venerdì 20 dicembre 2013

Riflessioni di un nonno


                                             

 
E' notte, ancora una volta l'insonnia mi è compagna; mi siedo sulla poltrona in sala, piano per non fare rumore; una debole luce notturna rischiara l'ambiente. L'orecchio di Teo, il mio cane, percepisce la mia presenza ma il mio amico non si scompone: è abituato al mio girovagare.

Ad occhi socchiusi lascio la mia mente libera, libera di fantasticare ed affrontare i più svariati problemi.  Quello che dalle sue pieghe affiora questa notte è particolarmente interessante.

Non credo di essermi sempre posto il problema di chi o che cosa abbia sostenuto il mio cammino, la mia fatica di vivere.
L'infanzia l'ho trascorsa nel totale abbandono ai miei genitori; nella pubertà ho sperimentato le prime ribellioni agli insegnamenti avuti e i primi desideri di voler fare da solo.

E' nel periodo adolescenziale, che trovo le prime ricerche di un progetto di vita che mi sostenesse nelle mie scelte: studi, condotta di vita, ricerca di amici sinceri.
Tutto, comunque, ristretto a cose concrete: una carriera in sintonia con le mie idee, la fidanzata prima e la sposa dopo, l'educazione dei figli. Tutte cose meravigliose nelle quali ho creduto e per le quali ho vissuto.

Poi qualcosa è cambiato, l'esistenza non poteva essere solo finalizzata a cose terrene e quindi effimere. Arrivata l'età matura ho capito come tutto abbia un valore relativo: sia i successi che le sconfitte. Si sente prepotentemente come l'uomo sia proiettato oltre, si sperimenta su se stessi questo insaziabile desiderio di cercare ancora, di sperare per continuare a vivere e non morire dentro. Sperare contro ogni speranza che la nostra esistenza non si cancelli con la morte.
Ecco, quindi, questo feroce desiderio di abbandono, di sperimentare ancora la fiducia già conosciuta nell'infanzia quando mi affidavo ciecamente alla volontà dei miei genitori che amavo perché  intuivo che volessero il mio bene.

Desiderio di offrire a Qualcuno tutta la mia vita, tutte le mie esperienze, gli errori, le delusioni, i successi perché nulla di me andasse perduto.
Desiderio di affidarmi a Qualcuno che non ha mai cessato di cercarmi anche se io ho creduto di poter fare a meno di Lui.

Gli occhi si chiudono; guardo Teo che, placido, riposa; vedo il volto della mia nipotina sorridermi dalla foto sulla scrivania...quasi senza accorgermi, si affaccia alla mia mente una preghiera, una delle tante che pensavo d'aver dimenticato. Le mie labbra la sussurrano: prima, quasi per inerzia poi …..
Massimo Riccobaldi.

giovedì 19 dicembre 2013

Q.d.B. augurano....



Realizzato da Giovanni Papi.

domenica 15 dicembre 2013

De juventude


Nonostante gli strascichi del disastro che si è consumato sulle rive del Bosforo facciano ancora sentire tutto il loro, devastante, peso sul mio sistema neurovegetativo, mi sforzerò di fare una serena analisi dell’attuale situazione politica italiana.
Non vi è dubbio che i recenti fatti hanno dato una, speriamo, salutare scossa ad un sistema anchilosato, autoreferenziale, trasversalmente e colpevolmente inefficiente; una generazione nuova è riuscita ad aprire una breccia e sta cercando disperatamente di prendere possesso di quello che c’è aldilà.

Dico subito che, per me, l’essere “giovani” e magari pure “donne” non è sinonimo automatico di capacità; non sono, sempre secondo me, l’anagrafe o il sesso la conditio sine qua a che un politico, un dirigente sia affidabile; certo, l’entusiasmo, la voglia di emergere, l’assenza di palle al piede di un passato disastroso sono elementi motivazionali necessari ma, non sempre, sufficienti.
Ciò detto, una cosa appare subito in tutta la sua evidenza: l’assenza nel Centrodestra di personaggi con tali caratteristiche.

Mentre, infatti, nel Centrosinistra sono emersi uomini che sanno quasi “di nuovo” o, almeno, hanno poche scorie del vecchio, dall’altra parte i volti sono sempre gli stessi, anche tra coloro che stanno tentando, faticosamente, di liberarsi dell’ asfissiante cappa di piombo che ha soffocato per decenni ogni possibilità di rinnovamento.
Io che “sinistro” non sono mai stato, devo riconoscere che, nonostante l’imbarazzante e sventurato dilettantismo degli ultimi anni, un certo, ancorché limitato ricambio c’è pur stato, anche se i “pezzi da 90”, sembravano inamovibili; dall’altra parte, invece, l’incombente, monocratica, ricattatrice presenza di un satrapo ha impedito la nascita e la crescita di personaggi che avrebbero potuto contribuire al rinnovamento del nostro sgangherato sistema politico-istituzionale.

Entrando nel merito, mi sento di fare questa analisi.
Renzi è entrato a gamba tesa ed ha trovato opportunità a schiovere nella palude parlamentare; come mi rimprovera sempre il buon Oliviero parlando e rosicando della Signora, diciamo che “gli piace vincere facile”, non fosse altro che per mancanza di avversari paritetici. Certo, non avrà vita né semplice né facile, dato che la zavorra ancora esistente continuerà ad avere il suo peso; però e fatta la tara di una buona dose di logorrea, sembra avere tutte le carte in regola per poter lasciare qualche segno tangibile: diciamo pure che “di nuovo” ha molto.

Alfano sta tentando disperatamente di emanciparsi dalla morsa di un padrone implacabile ed annichilente (ci aveva, inutilmente, provato con le “primarie” di qualche mese fa) ma è frenato, secondo me, da due elementi quasi insuperabili: l’ingombrante permanenza di tanto “vecchiume” –per di più molto compromesso- intorno a lui e la predisposizione a parlare in “politichese stretto”, appesantito per di più da un linguaggio forense di sicula ascendenza democristiana.
Berlusconi continuerà a sparare le sue fanfaronate, a fare le sue promesse, a cercare di rimettere assieme i cocci di un giocattolo che lui stesso ha rotto ma non credo che possa avere un futuro: gli mancano i ricambi e lo condanna l’anagrafe.

Grillo, con la sua spocchia di unico “unto”,  non lo metto neanche nel novero dei possibili “salvatori”, considerate l’inconcludenza solo disfattista delle sue “idee” e la pochezza della sua armata brancaleone che, di quell’inconcludenza, è la sola espressione possibile.
Salvini –che pure l’anagrafe allocherebbe tra il “nuovo”-  sa di "vecchio" e non è altro che la copia sbiadita dei forcaioli più duri che puri con cui è cresciuto; continua a ripetere le stesse litanie e si è fatto rubare pure il palcoscenico dal comico di cui sopra, in quanto a volgarità ed aria fritta.

