Ultimamente, tutti i sindacalisti, alcuni opinionisti impegnati e qualche politico, affermano con una certa frequenza che l’art. 18 dello Statuto del lavoratori rappresenta la massima espressione della democrazia e del riconoscimento della dignità del lavoratore. A me sembra una frase ridondante e priva di significato concreto perché distoglie l’attenzione dal vero effetto che questo articolo ha generato: la piena ed indiscussa intromissione di un soggetto terzo (il giudice) in un rapporto giuridico fra due soggetti distinti, il lavoratore ed il datore di lavoro.
Il titolo di questo articolo è “reintegrazione sul posto del lavoro” e dispone appunto la reintegrazione nel posto di lavoro (oltre al risarcimento dei danni) del lavoratore licenziato, in caso di licenziamento illegittimo (privo di motivazioni o ingiustificato o discriminatorio). Contrariamente alla convinzione di molti, esso, quindi, non fa alcun riferimento al fatto che il licenziamento possa essere considerato valido solo se avviene per giusta causa o giustificato motivo ma legittima il giudice adito ad imporre la continuazione di un rapporto che una delle parti avrebbe voluto risolvere. Già questo, di per sé, rappresenta l’esatto contrario di uno degli elementi cardine del nostro Diritto privato e cioè che un contratto è valido solo se espressione della libera ed incondizionata volontà delle parti.
Mi si obietterà che la reintegrazione garantisce il posto a chi è illegittimamente licenziato e distoglie il datore di lavoro dal sentirsi dominatore della vita e della dignità del lavoratore ma queste considerazioni, sacrosante nel principio, sono realmente valide solo se si verificassero due condizioni: la prima, di carattere giuridico, attiene ai presupposti per definire un licenziamento lecito od illecito; la seconda, di natura economica, riguarda l’effettiva libertà imprenditoriale.
Nell’analizzare il primo elemento, la reale illeceità del licenziamento, mi discosterò da una linea di condotta che ho sempre tenuto e che mantengo: il considerare la Magistratura, nel proprio insieme, equa nel giudicare ed imparziale verso le ideologie. Ciò non per volubilità di pensiero ma per obiettiva analisi del fatto specifico perché è innegabile che le cause di lavoro possano essere considerate l’eccezione che conferma la regola.
Sino agli anni 2005/6 gli avvocati che seguivano questo tipo di cause contro i lavoratori partivano con la matematica certezza che le probabilità di vincere non fossero superiori al 20% (oggi siamo arrivati al 40%). I giudicanti, prima pretori e poi giovani giudici togati, affrontavano il processo con il presupposto che il datore di lavoro fosse la parte più forte perché poteva permettersi gli avvocati più bravi ed era in grado di predisporre ad hoc tutti gli elementi necessari per legittimare il licenziamento. Molti di questi giudici appartenevano a magistratura democratica e nella controversia si identificavano come paladini a sostegno dei più deboli nella continua ed iniqua lotta di classe. Naturalmente nessuno si discostava dalla legge ma i limiti interpretativi circa la valenza della giusta causa o del giustificato motivo erano e sono talmente ampi che le convinzioni personali del giudice prevalevano e ancora prevalgono sia sui dati di fatto che su quelli di diritto. Non esiste quindi alcun obiettivo, certo ed univoco elemento che possa portare ad affermare che un licenziamento sia o meno legittimo (casi macroscopici ed evidenti a parte)
Sul secondo aspetto, quello che riguarda la libertà imprenditoriale, non possiamo definire questa assoluta e per comprenderne i limiti dovremmo analizzare i presupposti esistenti al momento in cui le parti hanno perfezionato il rapporto di lavoro. L’imprenditore privato investe risorse nell’impresa con l’unico obiettivo di ricavare profitto e questo è il principio cardine dell’economia di mercato. Il profitto, si sa, è la sommatoria fra costi e ricavi ed uno dei componenti più importanti dei costi è rappresentato dal personale. Non si può, quindi, negare all’imprenditore di incidere liberamente anche sui costi del personale per mantenere un profitto adeguato e in linea con quello esistente al momento dell’assunzione; si può e si deve contrastare quando l’unilaterale volontà viene espressa per interessi diversi .
Cercherò di spiegare con un esempio ciò che voglio dire: se ho investito e strutturato la mia impresa per guadagnare 100 e in un determinato anno guadagno 90, devo poter diminuire i costi, anche licenziando, per ritornare a guadagnare 100, in questo caso il licenziamento sarebbe legittimo perché sono cambiati i presupposti esistenti al momento dell’assunzione (guadagno di 100). Al contrario, se ritengo che la diminuzione della forza lavoro possa farmi guadagnare più di 100 e per questo licenzio, il licenziamento sarebbe illegittimo perché fatto ad esclusivo vantaggio di una delle parti.
