L’espressione verbale
può essere confusa con “l’affidamento congiunto” ma il significato è
completamente diverso in quanto quest’ultimo richiede una completa cooperazione
fra i genitori che non si ha, perché materialmente impossibile, nel
“condiviso”. La materiale impossibilità nasce dal fatto che i due genitori non
vivono nello stesso posto e, quando hanno con sé i figli, devono educarli da
soli mantenendo inalterata la genitorialità e la relazione genitoriale di
entrambi i genitori; concetto molto più facile a dirsi che a farsi. continua
Francesco.
Non appena Boldrini e Grasso saranno in grado di fare approvare le leggi che tanto auspicano consentendo adozioni a gay, lesbiche ed ogni altro genere sessuale possibile ne vedremo di belle in caso di separazioni. Giovanni
RispondiEliminaCaro Giovanni, ti ringrazio per l'intervento ma la questione per la quale mi piacerebbe sentire il vostro parere riguarda l'influenza delle convinzioni sociali, alimentate dai mezzi di comunicazione di massa, nella formazione di un certo tipo di sentenze. Oggi, le associazioni dei padri, una campagna negativa contro alcune strutture sociali (spesso a ragione), tantissime trasmissioni televisive che fanno audience, portano i giudici ad emettere provvedimenti che portano i figli a vivere, per la stessa quantità di tempo, sia con l'uno che con l'atro genitore. Gli infanti e i piccoli adolescenti, subiscono, così, contemporaneamente due realtà economiche diverse. A tuo avviso questo fa bene all'educazione dei figli? e crea una immagine paritetica di entrambi i genitori?
RispondiEliminaUn caro saluto
Francesco
Secondo me entrambi i genitori hanno gli stessi diritti e nelle sentenze i giudici dovrebbero fare in modo che il più debole economicamente possa assicurare, al figlio almeno per il periodo di convivenza, lo stesso livello di vita. Io non sono esperto nello specifico campo perciò vorrei sapere da te come si farà a distinguere il padre dalla madre una volta consentita la adozione da parte di coppie omosessuali. Giovanni
RispondiEliminaIl problema, secondo me, non è solo di "realtà economiche" ma di "realtà familiari", nell'accezione classica del termine.
RispondiEliminaUn bambino non è un oggetto di scambio per soddisfare gli egoismi di due persone che , con la separazione e con il divorzio, avevano già concretato questi egoismi.
Quindi sempre a mio avviso, la situazione di disagio psichico (e, certe volte, anche materiale) che sono costretti a vivere i figli è un effetto di una causa lontana che coincide con la legge sul divorzio.
Ma questo è un altro discorso che ci porterebbe lontano dal tema proposto da Francesco.
Non vi è dubbio che, in una società sciagurata e dominata dai mezzi di comunicazione i più svariati come la nostra, tutte le puttanate che quei mezzi diffondono non possono non influenzare la decisione dei giudici.
Non a caso, infatti, (quasi) sempre il vero vincitore di queste contese tra opposti egoismi è la donna, magari anche se non ne ha tutti i requisiti. Ma che ci volete fare, secondo la vulgata attuale è lei "l'anello debole" e quei poveri padri che, magari, hanno subito la di lei decisione devono abbozzare e sottostare ad angherie di ogni tipo, fino a vivere nell'indigenza più assoluta.
Ma tornando ai figli, credo che la soluzione migliore (anche se più crudele per chi è escluso) sarebbe che i figli vivessero e crescessero con un solo genitore, senza sballottamenti, senza cambiamenti di abitudini, senza doversi subire le inevitabili "lamentele" dell'uno contro l'altra.
Che immagine vuoi che crei una situazione di perenne precarietà? un'altra situazione di precarietà, per non parlare dell'ignominia evocata da Giovanni.
Un abbraccio,
Ettore.
Vi espongo il mio pensiero che è certamente utopistico nel mondo odierna dove regna l’egoismo. Se i genitori fossero consapevoli il danno che arrecano ai loro figli con separazioni, invidie, famiglie aperte e via cantando avrebbero un comportamento più intelligente e responsabile. In sintesi penso che fino a che i figli hanno un’età inferiore ai 15-16 anni i genitori devono fare l’impossibile per non separarsi assicurando loro la presenza di papà e mamma.