Anche se potrebbe sembrare che non ci azzecchi niente, non si può non citare quella grande moltitudine, quel guazzabuglio disordinato ed acefalo che, sotto le sigle più svariate ed improbabili, sta scuotendo il Paese. Nonostante la ragionevolezza e la giustezza delle rivendicazioni, non credo che abbia un futuro o, quanto meno, un futuro ordinato, propositivo, concreto; avrebbe bisogno di un “LUI” che ne raccolga e ne disciplini le istanze, facendole concretizzare.
Ma, pur nell’alveo dell’atavica incapacità italiota di produrne di seri, mi e Vi chiedo: non ne abbiamo già avuti troppi?!

Un abbraccio,
Ettore.

 

martedì 10 dicembre 2013

Intimità profanata


Modena, il cortile di Palazzo Ducale apre al pubblico
Sabato 7, sabato 21 e martedì 24 dicembre, in occasione del periodo natalizio, sarà aperto il passaggio pedonale da piazza Roma a corso Vittorio Emanuele attraverso il Cortile d’Onore del Palazzo Ducale. L’iniziativa, frutto di un accordo tra il Comando della Accademia Militare e il Comune di Modena nell’ambito del progetto di pedonalizzazione di piazza Roma, è volto a favorire l'accessibilità e la frequentazione del Centro Storico. L’apertura, in programma, a carattere sperimentale, verrà attuata dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19 (il 24 dicembre solo la mattina).

Questa notizia, apparsa sulla cronaca cittadina di Modena, mi è stata inviata qualche giorno fa dal buon Oliviero che, nell’occasione, ha fatto ricorso a tutto il Suo vocabolario apologetico per glorificare l’iniziativa, arrivando ad affermare che, quando tutto si sarà concluso, l’intero complesso storico diventerà “uno dei più bei salotti d’Italia”.
Tra le altre cose, sempre il buon Oliviero –in piena trance “salottiera”- metteva in evidenza il fatto che i Modenesi considerano il Palazzo ducale è un po’ la loro “casa” e come, quindi, questa apertura rappresentasse quasi una riappropriazione, anche se in comproprietà e limitata nel tempo e nello spazio,  di un Loro bene.

Questo, in sintesi il pensiero olivierano: io, però, che ho nel cuore Modena solo perché vi è allocato un luogo dove ho trascorso due anni meravigliosi (visto che, da assiduo inquilino della “tabella”, non è che abbia avuto modo di conoscerla), io dicevo non è che sono molto d’accordo e Vi spiego pure perché.
Io, di quel Cortile, sono geloso, perché lì sono custoditi i ricordi più sacri della mia vita; lo considero un po’ come un tabernacolo: un luogo, cioè, cui possono avere accesso solo i sacerdoti di una fede che non è dato da spartire con nessuno, salvo snaturarla nella sue essenza più intima.

Sono geloso perché, lì ed insieme ai miei fratelli di Corso ho urlato a Dio ed al mondo, alzando il braccio destro, il mio Giuramento di fedeltà e d’onore; perché lì ed insieme ai miei fratelli di Corso ho ricevuto – per custodirla e tramandarla- la “stecca”; perché da lì ed insieme ai miei fratelli di Corso ho intrapreso la via che mi portava alla Stelletta: alla vita che avevo scelto.

Sono geloso perché ogni sampietrino, ogni colonna, ogni pilastro di quel Cortile emana l’esaltante aroma di una Tradizione che va accettata e tramandata con tutte le sue liturgie, anche quelle che, agli occhi di un profano, potrebbero sembrare assurde; ma sono liturgie che vanno rispettate in toto, senza discuterle: non credo, infatti, che a nessun “Allievo” verrebbe mai in mente di attraversarLo “in diagonale”!
E poi, diciamoci la verità: questa iniziativa sarà pure “frutto dei tempi”, però a ben guardare, ai nostri di tempi, non è che tutto questo afflato dei Cittadini -sia per il Palazzo che per i Suoi inquilini- fosse così evidente, anzi. Certo, non si può negare a priori una seppur tardiva folgorazione “a Piazza Roma”, però, per me, ha sempre il sapore di una “profanazione” che risponde più a criteri utilitaristici e d’immagine che a vero amore verso l’Istituzione: a pensar male si fa peccato ma……!

Forse, potrei cambiare idea se la sensazione di aver individuato una scorciatoia pedonale o di potersi “fare una vasca”, diciamo così, “culturale”, fosse cancellata da un massiccio contributo per effettuare gli indispensabili lavori di restauro; non vorrei sembrare venale, infatti, ma mi sembra che, se il Palazzo –ancorché un po’ sgarrupatello- è ancora in piedi, il merito non può essere certo attribuito alla Città.
E lasciatemi concludere con una riflessione, amara, anch’essa “frutto dei tempi”. Quanto ho detto deriva dal fatto che io, come le altre migliaia di “ragazzi” che hanno avuto l’onore ed il privilegio di trascorrere due anni in quel luogo, considero il Palazzo la mia “casa”; tra le Sue mura, ho vissuto tutti i giorni sempre insieme alle stese persone, facendo con loro sempre le stesse cose, soffrendo –ma anche gioendo- con loro: chissà se per i nostri successori attuali rappresenta la stessa cosa o, piuttosto un semplice “albergo”?

Un abbraccio,
Ettore.

sabato 30 novembre 2013

.....ancora sul Calcio


Avevo già espresso il mio parere sull’opportunità o meno di continuare a considerare uno sport il Calcio ma le recenti notizie dalla Polonia mi spingono a tornare sull’argomento.

Veramente ne avevo già avuto voglia in occasione della scandalosa vicenda della Nocerina ma poi avevo pensato di non insistere.

I  “fatti” o meglio i fattacci di Varsavia hanno, ancora una volta, mostrato l’aspetto peggiore di uno sport –cui viene universalmente riconosciuta una quasi “supremazia” planetaria- su cui –come su altro- non ci si può esimere da fare alcune considerazioni

Dopo aver rinnovato tutta la mia esecrazione per le violenze che accompagnano ormai tutte le partite, sia dentro che fuori degli stadi; dopo aver ripetuto che questa attività è diseducativa e ridicola per i comportamenti dei giocatori  in campo e fuori; dopo aver ribadito che i compensi e gli introiti delle squadre sono scandalosi e che dovrebbero essere tassati al 75% come in Francia, devo esprimere tutto il mio apprezzamento per le forze di Polizia della Polonia che, in un colpo solo, hanno arrestato oltre 100 scalmanati, impedendogli anche di vedere la partita.

Sono proprio contento ma mi chiedo (e chiedo a chi ne sa più di me in fatto di ordine pubblico) : come è possibile che da noi, anche in occasione degli scontri più violenti, in presenza di feriti e devastazioni, al massimo vengono fermati pochissimi individui, subito dopo rilasciati dalla Magistratura ?

