Gli interventi di Ettore e Giuseppe mi portano a riflettere su due bisogni fondamentali dell’uomo, l’essere e l’appartenere.
Personalmente mi rivedo nel cadetto, descritto da Ettore, fiero di mostrarsi in quella divisa che, ancora oggi, conservo e venero come l’elemento più importante della mia formazione interiore, ma non posso dimenticare che lo status di militare mi costringeva a vivere a Milano con moglie e tre figli a carico e con uno stipendio inferiore a quello di un operaio metalmeccanico al V livello. In quel periodo, oltre all’oggettiva difficoltà di arrivare a fine mese, mi angosciava la paura di poter sopravvivere solo circoscrivendo il mondo, mio e della mia famiglia, all’interno della caserma.
Certo, nessuno mi ha costretto ad un peso così gravoso (solo economicamente) in giovane età, ma ho parlato di me perché ritengo che se, come dice Ettore, gli stipendi oggi siano al di sopra della media, ciò sia da considerarsi un bene anche con il rischio che il vil denaro possa diventare elemento predominante nella scelta della professione.
Tuttavia, se l’uso del borghese non può essere proibito al militare di professione, io lo limiterei moltissimo a chi, come per i cadetti, a quella professione si accinge accettando di vivere un periodo formativo lungo e pesante. Quella divisa, impregnata positivamente di retorica e tradizioni, rappresenta la volontà di rispettare le regole ed i doveri che queste comportano dando sempre il massimo di se stessi; rappresenta il giuramento ad un ideale patriottico non riscontrabile nei coetanei del mondo civile, rappresenta, cioè, un modo di voler essere e non di appartenere. Il colletto stretto, l’incubo della riga ai pantaloni, la pesantezza del kepì e lo spadino, mi ricordavano costantemente la volontarietà della mia scelta e la debolezza fisica e morale che avrei dimostrato se non fossi riuscito a diventare un Ufficiale.
Anche l’intervento di Giuseppe mi porta a considerazioni che nascono dalla personale esperienza di uomo del sud trapiantato in Padania e devo premettere che nessuno dei miei numerosi amici lombardi mi ha mai attribuito pregi o difetti che possano caratterizzare l’appartenenza ad una determinata regione; per loro posso essere testardo, permaloso, presuntuoso, onesto, preparato etc. etc. esattamente come un milanese, bresciano o bergamasco (sono le province che maggiormente frequento) ma mai alcuno si è mai permesso di dire (e credo anche di pensare) che possa essere un mafioso, uno scansafatiche, un assenteista etc. etc..
La disamina storica di Giuseppe, a mio avviso, non è del tutto esatta là dove afferma che il sud ante unione fosse più ricco del nord perché, in realtà, il reddito medio per abitante dei meridionali era molto più basso. L’unica vera differenza consisteva nel fatto che al sud, molto più che al nord, la ricchezza era concentrata nelle mani di pochissimi eletti che amministravano la giustizia a proprio piacimento. Da ottimista, quale sono, quindi, voglio ancora credere a ciò che mi hanno insegnato alle elementari e cioè che i patrioti e martiri per l’unità d’Italia abbiano combattuto per un giusto ideale.
Noi del sud potremmo parlare delle conoscenze filosofiche ereditate dai greci o della spiccata capacità organizzativa derivata dai romani ma non potremmo negare che, negli ultimi cinquant’anni, gli stereotipi inculcatici si basavano sulle raccomandazioni, sulla ricerca del posto statale, sullo sfruttamento delle risorse pubbliche e sul levantinismo puro. E’ vero che le risorse agricole e turistiche del meridione non hanno uguali ma qualcuno mi spieghi perché, in quei posti, le cooperative ed i consorzi non hanno mai funzionato e quando si entra in un albergo non si è mai accolti con un sorriso.
Per migliorare è, quindi, necessario che chi vive al sud la smetta di piangersi addosso elemosinando aiuti dallo Stato e tiri fuori le proprie capacità sfruttando al meglio le risorse naturali che il buon Dio ha loro dato. Ciò non toglie, però, che il sud faccia parte di un’unica nazione e che i meridionali debbano essere trattati esattamente come i settentrionali ma non credo che la Lega voglia questo.
La Lega non ha mai nascosto di volere la secessione e ha sempre fatto, all’inverso, lo stesso ragionamento storico politico rappresentato da Giuseppe; il nord è ricco e laborioso e, attraverso la politica ladrona dei romani, è stato conquistato dai terroni.
Questo modo di ragionare, insieme alla tipologia dei provvedimenti emessi a livello nazionale e, ancor più, a livello regionale sta solo alimentando razzismo e xenofobia. Non si combatte la mafia con le ronde, con il dialetto locale (la grammatica italiana è sempre più sconosciuta), con l’inno di Mameli o, peggio ancora, bestemmiando su un pulpito davanti ad una platea bardata di verde che grida “dagli all’untore”.
A volte l’orgoglio di appartenere ad un gruppo rispondente, apparentemente, alle proprie esigenze, ci porta a dimenticare o, peggio, ad anteporre le basilari esigenze del nostre essere agli ideali del gruppo rischiando, così, di vivere con il continuo dilemma che attanaglia molti degli attuali politici (pensate al povero Fini). “essere o appartenere … questo è il problema!”
Francesco
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