complessiva a carico del cittadino; 3) il livello di servizi che l’organo amministrativo fornisce ai cittadini. Fatti esterni quali le recessioni internazionali, certamente potranno influire sul livello di vita individuale del cittadino e modificare la proporzione fra i tre elementi sopra descritti ma la loro sommatoria dovrebbe restare invariata.
Una fattiva discussione politica, se così vogliamo chiamarla, dovrebbe quindi avere, come oggetto, l’impatto, su questi tre elementi, di ogni provvedimento emanato dal governo di turno e, almeno nel nostro mondo occidentale, il giudizio dell’elettore dovrebbe basarsi solo sul risultato di una simile analisi.
Francesco

1 commento:

  1. L’analisi di Francesco è, come al solito, precisa, puntuale ed esaustiva.
    La cronistoria dei fatti e fattacci che hanno interessato la cosiddetta prima Repubblica, fino a decretarne la fine, è nota e sono ancora vivi gli effetti devastanti che quella specie di tsunami ha provocato sull’economia e sulla convivenza “civile” italiane.
    Una cosa però mi sembra che non sia cambiata: l’atavica disinvoltura di sovrapporre, fino a farli coincidere, la funzione pubblica e l’interesse privato, specie in determinate zone del territorio nazionale.
    I recentissimi avvenimenti che, ancora una volta, hanno interessato la Campania fino ai massimi rappresentanti istituzionali inducono seri e preoccupanti interrogativi addirittura sulla legittimità democratica stessa di taluni eletti, nel senso che appare quanto meno singolare l’applicazione quasi automatica del teorema “elezione = favoritismi”.
    Sarà sicuramente vero che nessuno “si è messo una lira in tasca”, però lascia molto ma molto perplessi (eufemismo!) il fatto che venga considerato quasi naturale fare quello che “fan tutti”, in totale dispregio del fiume di danaro pubblico che, così facendo, viene sperperato.
    Non sono tanto ingenuo da ritenere che, nella cosiddetta “politica”, non venga applicato l’adagio una mano lava l’altra ma qui si tratta di lavare con i soldi della collettività un intero bucato: tutti i giorni di tanti decenni!
    E’ un danno irreparabile che si irradia con progressione geometrica sull’intero Paese, dal momento che quegli sperperi clientelari avrebbero potuto essere impiegati per scopi ben più nobili ed a beneficio di tutti e non solo dei soliti più o meno noti.
    E termino, ponendomi e ponendo questa, forse, semplicistica domanda: ha un valore, uno scopo dissertare sul fatto se in Italia sia meglio applicare le teorie liberali piuttosto che quelli stataliste, quando viviamo in un Paese dove così fan tutti?
    Ciao, Ettore.

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