Siamo abituati a vedere le nostre forze di polizia schierate per ricevere insulti di ogni genere, lanci di oggetti di ogni tipo e rimanere impassibili mentre il comune senso di giustizia vorrebbe una energica reazione.

Ricordo che anni fa a Roma i “tifosi” assalirono una caserma della PS a Via Guido Reni e le autorità apprezzarono vivamente che non vi fosse stata alcuna reazione ….. come se fosse stato il comportamento più eroico possibile !

Qualcuno mi dirà che anche all’estero gruppi di “tifosi” sono violenti; è vero però la violenza vengono a praticarla prevalentemente in Italia, perché al loro Paese non si permettono di farlo altrimenti sono convinto che avrebbero lo stesso trattamento della Polonia.

Allora, quali sono i motivi di questa eccessiva permissività che rilevo? E’ colpa delle leggi oppure chi ha il compito di garantire la sicurezza preferisce lasciare correre, anche perché, in caso di arresti massicci, non saprebbe dove portare i fermati e soprattutto, in attesa di un giudice disposto a convalidare i provvedimenti restrittivi, avrebbe  pure l’onere della custodia ?  

E’ del tutto ovvio che queste considerazioni sono da trasferire in blocco anche a tutte le “manifestazioni di protesta” che frequentemente sfociano in guerriglia e, guarda caso, i protagonisti sono, a volte, gli stessi .

Saluti dal freddo,

Giovanni

martedì 26 novembre 2013

Realtà e retorica



“Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell'ammassare senza fine beni terreni.
Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo.  

Il PIL comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.

Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell'equità nei rapporti fra di noi.
Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.

Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.”

Queste parole furono pronunciate da Robert Kennedy poco prima di essere ammazzato e sottolineano quanto grande fosse la diversità da quel fratello maggiore che ancora oggi è il Presidente degli Stati Uniti più amato e più ricordato.   

J. F. Kennedy fu, apparentemente, il presidente dell’innovazione, dell’apertura ai neri e ai ceti più bassi ma, oltre ai discorsi, nella sua breve vita presidenziale non ha emesso un solo provvedimento che potesse definirsi di carattere sociale. La sua azione governativa fu caratterizzata da una lotta continua e senza esclusione di colpi contro gli apparati più potenti (CIA in testa) con lo scopo di ridare alla figura del Presidente il prestigio e l’importanza che aveva perso. Il ritiro delle navi russe, senza colpo ferire, fu l’unico suo grande e vero successo politico.
 
Robert era diverso, era un uomo buono e altruista che anteponeva il bene del popolo al prestigio personale e all’immagine di forza e potenza che tanti americani avrebbero voluto per la propria Nazione. Politicamente si discostava dallo stereotipo borghese/bigotto che caratterizzava il gruppo di famiglie potenti ed importanti al quale la sua apparteneva e, anche se egli stesso avrebbe considerato bestemmia questa definizione, era un socialista puro. Se così non fosse non potremmo dare un significato concreto alle parole su riportate perché quando si auspica l’intervento dello Stato per limitare la forza devastante dei mass media o per rendere la sanità accessibile a tutti o per incidere sull’istruzione e sulla educazione dei bambini, il tutto a scapito della ricchezza globale del Paese, si professa una politica socialista dove la ricerca del profitto è sostituita dalla elargizione del benessere; attività, quest’ultima, anti liberale e lontana anni luce dalla mentalità americana. Pensate alle batoste del povero Obhama che molto si avvicina a Robert Kennedy, e a come l’intero popolo sta reagendo nei confronti della politica sociale sanitaria che pure è stato il suo cavallo di battaglia per essere eletto.

Chi di noi, leggendo le parole di Robert non si sentirebbe al suo fianco nella lotta alle ingiustizie e alla discriminazione sociale causata dalle disparità economiche ma quanti di noi rinuncerebbero a parte dei propri beni terreni guadagnati con merito e sudore per aiutare altri che, in molti casi, hanno anteposto al lavoro lo svago e il riposo ?. La domanda può sembrare fuorviante e provocatoria ma l’essenza della politica economica liberale, che tra l’altro ha fatto grande gli Stati Uniti, è la meritocrazia; la possibilità, cioè, di poter guadagnare (e spendere) in funzione delle proprie capacità di produrre reddito. Questo modo di essere produce sì contraddizioni evidenti come il barbone che vive sotto le fondamenta della mega abitazione dotata di piscina ma, nel complesso, migliora il tenore di vita della maggioranza del popolo.
E’ vero l’aumento del PIL non migliora il funzionamento delle nostre Istituzioni, o l’onestà della gente o l’educazione dei nostri figli e la ricchezza in genere non ci fa vivere meglio ma uno Stato deve essere coerente nella propria scelta politica: può lasciare l’economia in mano ai singoli garantendo a tutti quei servizi che servono al mantenimento della dignità individuale oppure può limitare la libera iniziativa intervenendo direttamente nella distribuzione della ricchezza. Nel primo caso, i servizi che eroga potranno essere pagati quasi esclusivamente attraverso le entrate derivanti dalla tassazione e, quindi, lo Stato deve sperare che il PIL aumenti sempre più (tipico della stragrande maggioranza degli Stati più evoluti); nel secondo deve fare in modo che i pochi  uomini che lo rappresentano siano capaci ed onesti e questa non è utopia?

Di retorica ne è pieno il mondo e il vivere è la ricerca continua dell’equilibrio fra ciò che si vorrebbe e ciò che si ha.
Francesco

 

 

sabato 23 novembre 2013

Il cuore non ha età


Nonostante sia ormai "vecchietto" e disabituato alle grandi fatiche (ammesso che mai tale "cattiva" abitudine mi abbia posseduto!), non ho potuto fare a meno di rispondere affermativamente ad una richiesta di recarmi in Gallura per "dare una mano" a chi non ha avuto la mia fortuna. Ho preparato il mio zaino, mi sono vestito adeguatamente e ... via. Ho aderito senza  razionalità (forse molti giovani hanno più capacità di me e sicuramente hanno più forza, mi dicevo), ma, d'istinto: pensando  che potessi essere utile, sono andato.
Già dalla partenza sono stato "aggregato" ai vigili del Fuoco di Sassari (o meglio ad una loro squadra).

