“Riflessioni non tanto a caldo nella ricorrenza di una data infausta"
Quando si intraprende una carriera è logico e naturale che si facciano grandi progetti, che si abbiano grandi aspettative, che si sogni di diventare, un giorno, qualcuno per poter dire la propria e partecipare alle grandi scelte del settore che si è scelto come attività professionale. Anche noi, con tutta la potenza del nostro entusiasmo giovanile, di fronte alle tante incongruenze di cui venivamo man mano a conoscenza, affermavamo con granitica sicurezza: quando toccherà a me, quando sarò abbastanza forte, quando finalmente occuperò il posto giusto...allora sì che le cose cambieranno!Sono, questi, desideri ed aspirazioni legittimi, non necessariamente legati a propositi carrieristici e tendenti ad aspirare ad entrare a far parte della Classe dirigente della propria professione, in modo da mettere a disposizione il proprio contributo di idee perché quella professione sia sempre dinamica, efficiente, dispensatrice di soddisfazioni ai vari livelli e, soprattutto, adeguata ai tempi. O almeno, così dovrebbe essere!
Ora che ho da tempo appeso in armadio l’Uniforme, mi sono rivisto il film della mia vita da Ufficiale per verificare se quelle aspirazioni giovanili si fossero concretate, non tanto e non solo nella mia persona, quanto nei tanti che ho conosciuto o che ho visto avvicendarsi nei “posti che contano”; prima di fare questo flashback (come amano dire gli snob odierni), ho preso un buon vocabolario della lingua italiana ed ho trovato questa definizione di “classe dirigente”: il gruppo di coloro che detengono il potere..........in genere coloro che influiscono in maniera determinante sulla vita della collettività”.
Ridimensioniamo pure il concetto di “collettività” alle sole Forze Armate e poniamoci questa semplice e quasi banale domanda: ma le Forze Armate c’è l’hanno una Classe dirigente?!
Se dobbiamo stare alla lettera della definizione precedente, direi che è ben difficile parlare di “influenza” quando non si ha o non si è fatto niente per averla o è stato negato un pur minimo “peso” nell’ambito della Società nazionale e, di conseguenza, presso chi governa che dovrebbe dar corpo alle aspirazioni di quella Società; diciamocelo pure con franchezza, ancorché amara: la stragrande maggioranza degli Italiani prende coscienza dell’esistenza di “sue” Forze Armate o perché si ringalluzzisce al passaggio di una fanfara di o perché strabilia alle esibizioni delle Frecce Tricolori o quando deve pianger purtroppo qualche Caduto delle cosiddette “missioni di pace”.
Così stando le cose, sorge spontanea un’altra domanda: chi dovrebbe far sì che questo stato di cose si modifichi o, meglio ancora, si annulli?!
Non vi è dubbio che l’attaccamento alle proprie Forze Armate sia in proporzione diretta con il “sentimento di appartenenza” nazionale che è, a sua volta, diretta conseguenza di un passato più o meno glorioso e che costituisce la spina dorsale dell’orgoglio nazionale: a questo proposito, ahimé, dobbiamo tornare indietro di un paio di millenni per trovare qualcosa di “italico” (non “italiano”) di cui andar fieri!
Ma se può essere naturale (quasi inevitabile) che secoli di invasioni, di umiliazioni e di tradimenti abbiano ridotto al minimo il sentimento nazionale, non altrettanto naturale – né tantomeno inevitabile- appare invece il “limbo” in cui la totalità della classe politica ha relegato le Forze Armate, in termini sia di informazione verso l’esterno sia di potenziamento o, almeno, di dignitoso mantenimento, all’interno.
Purtroppo, invece, la realtà è molto ma molto più deludente; si parla dei “militari” solo in termini di “missioni all’estero” o di operazioni dai nomi non proprio guerreschi come “strade sicure” o “monnezza recuperata”! Non vorrei sbagliarmi, però ho qualche dubbio che la nostra Costituzione (quella che viene evocata anche per la più misera delle questioni di bottega!) assegni alle FA questi compiti; va bene che i “Blocchi” non esistono più, però passare dalla difesa della “Soglia” all’offensiva contro i vucumprà, mi sembra riduttivo, per non dire offensivo.