Un giurista economista di nome Marco Biagi aveva capito a fondo questo meccanismo ed aveva inventato il contratto a progetto; un contratto che non sanciva il legame a vita fra lavoratore e datore di lavoro ma che ne condizionava l’esistenza ad un progetto imprenditoriale condiviso i cui elementi avrebbero rappresentato i presupposti per la durata del rapporto di lavoro. I politici poi, com’è loro solito, hanno stravolto questo concetto inventandosi un contratto che ha generato l’evasione dei contributi previdenziali, l’evasione fiscale e il precariato giovanile.
Spero di non aver contribuito a confondere ancor più le idee in proposito ma il mio concetto può così riassumersi: se vogliamo una economia di mercato libera ed incondizionata non possiamo aggrapparci ad un assistenzialismo iniquo ed imposto attraverso l’interpretazione di leggi non chiare e, nel rapporto di lavoro, come in ogni altro tipo di rapporto economico, dobbiamo lasciare le parti libere di risolverlo. Naturalmente, la parte che dalla unilaterale risoluzione ne ha tratto un esclusivo ed ingiusto vantaggio, dovrà pagarne le conseguenze con un congruo risarcimento. Il giudice dovrà essere chiamato solo per quantificare questo risarcimento non per imporre una convivenza non voluta.
Un abbraccio a tutti,
Francesco.
Caro Francesco, si interviene volentieri su un argomento di grande attualità come l'art 18. C'è solo un piccolo problema: nella Tua analisi hai sviscerato il problema in modo talmente completo e condivisibile che c'è poco da aggiungere se non
RispondiEliminadire che è stato un vero piacere leggere quanto Tu hai scritto. Condivisibile, ho detto, sotto tutti gli aspetti, ivi incluse alcune constatazioni (neanche considerazioni, credo) relative a chi amministra un potere
così grande come quello della Giustizia, senza dover rendere conto a nessuno del proprio operato. Si vede, comunque, che parli a ragion veduta e con il buon senso che deriva da una lunga esperienza pratica. Lo sai che sono un ipercritico, ma consentimi, questa volta, di farti i miei cinvinti complimenti. Un abbraccio:
Carlo MORI
Certo che non si può non condividere quanto illustrato, con tanta competenza, da Francesco; così come non va trascurato l'accenno di Carlino al funzionamento (sic!) del sistema giudiziario italiano ("Giustizia, mi pare eccessivo nella fattispecie).
RispondiEliminaCapito o quasi come stanno le cose da un punto di vista giuridico, cioé teorico, vorrei abbassare il tiro e scendere sul pratico, sul perché in Italia le cose non funzionano come dovrebbero, solo se siapplicasse quanto detto da Francesco.
Mi riferisco al cosiddetto "mondo del lavoro" dove mi punge vaghezza che siano più quelli che ci inzuppano il pane "pro domo sua" che quelli che si danno da fare con serietà, competenza e voglia di migliorare.
E' cosa nota che io non ami molto i nostri autoproclamati "rapresentanti dei lavoratori", tanti sono stati e sono i guasti che, con la connivenza di chi doveva governare, hanno provocato all'economia nostrana; li considero dei brontosauri ideologici, aggrappati all'immenso potere (anche finanziario) che sono riusciti ad accumulare (vds. la connivenza d cui sopra).
In tale contesto, mi chiedo: ma come mai mezzo mondo ci dice che il nostro sistema, così com'è, non solo non va ma è anche destinato a peggiorare le cose e solo i "Nostri" continuano a dire che quel mezzo mondo si sbaglia?!
Ma se loro hanno ragione, perchè la nostra economia è così asfittica?! e come si fa ad uscire dal tunnel?!
Lo so che sono domande terra-terra ma, a mio avviso, sono quelle che si pone il volgo pensante e non appecorronato; e se le pone tutti i giorni, specie quando legge o sente i dati sull'occupazione o va a fare benzina o va al supermercato: cioé, quando si sforza di sopravvivere!
Se qualcuno mi dà una risposta, gliene sarò grato.
Un abbraccio a tutti,
Ettore.