Giunti all'estrema periferia di Olbia, le immagini che si sono presentate ai miei occhi sono state terrificanti: strade con voragini di decine di metri, vie trasformate in fiumi in piena, campagne circostanti trasformate in laghi profondi alcuni metri con decine di carcasse di bovini e ovini che galleggiavano inerti, uomini e donne che, come formiche, entravano e uscivano  con secchi e quant'altro pieni di fango e acqua dalle loro case ormai semi distrutte e inabitabili (almeno al piano terra). Ho assistito alla preziosa professionalità dei "pompieri" che in pochissimo tempo hanno aiutato a svuotare le cantine, "bonificare" piani terra e ammezzati, radunato gli abitanti e organizzato il loro trasferimento in un hotel (che però è avvenuto a tarda serata perché non si sapeva bene dove portarli). Intanto un camion civile, spuntato dal nulla, distribuiva a quelle famiglie, cibo e coperte: la magia della solidarietà! (ho poi scoperto che erano dei volontari di Ozieri, una cittadina a circa 50 km., che preservata dalla bomba d'acqua aveva pensato di correre in aiuto ad altri Sardi in difficoltà).

Subito dopo (un paio d'ore prima del buio, intorno alle 15.30) i vigili del fuoco sono stati chiamati ad intervenire in una frazione di Olbia (credo Monte Telti) che era quasi del tutto isolata; infatti era accessibile solo da una strada  non asfaltata che, forse, era ancora transitabile. I vigili insistevano nel dirmi che era troppo pericoloso portarmi con loro; ma io, nonostante avessi paura, insistevo, da buon masochista, per andare con loro. L'ho spuntata e con i loro mezzi, seguiti da una piccola colonna di camion carichi di coperte, bombole e cibo di prima necessità, siamo partiti. Per fortuna la strada non presentava seri pericoli e siamo arrivati in pochissimo tempo. di nuovo uno spettacolo impressionante: la furia dell'acqua aveva devastato le case, ucciso il bestiame, sepolto le campagne, buttato a valle le vetture e i trattori, squartato alcune strade di quella frazione costituita da una decina di abitazioni e una quarantina di abitanti.
Naturalmente non c'era luce e c'era un freddo incredibile. Nessuno degli abitanti voleva muoversi dalla propria casa, nonostante tutti i nostri solleciti (e anche minacce di portarli via a forza!). Abbiamo distribuito tutto quello che avevamo, ripulito alla meno peggio le cantine e il piano basso delle loro abitazioni e constatato che tutto sommato il primo piano era ancora abitabile. Solo una famiglia possedeva una casetta fatta solo del piano terra, peraltro reso inabitabile. Marito, moglie e tre bambini in scala dai 5 agli 8 anni: avevano perso la casa, il bestiame (una cinquantina di pecore), e l'appezzamento di terra coltivato prevalentemente ad orto. L'uomo e la moglie, il cui motto pareva solo essere "dignità e dignità" si schernivano e non volevano muoversi da li. Forse avrei dovuto fare il mestiere di mediatore/imbonitore o di parroco, infatti li ho storditi con le chiacchiere; pian piano li ho convinti (per loro stessi, per i bambini) a trasformare il loro motto in "pane e dignità" poi, visto che li non c'era più pane, ad accettare con dignità il nostro aiuto.

Li ho portati a Sassari; hanno dormito a casa mia. Ieri notte poi è stata una processione di parenti e amici, con vestiti , giocattoli ed altro.
Stamattina mi ha telefonato zio Luigi Ledda (87 anni), uno dei miei nonnetti, che tutti chiamano "telegiornale" (perché segue tutte le notizie in TV e sui giornali e poi fa la conferenza stampa agli altri). Essendo, tra l'altro, Capo della Commissione "Cenone di Natale e Capodanno", mi ha "ordinato" di prendere i risparmi delle Feste Natalizie per darli a chi ne ha più bisogno e mi ha segnalato un caso che poi vi dirò.

«Tanto noi non abbiamo più i denti - mi ha detto - e possiamo anche mangiare una minestra di brodo!»
Stamattina ho “saccheggiato" davvero i risparmi destinati a loro, per dare una quota di sopravvivenza a questa famiglia di miei nuovi amici.

Stamattina ho accompagnato la famigliola a San Teodoro, dove mia nipote ha messo a disposizione una casa che lei utilizza solo in estate. Non appena ci daranno il via (le strade sono ormai tornate quasi tutte agibili), un mio amico con la sua impresa edile rimetterà a nuovo la casetta di Pasquale e Rosa; successivamente, un altro mio amico sostituirà la mobilia (resa marcia dall'acqua e dal fango) sperando che nel frattempo la macchina degli aiuti ufficiali si metta in moto e arrivi a destinazione, non solo per loro ma per tutti.
Lo stesso lavoro questi miei amici (impresario e mobiliere) lo faranno a favore della famiglia di Fabrizio Pinna, un ragazzino di 15 anni che zio Luigi ("Telegiornale") mi ha segnalato. Anche Fabrizio, che vive ad Olbia, ha avuto la casa distrutta, ma non solo.

Circa otto anni fa è stato colpito da una rarissima malattia, a tutt'oggi ancora di natura ignota.
Prima era un bambino come tutti gli altri, con un sogno: giocare a calcio e magari un giorno far parte della sua squadra del cuore : La Juventus, ma purtroppo questa malattia gli impedisce di coordinare i movimenti. Fabrizio ha avuto tappe dello sviluppo normali sino all'età di 6 anni, dopo di che ha cominciato a soffrire di perdita di equilibrio, e a seguito di RMN (Risonanza Magnetica Nucleare) si è evidenziata una atrofia cerebellare, e diagnosticata una atassia di natura ignota. Dopo anni di sofferenza e di frustrazione finalmente la luce in fondo al tunnel, la possibilità di cura.

A Febbraio, Fabrizio dovrebbe recarsi negli Stati Uniti d’America -Maryland - dove è situato l’unico centro al mondo specializzato in malattie rare: il NIH, National Human Genoma Research Institute, di Bethesda. A tutt'oggi sono stati raccolti 84.000 Euro dei 120.000 necessari per il viaggio, il soggiorno, il ricovero e le cure complete.
Domani mattina mi recherò ad Olbia con l'impresario ed il mobiliere per un sopralluogo e porterò alla mamma di Fabrizio il contributo dei nostri nonnetti.

So di aver portato solo una goccia dall'oceano, so che non ho fatto niente di eroico, ma so anche che stasera mi sento meglio, sento il cuore colmo di pace e di buoni sentimenti.
Un abbraccio,

Pierfranco

 

 

 

domenica 17 novembre 2013

Stato e Giustizia


Non credo ci voglia un grande acume politico per scoprire che l’Italia, almeno da una ventina di anni a  questa parte, ha imboccato una pericolosa e devastante deriva etico-morale che non risparmia nessuna della sue componenti essenziali: lo Stato, la società, la famiglia.
Siccome sono, da sempre, convinto sostenitore che lo Stato debba essere l’attore ed il garante principale ed unico di un corretto ed armonico sviluppo laico della Società, sono andato in giro a spulciare qualche cosa di “pesante” che desse dignità –filosofica, storica, religiosa- a questo mio convincimento.
Così, mi sono imbattuto in questa citazione di S. Agostino che mi sembra non risenta affatto dell’oltre millennio e mezzo di età: “Se non è rispettata la Giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri? Perché anche le bande dei briganti che cosa sono se non dei piccoli Stati”.
Certo, quanto a “pesantezza”, questa citazione non ha niente da invidiare a nessun’altra, anche perché stabilisce, senza se e senza ma, come la costruzione e lo sviluppo  equilibrato di una Società –e, quindi, di uno Stato- per forza di cose debbano ispirarsi ed essere guidati da una elevata, consapevole, costante applicazione della “Giustizia”.
Attenzione, però; il termine “giustizia” non deve essere limitato al ristretto (anche se fondamentale) ambito giurisdizionale, bensì deve essere allargato all’accezione di “principio morale, virtù, consistente nel dare a ciascuno il dovuto”, e quindi traslato su un piano etico a valenza universale.

