Il 17 marzo 2012, l’Italia è entrata nel suo 151° anno di Unità nazionale.
Ricordo ancora il fervore patriottico con cui addobbammo il nostro Blog, con cui lanciammo il nostro invito ad esporre il Tricolore, con cui ci addentrammo in lunghe discussioni se era meglio mettere “questo” o mettere “quello”; sono stati, quelli, momenti di esaltazione che, però, almeno io temevo fossero destinati a rimanere circoscritti in un ristretto ambito quasi da “Carbonari”.
E i presupposti c’erano tutti, a cominciare dal flebile afflato patriottico che decenni di menefreghismo generalizzato avevano inculcato nel popolo italiano.
Diciamoci pure in tutta onestà che l’alba del 17 marzo 2011 non può essere annoverata tra quelle più “radiose” della nostra pur breve storia unitaria: eravamo più che mai ranturcinati nella salvaguardia del nostro eterno, maledetto particulare; continuavamo a sentirci dire che, a noi, la crisi ci fa un baffo; se ci avessero parlato di spread, probabilmente l’avremmo presa come un’offesa personale, tanto ignoravamo cosa fosse; ci crogiolavamo in un benessere virtuale ad esclusivo beneficio, però, delle sole agenzie di credito; vivevamo in una realtà boccaccesca che se ne sbatteva impunemente del “comune senso del pudore”.
Poi, improvvisamente, come improvviso sa essere solo un cataclisma, ci è stata sbattuta in faccia una realtà che nemmeno nei nostri peggiori incubi avremmo potuto immaginare; abbiamo passato l’estate a rincorrere “manovre” che ci impoverivano sempre di più; abbiamo incominciato a sentir parlare di “baratro”, mentre la nostra cugina e maestra di Civiltà d’oltre Adriatico, in quel baratro, c’era già finita; abbiamo visto sparire i sorrisi compiacenti di chi ci aveva fino ad allora “rassicurato” e, unica cosa positiva, non ne abbiamo più visti in televisione.
Forse, in quel momento drammatico, abbiamo incominciato a renderci conto che eravamo tutti nella stessa barca; che eravamo un popolo unito da disgrazie apocalittiche; che l’era carnascialesca era finita; che era giunta l’ora di metterci a fare le cose serie, come lo fecero i nostri avi all’epoca della Banca Romana, di Caporetto e dell’8 settembre; non era più tempo di sceneggiate: era quello della serietà.
Ed, a mio avviso, è stato proprio questo brusco risveglio (sai, come quando ti gettano una secchiata d’acqua gelida in faccia!) a farci prendere coscienza che centocinquanta anni non potevano essere gettati nel secchione dell’immondizia, solo perché eravamo stati tanto idioti da farci imbonire da una manica di incompetenti (e pure truffaldini) e, per di più, anche tanto ingenui da votarli.
Non so se questo risveglio, questa presa di coscienza si sia visualizzata, concretata in un turbinio di bandiere; non lo credo, perché non è nell’indole dell’Italiano abbandonarsi a scene di giubilo quando ha i parafanghi a terra o quando ha preso coscienza che è giunta l’ora di fare le cose serie; però, aldilà del turbinio, è indubbio che abbiamo avuto la forza di metterci i guantoni ed abbiamo incominciato a prendere a pugni lo spread, S&P, e tutti quegli altri uccellacci che ci svolazzavano sopra la testa, in attesa della nostra, inevitabile e miserabile fine.
Questo primo round lo abbiamo vinto, nonostante i tanti sganassoni che abbiamo dovuto incassare, a cominciare da quelli portati al nostro conto corrente; ma l’incontro non è ancora finito, anzi ci aspetta forse il peggio, rappresentato dai potentati di tutti coloro che, direttamente o no, ci si ingrassano, primi fra tutti i partiti ed i sindacati.
Io però sono fiducioso, perché non credo che l’Italiano sia un popolo di solo pizza e mandolino; e chissà se, ora che abbiamo conosciuto ed apprezzato “l’altra faccia della medaglia”, ora che è apparso l’arcobaleno, i prossimi 150 anni saranno migliori!
Un abbraccio a Tutti,
Ettore.
Nessun commento:
Posta un commento
Scrivi qui i tuoi commenti .