Ringrazio Carlo Mori; gli apprezzamenti da una persona ipercritica e competente come te mi sono di conforto anche perchè tante mie analisi non sono condivise da coloro che normalmente frequento. A Ettore direi che la ragione sta nelle necessità elettorali e nella mentalità tipica degli italiani i quali hanno una certa disincrasia verso la libertà e sono sempre alla continua ricerca di un padrone che, nella fattispecie, non è rappresentato dal datore di lavoro bensì dal sindacato. Io credo che, al di là dei problemi economici mondiali, molti dei quali irrisolvibili in presenza di trust e della globalizzazione, ai quali Carlo Mori ha fatto più volte riferimento, nel nostro Stato si rende indispensabile acquisire una maggiore identità propria (alias libertà intellettuale) e un più prequante senso dell'onestà. A tal proposito (e in questo caro Carlo non sarai d'accordo), la prescrizione che ancora una volta ha salvato Berlusconi ha sancito, ancora una volta, il maggior potere (come è giusto che sia) del legislatore rispetto alla magistratura e la convinzione che il nostro popolo dà all'onestà un peso diverso e funzionale al personaggio al quale si riferisce.
RispondiEliminaFrancesco
E' vero anche quello che sostieni tu, Ettore sui c.d. rappresentanti dei lavoratori e su tutto il resto. Si torna quindi su quello che io più volte ho già sostenuto sulla inadeguatezza "in toto"
RispondiEliminadel nostro sistema difronte ad una globalizzazione dell'economia che risente dell'apertura (dopo la caduta delle barriere ideologiche) ai grandi mercati dell'Est, compreso quello cinese. La concorrenza di colossi che dispongono di una forza di lavoro che si può basare su una collettività produttiva di miliardi di esseri umani, nonchè di materie prime e, non per ultimo, su una indiscussa volontà di rendersi protagonisti (anche sotto il profilo economico) sulla scena mondiale, non può, alla lunga, che mettere in difficoltà tutto il sistema produttivo del mondo occidentale. Specie se a ciò si aggiunge la constatazione che quelle economie emergenti non si curano troppo dei diritti dei singoli lavoratori. In questa situazione un'economia non forte come la nostra, che si basa su una burocrazia statale superpagata (abbiamo visto questi giorni) oltre che poco efficiente, su rapporti di lavoro gestiti in modo superatissimo da strutture sindacali che tendono, come hai constatato giustamente tu, Ettore, a conservare soprattutto i propri poteri ed i propri privilegi, con spese pubbliche tanto esgerate quanto inutili (si pensi al Quirinale che ci costa oltre quattro volte Buckingham Palace), con un sistema pensionistico che elargisce superpensioni d'oro in grande quantità, dicevo..quanto a lungo (la nostra economia) potrà ancora reggere? A mio avviso non si tratta di se.. ma per quanto tempo? . Quello che non vedo, aimè, è la mancanza di programmazioni a lungo termine a fronte di tali scenari! Il Monti ha fatto cose che chiunque, ritengo, avrebbe potuto fare, approfittando peraltro della debolezza e della mancanza (purtroppo) di credibilità della classe
politica, ma sta adottando, a mio modesto avviso, provvedimenti poco incisivi che, peraltro, invece che incentivare la produzione, la inibiscono o la mortificano .. si aumentano i tributi da pagare..almeno per ora , e si strombazzano provvedimenti che non verranno poi attuati ( si parla tra l'altro, di una riduzione ridicola di parlamentari). Anche le sceneggiate organizzate dal Sig Befera
con i controlli della G.D.Finanza hanno del ridicolo! Si inviano da tutta un'area Finanzieri a controllare qualche centinaio di scontrini (vds ad esempio il caso Cortina)... ma allora che cosa mantieni a fare un Presidio di oltre cento appartenenti alla G.D.F. sul posto? Cosa fanno questi durante tutto l'anno? Quanto costano allo Stato oltre ottantamila finanzieri con dieci Generali di Corpo d'Armata, banda, centro sportivo ecc. se poi per fare qualche controllo a qualche centinaio di scontrini si deve fare una operazione "nazionale"(?)..E ciò solo per citare un esempio.. ma forse c'è anche di peggio negli altri settori,..con superstipendi ai dipendenti parlamentari, alla Banca d'Italia dove un commesso percepisce molto di più di un Generale o di un Questore..spese continue di rappresentanza, viaggi all'Estero inutili e con codazzi di consistenza.. Insomma, non vedo precise intenzioni di mettere mano ad un cambiamento serio per rendere lo Stato più efficiente e meno costoso..vedo solo sceneggiate.. qualcuno può sostenere che anche queste possono servire, ma a me sembrano solo palliativi...Fino a quando ci potremo permettere tutto questo?..Un caro saluto. Carlo MORI