Hegel, al riguardo, specula sul fatto che è vero che la Giustizia si attua astrattamente nell’individuo (e nei suoi rapporti con gli altri individui) ma solo nello Stato si afferma in forma concreta ed universale; secondo Hegel, quindi, la Giustizia non implica solo eguaglianza ma, e soprattutto, costituisce il motore, il mastice per una armoniosa unitarietà di singoli in un tutto: cioè lo Stato.

Orbene, se uno Stato neglige, offende, disattende la realizzazione di questo principio etico ed universale, non vi è dubbio che i cittadini di quello Stato saranno condannati ad una progressiva, inarrestabile atrofizzazione di ogni Valore, fino ad essere inclini a rifugiarsi in stereotipi negativi che ne devieranno il corretto ed armonioso sviluppo, in rapporto a quello dei cittadini di altri Stati, con Esso concorrenti.
Ho fatto questa lunga premessa senza nessuna velleità pseudo-culturale, bensì  per vedere se la nostra povera Italia è composta, è governata o meno da “briganti” (sinonimo di fuorilegge); e lo farò
ponendomi, ponenedoVi delle domande che discendono dalla semplice constatazione della realtà.

Si può considerare “giusto” uno Stato che, al suo interno, ne ha un altro che si regge e prospera sul malaffare, sulla sopraffazione, sull’assassinio? Un anti-Stato efficiente e spietato che si è impadronito dei Suoi gangli vitali e che ne governa, sfruttandolo, stuprandolo, umiliandolo, gran parte del territorio.
Si può considerare “giusto” uno Stato che sembra aver abdicato all’uso della “violenza legittima” a favore della criminalità o del primo gruppuscolo che è “contro” qualcosa?
Si può considerare “giusto” uno Stato che è percepito dai suoi cittadini come “nemico” e, come tale, meritevole di essere fregato ad ogni livello, attraverso la corruzione, l’evasione fiscale, le piccole e grandi furberie?
Si può considerare “giusto” uno Stato che viene inteso solo come elargitore di salari, pensioni, provvidenze di vario genere, piuttosto che come, ed anche, unico legittimato a chiedere il rispetto delle leggi o il pagamento delle imposte?
Si può considerare “giusto” uno Stato la cui classe dirigente, annovera –e li protegge pure- personaggi in odore non proprio di santità?
Si può considerare “giusto” uno Stato in cui la legge c'è ma non si applica?
Si può considerare “giusto” uno Stato che ha affidato i suoi destini ad arruffapopolo senza scrupoli, senza cultura, senza nessuna base ideale, senza nessun rispetto delle regole, salvo quelle che inducono un interesse personale? Cioè: ognuno per sé senza vergogna!
Si può considerare “giusto” uno Stato in cui i Partiti si sono ridotti ad essere o proprietà di un “santone” o ad essere soffocati dal personalismo di decine di piccoli leader, capaci di dilaniarsi su tutto?
Si può considerare “giusto” uno Stato in cui le rappresentanze sindacali, colluse e sterili, sono ancora ancorate ad un passato ideologico, da tempo sepolto e dal mondo reietto?
Si può considerare “giusto” uno Stato in cui i problemi giudiziari –e non solo- del leader di una delle principali forze politiche ne condizionano il corretto funzionamento ed alimentano anche l’idea di una certa elasticità delle leggi?
Si può considerare “giusto” uno Stato in cui esistono solo diritti?
So può considerare ”giusto” uno Stato in cui, per qualsiasi cosa che si voglia fare, c’è sempre qualcuno che si oppone, che protesta, che scende in piazza?
Si può considerare “giusto” uno Stato dove persino lo svolgimento delle partite di Calcio è deciso da dei delinquenti?
Non so se ce ne sono ancora. Io sono nauseato.
Se Voi ne avete qualcuno aggiungetelo e….amareggiamoci ancora di più!
Un abbraccio,
Ettore.

 

 

venerdì 8 novembre 2013

Perché?!


E’ nella cronaca di questi giorni il ritrovamento di nuove fosse comuni nell’area di Prjador (Republika Serba, Entita’ della  Bosnia Herzegovina) dove sono stati riesumati i resti di circa 400 civili e si ritiene fondatamente che che si arrivera’ ad oltre un migliaio al termine degli scavi in corso; il numero di circa 1300 uomini, donne, bambini, vecchi e’ confermato da due personaggi che hanno deciso di collaborare. Considerate che solo chi ha preso parte alle stragi conosce le ubicazioni delle fosse comuni, mentre dalla parte delle vittime, la gente e’ stata sterminata o costretta a lasciare le case ed il paese. Per quanti avessero poche informazioni i cadaveri sono di civili bosniaci musulmani e, in questo caso di civili croati, mentre gli aggressori sono serbi di Serbia e serbi della parte est di  Bosnia, area sottoposta a pulizia etnica devastante.
Perche’ continuiamo a trovare fosse comuni in Bosnia Herzegovina  dopo quasi vent’anni dalla fine imposta della guerra? Perche’ , al di la’ della tragedia della stessa guerra dove forze armate si fronteggiano, ci furono quelle stragi di civili al centro della civilizzata Europa, a due passi da noi? Perche’ i nostri governanti hanno consentito che avvenissero e noi le abbiamo semplicemente guardato avvenire,  leggendo i giornali o vedendo la televisione in comode poltrone?