RispondiEliminaAvevo già espresso la mia posizione negativa sul matrimonio e sul'adozione nelle coppie omosessuali e, in relazione all'argomento di cui si discute, la penso come Giovanni; stessi diritti ma contribuzione da parte del più ricco affinchè i figli non abbiano due diversi "tenori di vita". Quanto auspicato da Carlo Maria sarebbe l'ideale ma, come dallo stesso riconosciuto, utopico; oggi ogni personale privazione è mal sopportata e, nella vita di coppia, la precarietà prevale sulla costanza. La conclusione di Ettore rispecchia la posizione giurisprudenziale del più recente passato e, a mio avviso, forse è la più realistica. Grazie a tutti
RispondiEliminaFrancesco
Anch'io credo, come Carlo Maria, che la famosa paternità responsabile preveda pure la crescita dei figli "responsabile":il che significa dare priorita' ai bisogni dei figli rispetto alle personali beghe di coppia. Finchè però si dice è facile, l'applicazione poi è sempre più difficile: sicuramente ,anche con la penalizzazione di un coniuge (di solito maschio), io preferirei la serena, nei limiti del possibile, crescita dei minori da parte della madre. A scuola esiste la maestra "prevalente", termine difficile e di diversa angolatura, che da' a una maestra il diritto/dovere di decidere "di più" delle altre maestre. Analogamente, invece dell'affido condiviso,che può creare traumi peggiori del "sano" principio /diritto all'educazione di entrambi i genitori,la prevalenza materna potrebbe attutire alterazioni di tenore di vita e/o educative, altrimenti non evitabili.
RispondiEliminaSpesso i principi sono giusti, ma laddove la loro realizzazione si rivela impossibile, ci si deve abbassare di livello ed accettare che risulti improponibile una volontà costruttiva là ove esiste una realtà conflittuale.
Certo no invidio i giudici per la loro responsabilità decisionale specifica, ma reputo che caso per caso andrebbero valutate situazioni e caratteristiche morali di ogni coniuge.
Marko
Ho omesso il discorso delle coppie omo, con adozioni incluse, proprio perchè ritengo, come spero si sia capito dalla mia precedente considerazione,che il figlio non sia uno "sfizio", ma un atto di generosità condivisa dall'Amore tra due coniugi di sesso diverso. Se già i dissidi sorgono in questo caso, ove "si presume" sussista un comune e responsabile Amore condiviso generante una vita, figuriamoci quante sofferenze dovrebbero subire i figli nati all'interno di una coppia omo.
RispondiEliminanon credo assolutamente che il "principio" della parità delle inclinazioni sessuali, che io rispetto, possa applicarsi ad altre vite di minori, sicuramente più deboli, che dovrebbero "subire" senza difesa la convivenza tra due genitori ( che io non chiamerei però così, ma affidatari) dello stesso sesso.
La teoria è una bella cosa, le leggi anche ma la realtà è, quasi sempre, molto ma molto diversa da quella disegnata o auspicata da una legislazione che si sforza di “coprirla” in ogni suo aspetto, in ogni sua sfumatura.
RispondiEliminaTorno a ripetere che il problema risiede nella decisione di separarsi; decisione presa da entrambe le parti, anche se è poi l’uomo a pagarne le conseguenze peggiori (nel 98% dei casi delle separazioni, l’assegno mensile è corrisposto dal marito, per non parlare dell’assegnazione della casa!).
Una donna che fino ad allora ha, però, vissuto in una casa comprata da “lui”, pure in una località scelta e voluta da “lei” e che lo costringe ad un estenuante pendolarismo per andare a lavorare; una donna che, logicamente, si vede assegnata quella casa e quando magari decide di trasferirsi in un’altra città se l’affitta pure ed intasca i soldi senza dare un centesimo a “lui”; una donna che inventa mille scuse per impedirgli di vedere i figli nei giorni o nel giorno stabilito e che, però, si disinteressa, VOLUTAMENTE, del loro andamento scolastico, costringendo sempre “lui” a farsi dei bei viaggetti per ottemperare a questo dovere primario.
Ed alla fine, “lui” quando va in pensione ne deve dare una parte consistente a “lei”, magari deve riconquistare la fiducia dei figli, magari deve pure vivere in affitto, guardandosi alle spalle con rimpianto e tanta delusione. Diciamocelo pure senza ipocrisia: la vera “parte debole” è l’uomo, mentre lei si gode il frutto dei di lui sacrifici, lo umilia, lo spreme come un limone per una situazione di cui anche lei è responsabile.
La verità e che ne è venuta fuori una generalizzazione delle categorie –che a sua volta ha generato stereotipi- con la conseguenza che si è portati a giudicare secondo standard predefiniti senza mai entrare nel merito delle singole situazioni.
Se poi ci si aggiunge la “discrezionalità del giudice, vengono fuori casi allucinanti come quello del bambino “diviso” di Cittadella che fa riflettere molto ma veramente molto sulle responsabilità e le colpe di quelle persone adulte che, obbedendo ad opposti egoismi, annichiliscono i sogni e la speranza del futuri dei veri innocenti.
Un abbraccio,
Ettore.