Inoltre, uno dei rari messaggi che il Paese ha ricevuto a testimonianza che esistono delle FA è stato l’annuncio ministeriale dello storno di un milione di euro dai fondi per la parata “militare” del 2 giugno a beneficio della “ricostruzione in Abruzzo”. Ma cosa può percepire la gente dopo una simile sparata? Che i soldi stanziati per la sfilata erano troppi? Che le FA sono generose, a differenza di quanti si sono pavoneggiati nel corso della stessa parata? Allora, non era meglio abolirla del tutto quella sfilata e devolvere tutti ma proprio tutti gli altri milioni sempre per quel nobile scopo?!
Il fatto è che la “classe politica” è o dovrebbe essere l’espressione della cultura dominante del Paese e, siccome al Paese delle Forze Armate non è che gliene interessi più di tanto (salvo invocarne la presenza laddove altri settori ben più considerati hanno fallito), allora......allora succede che il “popolo” non viene informato (volutamente?), vede solo quello che si vuole far vedere in TV e continua ad ignorare, non tanto quale sia la situazione delle sue FA, ma addirittura quale sia la loro funzione. Almeno una volta c’era la “Leva” ed i najoni erano un insostituibile veicolo di conoscenza (nel bene e nel male) in ogni strato della società; oggi, dalle caserme escono solo “borghesi” con i loro macchinoni ed i loro motoni, pronti a confondersi nella massa, non si sa se per vergogna o per insofferenza dell’Uniforme.
E la nostra pseudo “classe dirigente” cosa fa, cosa ha fatto in tutti questi decenni? Che messaggio ha mandato al Paese per convincerlo del fatto che le FA sono sue, che esistono solo se lui, il Paese, vuole che esistano?
Certamente non è compito delle FA fare spot televisivi su materie di stretta pertinenza politica ; però, se torniamo alla definizione iniziale, i nostri “Vertici” dovrebbero mettere in atto presso i “politici” tutte quelle azioni che “influiscono in maniera determinante” presso la collettività di cui sono i massimi rappresentanti: cioè le Forze Armate stesse!
Prescindiamo un attimo dal diffuso “sospetto” che ci sia un diffuso appiattimento sulle posizioni politiche da parte dei “vertici” e poniamoci queste semplici domande che, chissà, potrebbero farci uscire dal dubbio:
- esiste un foro in cui i “Vertici” si riuniscono, discutono, consigliano il Capo sull’ individuazione dei cardini di una credibile politica delle Forze Armate, da sottoporre all’autorità politica perché la traduca in fatti concreti?
- esiste una strategia per il conseguimento di obiettivi di lungo termine, elaborata sulla base di esigenze reali e non solo su “pruriti” del momento?
- esiste la volontà di rappresentare con fermezza le proprie esigenze, le proprie difficoltà, i propri limiti?
Io sono un tantino pessimista al riguardo e questo mio sentimento è alimentato da un episodio che risale ai primi del 2009 e che, invece, credevo definitivamente sepolto insieme al dogma del’obbedienza “pronta, cieca ed assoluta”. Si dice, infatti, che uno dei “Vertici” (anzi, uno di quelli che vanno per la maggiore!), in occasione di un rapporto abbia minacciato i suoi Comandanti di Brigata di ritenerli personalmente responsabili della...lunghezza delle basette dei loro soldati (solo i maschi però!).
Ma con “Vertici” di cotanta e lungimirante “azione di Comando” ci si potrà mai confrontare, dare dei suggerimenti, impostare un programma? E peggio ancora, che cavolo di messaggio vuoi che mandiamo a politici e cittadini?
Ciao a tutti, Ettore.
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