Perche’ noi internazionali abbiamo mantenuto in piedi  una Costituzione in BiH, che e’ stata certamente la base per la firma degli accordi di pace di Dayton, ma che ha ha dato meta’ del Paese agli aggressori? Perche’ i Paesi che hanno sostenuto gli accordi di pace ed hanno installato in BiH un Alto Rappresentante con poteri di dismettere funzionari e personalita’, di imporre leggi o cancellarne altre, insistono da alcuni anni a dire che i politici bosniaci devono cambiare la Costituzione e devono accordarsi, senza considerare che il meccanismo basato sul potere di veto di una delle tre nazioni costituenti, non consentira’ mai alcun accordo? Perche’ la comunita’ internazionale ha avallato una legge istitutiva del referendum 2013 in BiH, in cui si raccolgono informazioni sulla religione e sul gruppo etnico di appartenenza e non si autorizza la conta di quanti sono stati espulsi e vivono all’estero impossibilitati a ritornare nei luoghi di origine dove amministratori, poliziotti e vicini di casa sono per lo meno contigui ai crimini di cui oggi ancora troviamo dolorosa traccia.
Forse la risposta a queste domande e’ semplicemente perche’ loro sono musulmani; erano musulmane le oltre 8.000 vittime di Sebrenica ed a questo numero si arriva sulla base dei corpi ritrovati nelle fosse (poco piu’ di 6.000) e di dichiarazioni dei sopravvissuti ( naturalmente non ci sono reclami quando tutti i componenti i nuclei familiari ed i vicini di casa sono stati uccisi); la quasi totalita’ di vittime erano musulmane durante l’assedio di Sarajevo (oltre 11.000); erano musulmane le vittime di Visegrad, Brcko,  e decine di altre citta’ e villaggi.

Io credo che il timore infondato e sostenuto da una propaganda interessata che possa stabilirsi uno stato islamico in Europa, non puo’ giustificare quello che e’ avvenuto ne’ l’empasse in cui si trova oggi il Paese.
Un abbraccio,
Renato.

venerdì 1 novembre 2013

….a Massimo Scivicco



Scibiiic,

basterebbe questo grido per illudersi che sei ancora tra noi. Ma, invece, la dura realtà si è manifestata stamattina, 1° novembre, con l’arrivo della notizia che non pensavo potesse intristirci così presto.

Un male subdolo Ti ha strappato all’amore dei Tuoi figli ed all’affetto di Tua moglie e di noi, compagni di Nunziatella e di Accademia.

Non pensavo di dover “ prendere “ la penna in mano per scrivere di Te.

Il 5 ottobre 1964 -49 anni orsono- entrando nella Scuola Militare di Napoli, ho cominciato a vederTi come un personaggio: già allora, sicuro e determinato, irridevi alla vita con un sorriso dolcemente sardonico ed amaro. La Tua calda, spontanea ed ingenua amicizia vive, da allora, dentro di me, mi sorregge, mi guida, non mi è mai venuta meno né mi ha mai fatto sentire solo.

Abbiamo attraversato, insieme, un periodo lunghissimo, una vita.

Mentre io camminavo arrancando, Tu eri lì per farmi sentire il calore del consenso, lo stimolo a fare di più e meglio, la necessità di essere bravo e forte.

Telefonate di puro divertissement  si alternavano a quelle serie. Dal loro contenuto trascendeva sempre la profondità delle Tue sofferte idee, la durezza e le speranze della Tua vita.

Massimo non credo di essere in grado di dimostrarTi in modo diverso da questo la mia riconoscenza.

Ti ho voluto bene e, traendo spunto dalle molte comuni esperienze di vita, ho la certezza che Tu mi sia stato sempre vicino, pronto ad aiutarmi e ad essermi al fianco, con la Tua proverbiale semplicità, con le Tue ansie di giustizia, con la Tua voglia di essere utile, sempre e comunque,a tutti.

E da oggi, volendo ricordare la leggerezza e la semplicità del Tuo essere,  esaltata dalla permanenza in un Giardino odoroso e pieno dei fiori che amavi, mi mancheranno le Tue telefonate di puro e sano cazzeggio.

Chi mi parlerà di progetti ed avventure sempre diversi, di contatti in mondi lontani e complessi, di affari internazionali che avrebbero cambiato le sorti del mondo? Chi, amico fraterno, innocente,
onesto,generoso, carico di idee, di propositi, di aspettative per la vita di tutti gli uomini, saprà sostenermi?

Hai, ancora una volta, meravigliato tutti !

Solo un mese fa, parlandomi di “alcuni fastidi“ allo stomaco, che Ti facevano star sveglio la notte, hai accettato di ascoltare il mio consiglio di assumere un prodotto farmaceutico in libera vendita, che -me lo hai riferito in modo soddisfatto dopo quattro giorni– aveva avuto esiti benefici per il Tuo riposo.

E poi, in breve tempo, il dramma: qualche giorno fa,  Rita, che Ti era accanto in Ospedale, mi ha consentito di salutarTi attraverso il suo cellulare. In quell’ultima occasione, mi hai detto, con una sfumatura che ho percepito nella sua  amarezza “che avresti gradito una mia visita e che, volentieri, mi avresti abbracciato”.

Ancora una volta hai voluto correre, ancora una volta hai voluto essere lungimirante , consapevole e coraggioso.

Ti abbraccio

Carlo

mercoledì 23 ottobre 2013

E ora voglio parlare della destra


 
Con la sua ultima dichiarazione politica, Alfano ha aperto la campagna elettorale rivolgendosi a tutti i componenti di un centro destra moderato perché il futuro non sarà il governo delle larghe intese bensì il governo della grande coalizione di destra. L’auspicio rientra nella dialettica politica e in considerazione anche degli ultimi moti romani i quali, ancora una volta, hanno evidenziato la violenza facinorosa ed ingiustificata di frange comuniste incontrollate, è stato accolto con favore da buona parte degli elettori.

Si sa che gli italiani sono profondamente divisi fra anti comunisti e comunisti e, probabilmente, la divisione nasce dal vecchio contrasto fra fascisti e anti fascisti la cui caratteristica, nel passato come nel presente, è la continua migrazione, da una parte all’altra, dei singoli componenti.

Probabilmente, alla fine degli anni 60 e all’inizio degli anni 70, quando la destra, grazie anche alla nascita di importanti movimenti europeistici, stava acquisendo consensi, l’errore di Almirante fu quello di aprire a frange politiche le quali, più che incarnare l’ideologia economica e sociale della destra, avevano l’obiettivo dichiarato di contrastare il comunismo.

Del senno di poi, però, ne è pieno il mondo e non esiste controprova a quanto sopra affermato tant’è che l’altro grande esponente della destra, Malagodi, che pure è sempre stato coerente con l’ideologia liberale, ha sempre ricevuto consensi minimi. Malagodi fu l’unico esponente politico a rifiutare una coalizione di centro sinistra perché riteneva fondamentale la necessità della libera iniziativa garantita sia rispetto all’intervento dello Stato, sia rispetto alle distorsioni del mercato attraverso una specifica legislazione contro le concentrazioni monopolistiche.

Lo Stato, secondo Malagodi, dovrebbe essere regolatore e non protagonista del mercato.
Per meglio spiegare la mia idea del liberalismo e, quindi, della destra, voglio rifarmi ad una definizione coniata da Nicola Matteucci, ripresa dal “dizionario politico” del 1976: “il liberalismo consiste in una situazione di possibilità per l’uomo di scegliere, esprimere e diffondere i propri valori, sia morali che polirtici, per realizzare se stessi”….realizzare se stessi; pensate alla semplicità e alla grandezza di questo pensiero e di quanto esso sia diverso da quello marxista o nazionalsocialista dove l’uomo è considerato un insignificante ingranaggio dell’apparato burocratico statale.