Caro Francesco, stavo scivendo una risposta ad Ettore, peraltro ricordando i problemi della globalizzazione economica in atto (volenti e nolenti). Per quanto riguarda Berlusconi e per quanto (anche se non a lungo) abbia frequentato aule giudiziarie (nel penale) ho dovuto constatare però, effettivamente, che mi sono imbattutto in tanti processi avviati serenamente alla prescizione e non ho mai visto una attività così zelante come quella messa in atto con l'ex presidente del consiglio. Che sia un accanimento giudiziario ad personam? Qui, oltre alle leggi tanto strombazzate "ad personam" mi sa che si dovrebbe pensare anche a qualche processo tirato avanti in modo analogo. E qui si dovrebbe tornare alle solite considerazioni sulla discrezionalità (molto ampia dei PM in particolare) dei magistrati e sulla loro sostanziale sottrazione a qualsiasi responsabilità per il loro operato (da considerare comunque che verrebbero giudicati dai loro stessi colleghi!). In questa situazione ho qualche dubbio sulla serena e distaccata conduzione delle attività processuali contro l'ex presidente che più volte si è espresso per contenere l'eccessiva discrezionalità dei magistrati(PM in particolare) consentita dalle attuali norme. Non credo poi che l'attuale ministro di G.e G., con un reddito di oltre sette milioni l'anno e con notevoli interessi in tanti processi, si azzarderà a
RispondiEliminatoccare qualche prerogativa (talvolta eccessiva)
della categoria attualmente più potente in Italia.
Un caro saluto. Carlo Mori
Cari Carlino e Francesco,
RispondiEliminaVi ringrazio, innanzi tutto, delle articolate risposte che avete voluto dare ai miei dubbi; risposte che, tuttavia (e come era logico) non possono limitarsi al fatto singolo, bensì investono o invadono unn vastissimo campo di atavici malvezzi -culturali e materiali- che metastasizzano (non credo si possa dire ma rende l'idea!)l'intera società italica.
Francesco fa riferimento all'idiosincrasia tutta italiota verso qualsiasi forma di "Autorità" che, di conseguenza, genera una totale assenza di senso civico che, nel particolare, si trasforma in senso etico. Le cause di tutto questo hanno radici che affondano nei secoli: nelle scorribande di qualsiasi Potente straniero che volesse acquisire terre senza tanto fatigare; nella nefasta presenza di uno Stato pontificio che ha annichilito ogni possibilità o velleità di unità nazionale; nell'individualismo suicida che -per salvaduardare i propri (sporchi) interessi- non si è fatto scrupolo di ricorrere ad un "Podestà straniero".
Se a questi mali "strutturali" sommiamo il malgoverno che ci ha afflitti almeno da trent'anni, si fa presto a giungere alle amare ma sacrosate conclusioni-domande di Carlino. Con il quale, però, dissento parzialmente circa l'ironia sulle recenti "uscite" in termini di controlli fiscali; è vero che sono dei palliativi, è vero che sono più per la platea (o per le telecamere) che risolutivi, è vero che si sono persi decenni in un assurdo ed ingiustificato immobilismo, è tutto vero ma...meno male che si è incominciato!!!
Secondo me ( e non solo) il malcostume è talmente esteso (metastasi) e talmente radicato in profondità che è praticamente impossibile eliminarlo con un "sol colpo di scorrevole" (frase tristemente nota ai soli Ufficiali-Allievi dell'Arma Base), a botte di accettate; ecco quindi, la necessità/opportunità di ricorrere al fioretto, nell'ottica di "colpirne uno per colpirne cento" o, quanto meno, in quella di far percepire un certo risveglio dello Stato.
D'altro canto, caro Carlino, come fai a pensare che, in un sistema che si è evoluto (o involuto) "ad personam" sia possibile trasformarsi da ranocchi in principi azzurri con un sol bacio di principessa?!
Vedi, a me non interessa se queste "principesse" abbiano un reddito da lavoro milionario: a me interessa che siano capaci di incominciare a dare piccoli bacini che, lentamente ma sicuramente, operino la metamorfosi.
E concludo con una constatazione che vuole essere anche e soprattutto un auspicio: mai avrei pensato che l'URSS e la sua sanguinaria presenza scomparissero; mai avrei pensato che la Signora subisse l'onta della serie B; e se fosse possibile dire un giorno "mai avrei pensato che corruzione, nepotismo, triplice e....scomparissero dall'Italia?!".
Ciao a tutti,
Ettore.