Dal Corriere della Sera
ROMA - 10 febbraio 1947: nel giorno dei Trattati di Parigi l'Italia, uscita sconfitta dal conflitto mondiale, oltre a restituire tutti i territori occupati dalle sue truppe nel corso della guerra si impegnava a cedere alla Jugoslavia la città di Fiume, il territorio di Zara, le isole Pelagosa e Lagosta, parte dell'Istria, del Carso triestino e goriziano e dell'alta valle dell'Isonzo. Gli italiani furono costretti a lasciare le loro case. E in molti lasciarono anche il ricordo di quanti non c'erano più, vittime dell'odio etnico e in molti casi uccisi dai partigiani di Tito nel modo forse più spiegato: l'abbandono nelle foibe, profonde fratture carsiche dove un numero ancora imprecisato di italiani e di oppositori ai comunisti yugoslavi ha trovato la morte dopo un volo di centinaia di metri e una lunga agonia tra atroci sofferenze. Per questo motivo il 10 febbraio è diventato il «giorno del ricordo» e oggi le massime autorità italiane, a partire dal capo dello Stato, hanno voluto commemorare i caduti e i profughi di quei giorni.
Il presidente Giorgio Napolitano ha parlato al Quirinale di «oblio e forme di rimozione diplomatica che hanno pesato nel passato e causato pesanti sofferenze agli esuli e ai loro familiari» e ha espresso anche impegno «per la soluzione dei problemi ancora aperti nel rapporto con le nuove istituzioni e autorità slovene e croate». «Il ricordo di tante persone uccise solo perchè italiane dopo troppi anni di oblio - ha invece detto il presidente del Senato, Renato Schifani -, è un dovere assoluto da parte di tutti». «La memoria di eventi così dolorosi - ha aggiunto - deve essere patrimonio perenne e condiviso. Non possiamo dimenticare chi fu assassinato e chi fu costretto ad abbandonare la propria terra per restare fedele alla Patria, alle proprie origini italiane. Questa tragedia comune deve divenire elemento fondante di unità del popolo italiano». Per il presidente della Camera, Gianfranco Fini, sono invece «sempre gli umili, i più deboli e gli indifesi a patire per primi la follia dell'uomo». Fini ha ricordato «l'esperienza tragica del Novecento» ma ha evidenziato che «è anche, purtroppo, quanto vediamo ancora svolgersi in tante aree del mondo devastate dall'odio etnico e politico».
La vicenda degli istriani e dalmati costretti a lasciare le loro terre, soprattutto in relazione al dramma delle foibe, è anche oggetto di dibattito politico. Da diversi esponenti del centrodestra, in particolare quelli provenienti dalle fila di An, sono giunte accuse per il «silenzio» che ancora avvolgerebbe la vicenda. Per Maurizio Gasparri «la storia delle Foibe deve essere divulgata nelle scuole, nei centri culturali, dalla televisione, sui giornali, come la vera tragedia di tutti coloro che si sentono italiani, da una tragedia come questa si possono capire gli errori e i drammi che hanno generato le dittature e le aberrazioni ideologiche». Sulla stessa linea il ministro delle Politiche giovanili, Giorgia Meloni, che si spinge a parlare di «oscurantismo ideologico» citando «l'atteggiamento tenuto quest'oggi da alcuni istituti scolastici romani, i cui dirigenti si sono rifiutati di celebrare il Giorno del Ricordo». Dei silenzi del passato ha parlato anche il sindaco di Roma,Gianni Alemanno, mentre l'ex presidente della Regione, Francesco Storace, oggi leader de La Destra, fa notare amaramente come «nel sito della Regione, incredibilmente, non c'è traccia, nemmeno una parola per il sangue versato».
Sul fronte opposto è intervenuto il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani: «Il giorno del Ricordo istituito per custodire e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, per ricordare l'esodo dalle loro terre di istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e la difficile storia del confine orientale, è stato un giusto e tardivo riconoscimento delle istituzioni repubblicane per le vittime di un crimine contro l'umanità». «La memoria deve sempre vincere sull'oblio ed è questo - ha aggiunto - il senso più profondo di questa giornata. Solo ragionando ed elaborando ciò che è stato possiamo costruire una memoria che abbia rispetto per ogni singola vicenda umana».
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