Noi Cadetti abbiamo provato personalmente cosa significa “realizzare se stessi” attraverso il principio della meritocrazia perché a Modena i migliori erano considerati coloro che meglio avevano compreso lo spirito militare e, conseguentemente, che meglio avrebbero potuto esprimersi nella veste di Ufficiali; e da quello che è successo dopo, tranne forse qualche singola recriminazione, la scelta si è rivelata esatta.
Provate a traslare lo stesso principio all’interno di una comunità che deve auto regolarsi e generare ricchezza per mantenersi. Questa comunità non crescerà mai se non sarà in grado di proteggere e remunerare il lavoro e le capacità personali dando ad ogni singolo cittadino la possibilità di realizzare se stessi.

La protezione, la remunerazione e la realizzazione individuale alle quali faccio riferimento, dovrebbero essere garantiti dallo Stato attraverso la non ingerenza, l’eliminazione dell’apparato burocratico fine a se stesso e il controllo sui monopoli e sulla concorrenza sleale che rappresentano l’antitesi di una economia liberale.
Se vogliamo ricercare all’estero un esempio di liberalismo, possiamo guardare agli Stati Uniti dove la non ingerenza dello Stato nella economia del singolo cittadino è tanto marcata che in una eventuale situazione di default governativa a rimetterci sarebbero stati i dipendenti e gli apparati pubblici ; circostanza questa nemmeno lontanamente ipotizzabile in Italia dove tutte le finanziarie si alimentano sulle tasse e sulle accise.
L’Italia…. guardate con occhio critico l’evoluzione del nostro Stato e ditemi quando e da chi la destra, così intesa, è stata rappresentata.

Dai tempi dei colossi imprenditoriali a partecipazione statale all’ultima operazione Alitalia, riscontriamo miriadi di dimostrazioni di sperpero del pubblico denaro e di ingerenza in un mercato al quale da tempo lo Stato partecipa non per ricavarne utili, bensì per creare sacche elettorali e motivi di corruzione.
La libera concorrenza è stata vanificata da leggi che hanno agevolato questo o quell’imprenditore o ingenerato diseguaglianze fra le imprese alcune delle quali possono fallire e altre no. Il potere sindacale dei lavoratori ha prevaricato i limiti legittimi della ricerca e del mantenimento della dignità umana sino a considerare il datore di lavoro come nemico da combattere e il diritto al riposo come primario rispetto al diritto al lavoro.

In queste condizioni non avremo mai un Paese liberale e continueremo a vivere una comunità apparentemente governata da politici sedicenti “di destra” o “di sinistra” che, in realtà, tutelano se stessi attraverso il mantenimento dell’anarchia economica e sociale.
Un abbraccio a tutti

Francesco     

giovedì 17 ottobre 2013

A chi tocca nun se 'ngrugna!


Quattro, forse cinque giorni fa, commentavo con Oliviero un bell’articolo del Gen. Camporini intitolato “Quel destino già scritto della Libia del dopo Geddafi” e pubblicato su .huffingtonpost.it/

 L’ex Capo di SMD ed ora vice presidente dell’Istituto Affari Internazionali, con competenza e distacco emotivo, analizza il preoccupante fenomeno della migrazione africana verso l’Europa, partendo dall’attuale situazione di caos politico in Libia per arrivare alla conclusione che tale fenomeno potrebbe essere almeno parzialmente ridimenzionato se, nei Paesi di provenienza di quei disperati,  venissero create le condizioni strutturali per indurli a restare.
Non sono certo io quello che ha le competenze per poter contraddire quanto affermato, nelle conclusioni, dal Generale, di cui conservo un sincero ricordo di stima fin dai tempi in cui eravano parigrado a SMD; tuttavia qualche perplessità ce l’ho, soprattutto in merito alle citate conclusioni.

Partiamo dai Paesi provenienza. La gran massa dei migranti proviene dal Corno d’Africa e dalla Siria, mentre si sono notevolmente ridotte le provenienze dai Paesi del Maghreb e poco si sa di quelle dell’estremo Oriente; sarebbe meglio, però, dire che talune provenienze “fanno più rumore”, nel senso che hanno un impatto mediatico maggiore, vuoi per le disgrazie periodiche che le accompagnano, vuoi per le proteste/lamentele che si levano da Lampedusa.
Tra i vari “esperti” a comando –quelli, cioè, che parlano solo quando succede qualcosa e si tracciano le vesti- e tra i cosiddetti “politici”, si fa sempre più alto il grido o l’invocazione “l’Europa deve intervenire”, “non può essere un problema della sola Italia”, “si intervenga nei Paesi d’origine” e così via farneticando.
Io, da semplice osservatore, vorrei porre a questi urlatori della “vergogna” due semplici questioni: ma voi lo sapete cosa significa “intervenire” in quelle terre lontane e disperate? Ma voi avete un’idea, seppur vaga di cosa sia realmente l’Europa?
Alla prima risponderei con la semplice constatazione che quelli sono “Paesi” solo da un punto di vista geografico ed etnico, dove non esiste una struttura statale, un ordinamento, un semplice referente su cui potersi appoggiare per poter iniziare quell’opera di modernizzazione che sono io il primo a riconoscere come fondamentale.
Ma, seppure si potesse dare inizio ad una programmazione “garantita”, è di tutta evidenza che i primi frutti si vedrebbero dopo decenni, durante i quali le condizioni di vita non migliorerebbero se non con molta gradualità e comunque in maniera tale da non eliminare il triste fenomeno della migrazione.
In più, non vanno dimenticati i costi mostruosi che sarebbero necessari e che, con l’aria che tira, non so nemmeno immaginare chi potrebbe sobbarcarseli; inoltre, bisognerebbe anche individuare “chi” dovrebbe gestire il tutto e non mi si venga a dire l’ONU perché i suoi fallimenti (peraltro costosissimi) ne hanno decretato, già da tempo, la totale inutilità.
Alla seconda domanda –quella sull’Europa-, risponderei con un’altra domanda: “ma siete sicuri che in Europa esista una coscienza collettiva capace di indurre “emozioni” condivise quando succedono tragedie simili?”
No, non credo che avrei risposte positive, per il semplice fatto che anche il più illuso o mendace sostenitore di questa tesi dovrebbe arrendersi difronte ad una semplice, inoppugnabile realtà: avremo pure un mercato comune, avremo pure una moneta unica, avremo pure eliminato le frontiere  ma, di sicuro, non abbiamo una coscienza comune.
Ogni Pese ha i suoi, spesso drammatici, problemi, le sue ansie, le sue battaglie contro una quotidianità sempre più difficile e contro un futuro sempre più incerto; ogni Paese ha la sua cultura, le sue tradizioni, il suo approccio ai grandi temi dell’esistenza; ogni Paese ha una sua opinione pubblica cui i rispettivi governanti dovrebbero rispondere; ogni Paese ha……e vogliamo illuderci che si riesca a fare un fronte comune  per arginare un fenomeno che, magari, non viene rappresentato con la medesima drammaticità in tutti quei Paesi?!
A mio avviso, dobbiamo rassegnarci; dobbiamo prendere atto che ciascuno si deve prendere la sua croce e cercare di andare avanti solo con le sue poche forze, confidando su tanta solidarietà (che è gratis e fa fare pure bella figura!), qualche cooperazione dal nome altisonante ma di scarsa efficacia, magari pure qualche elemosina, giusto per salvare la faccia.

Non illudiamoci di poter pretendere di più, per il semplice motivo che la percezione di un dramma o di una tragedia è mostruosamente diversa ai quattro unti cardinali dell’Unione; forse non ci sarà nemmeno cattiveria in tutto questo; forse sarà che la dirompente combinazione di crisi economica e di retaggi millenari non può consentire di meglio.
Un abbraccio,
Ettore.

 

giovedì 10 ottobre 2013

...e io pago!!!


Cari Amici,

come sapete, alcuni parlamentari del centro-sinistra hanno provato, senza successo, a reintrodurre l’IMU sulle prime case con rendita catastale superiore a 750 euro: ma vi pare possibile che questi personaggi che non si vergognano di navigare tra alti compensi, diarie, pensioni d’oro e privilegi, siano sempre alla caccia di quelli che loro considerano “ricchi” e che devono “pagare”. 

Non voglio fare una filippica contro la classe politica e dirigente (sarebbe facile e, purtroppo,  del tutto inutile) ma proporre una conversazione sulla tassazione esistente e prospettata sulla casa.

 Come molti altri cittadini, anch’io ho una casa, una bella casa di cui sono orgoglioso, costruita dopo oltre quaranta anni di lavoro e tuttora gravata da un buon mutuo.

Ho pagato le tasse sempre da dipendente pubblico; ho pagato le tasse per comprare il terreno ed i materiali di costruzione, gli operai ed i tecnici, il Comune per oneri di urbanizzazione di cui non fruisco perche’, essendo la casa in campagna, ho dovuto pagare e molto per l’allacciamento elettrico, per scavare un pozzo per l’acqua e per realizzare una fossa asettica complessa ed in regola con tutte le previsioni di legge.

Adesso ho la casa con una rendita catastale superiore a 750 euro e questi personaggi mi considerano ricco e, quindi su questo bene, devo pagare ancora tasse.

Per me e’ troppo!

Un abbraccio

Renato

 

martedì 8 ottobre 2013

Il diavolo e l'acqua santa

Domenica scorsa, Papa Francesco ha proclamato Beato Rolando Rivi. Il telegiornale lo ha descritto come un giovane seminarista di Reggio Emilia ucciso nell’aprile 1943 dai partigiani ….. comunisti.
Papa Francesco mi era già simpatico ed ora ancora di più.
Sapevo già, dalla lettura dei libri di Pansa e per dirette esperienze familiari, che i partigiani, alla fine della guerra ed anche dopo, nel triangolo della morte emiliano, avevano ucciso molti sacerdoti ma non mi pare di aver saputo che addirittura un seminarista quattordicenne fosse stato ucciso per il solo fatto di portare l’abito talare, come allora si usava.
Chi ha avuto modo e pazienza di leggere altri miei interventi, conosce il particolare interesse che mi coinvolge in quei fatti e così mi sono dato da fare a ricercare ogni possibile notizia. Leggendo poi che gli assassini, rei confessi e condannati, erano stati rimessi in libertà a seguito dell’amnistia voluta dall’allora Ministro di Grazia e Giustizia, Palmiro Togliatti detto il “migliore” (credo sia stato il primo della Repubblica ), immediatamente sono avvampato d’ira e di esecrazione per questa palese ingiustizia.
Ovviamente ho incolpato Togliatti e tutti i comunisti per questa nefanda amnistia voluta, a mio parere, per nascondere tutti i delitti compiuti dai partigiani comunisti a cavallo della fine della guerra. E’ sempre stato sostenuto che questa amnistia era stata disposta al fine di giungere al più presto alla pacificazione nazionale ed agiva indiscriminatamente sia per i comunisti che per i fascisti.
Ma, secondo me , non era vero perché la maggior parte dei fascisti (ora coloro che indossarono la divisa del Repubblica Sociale si contano sulla punta delle dita di una sola mano, uno di questi mi pare che in seguito abbia ricevuto il premio Nobel) era già stata giustiziata a furore di popolo. Questo è talmente evidente perché quella amnistia sarebbe stata applicata anche a Mussolini ed i suoi gerarchi, qualora Piazzale Loreto non avesse avuto luogo ……….. ma poi proseguendo nella ricerca ho scoperto cose che per me sono sconvolgenti ed aumentano il mio disprezzo, anche postumo, per la politica ed i suoi rappresentanti .
Togliatti si era limitato a far valere l’amnistia per i delitti, anche di sangue, commessi per motivi “bellici” e politici. La data del provvedimento è il 22 giugno del 1946 ed i delitti interessati erano quelli commessi prima del 18 giugno. E questo conferma il mio pensiero che ne abbiano goduto maggiormente i partigiani ma non esclude che anche una certa parte di fascisti ne abbia potuto fruire. Insomma non ci si poteva spettare di più da uno che aveva promesso per radio due metri di terra russa per ogni soldato dall’Armir.
Ma, proseguendo nella ricerca, sono stato rimasto impietrito dal fatto che, successivamente, i termini per l’amnistia sono stati più volte prorogati e questa volta, ovviamente, a tutto vantaggio di una sola parte. A settembre del 1946, un decreto Luogotenenziale, nel febbraio del 1948, nel 1953 e nel 1966 l’amnistia e l’indulto furono estesi fino a oltre tre anni dalla fine della guerra assicurando l’impunità a tutti gli autori delle stragi e degli efferati delitti che sicuramente dal maggio del ‘45 a quello del 1948 non possono, con tutta la buona volontà, essere attribuiti se non ad una sola parte.
Credo che sicuramente ci saranno stati anche motivi di esclusivo interesse personale che spinsero a commettere reati , ma sicuramente non furono statisticamente prevalenti rispetto all’odio di classe e religioso.
Lascio ai volenterosi riscoprire i nomi dei noti politici democristiani ( o cattocomunisti) che hanno avallato nel tempo queste continuate amnistie prolungandone i termini di scadenza.
Alla fine Peppone non era molto peggio dei suoi avversari, almeno in questa interpretazione del volemose bene e. se lo dico io …….
Grazie per la pazienza.
Un saluto,
Giovanni.