giovedì 21 ottobre 2010

PACS : il seguito !!!!! BIM BUM BAM , dopo tante esercitazioni in bianco finalmente una a fuoco!!!


Caro Francesco,
i commenti al tuo post sono stati totalmente incentrati sulla sacralità del matrimonio tralasciando quelle che sono oggi una delle realtà della vita matrimoniale; la separazione ed il divorzio, da cui nasce, il più delle volte, la convivenza.
Tralascio di parlare delle prime due anche se, in una persona adulta della mia età, lasciano il “sapore amaro” della sconfitta. Una sconfitta che si scontra con gli insegnamenti cristiani avuti nell’infanzia e che hanno fatto da pilastro portante nella mia vita.
Dico hanno fatto, perché oggi qualcosa è cambiato.
Dopo un lungo periodo di vita matrimoniale il divorzio ha aperto una nuova strada nella mia vita. Mai e poi mai avrei potuto immaginare di vivere una tale esperienza. Ma la vita deve continuare.
E così, dopo un lungo periodo trascorso nella totale solitudine a riflettere su ciò che mi era accaduto, ho trovato un nuovo Amore. E con l’Amore anche la convivenza, la convivenza che si crea tra persone mature (non anagraficamente) e consapevoli del percorso che stanno intraprendendo .
Dai commenti al tuo post, Francesco, capisco che è difficile pensare che possa esserci nella vita la possibilità di una seconda chance per persone che hanno già avuto esperienze matrimoniali e/o per coloro che intendono avviare una vita in comune seguendo un iter diverso da quello del matrimonio.
Se partiamo dal concetto che “nel matrimonio religioso l’impegno viene preso davanti a Dio pronunciando il “si” “ (Gino), che “ se vuoi che il tuo legame abbia delle tutele accettando anche gli oneri conseguenti? Firma il contratto matrimoniale. Vuoi mantenerti libero? Convivi.” (Luigi- Giggione) e che “ ogni altra forma di codificazione delle unioni è un surrogato che nulla ha a che vedere con i sentimenti, ma mira esclusivamente a regolamentare gli aspetti pratici e materiali “ (Gino) possiamo anche chiudere qualsiasi discussione ancor prima di aprirla.
Come si fa a dire che la convivenza è un surrogato che nulla ha a che vedere con i sentimenti?
Non si può Amare anche senza prendere l’impegno davanti a Dio? E non si può convivere anche senza una firma davanti al Sacerdote?
Anche nella convivenza Amare vuol dire donare; donare se stesso per la felicità e la gioia dell’altra persona. Vuol dire sacrificarsi per Lei, vuol dire soffrire in silenzio e in solitudine davanti ad una sala operatoria per 9 ore senza mai allontanarsi pregando nella speranza di una soluzione positiva.
Vuol dire condividere il grande dolore e la lunga sofferenza senza fuggire solo perché non sei sposato.
Vuol dire accettare la presenza nella tua vita di un figlio/a non tuo e far si che anche l’altra parte accetti nella sua vita la presenza di un tuo figlio/a.
Vuol dire tornare a casa dopo una giornata di lavoro e litigare e/o gioire così come avviene in tante famiglie.
Vuol dire avere problemi di bilancio familiare e unire le forze dell’uno con quelle dell’altro anche se non si è pronunciato il “si” davanti al sacerdote.
Dov’è quindi la differenza tra l’Amore che unisce i coniugi e quello che unisce i conviventi??
Tutto ciò che vivo oggi, in termini affettivi, da convivente l’ho vissuto da sposato.
Sono gli stessi sentimenti e le stesse emozioni che voi, cari amici, seguitate a vivere dal giorno del vostro matrimonio.
Nell’ordinamento italiano non si riconoscono i diritti e i doveri discendenti dal rapporto di convivenza.
In particolare, all’atto del decesso di un convivente non sono riconosciuti al convivente superstite sia i diritti di successione e il trattamento pensionistico.
Oltre a questi pochi diritti, che ho accennato solo a titolo di esempio, vi sono dei doveri che dovrebbero essere riconosciuti quali l’obbligo reciproco di assistenza materiale e morale (così come avviene nel matrimonio) e l’obbligo di un assegno alimentare al coniuge più debole nel caso della fine della convivenza.
I diritti e i doveri sono tanti, tanti quanto quelli che ricadono sui coniugi che hanno contratto matrimonio.
Anche in questo caso, mi chiedo dov’è la differenza tra un matrimonio e una convivenza?
Lo so, Francesco, forse mi sono fatto prendere un po’ la mano nello scrivere ma, credimi, certe esperienze vanno vissute per essere veramente comprese nella loro entità.
Ciò non vuol dire che chi non ha vissuto esperienze simili non sia in grado di giudicare con obiettività e senza preconcetti.
Le unioni civili sono una realtà dalla quale non ci si può più sottrarre. Devono essere affrontate anche qui in Italia dal Governo così come è già stato fatto in molti Paesi europei.
Le unioni civili devono essere regolamentate e, come primo atto, deve essere definito un numero minimo di anni per poter considerare “stabile” la convivenza e dar così la possibilità di accedere a tutti quei diritti tipici di una unione matrimoniale.
Nel 2006 un tentativo in tal senso fu fatto dal Governo Prodi ma, purtroppo, senza successo.
Da allora il silenzio regna sul riconoscimento delle unioni civili.
Inoltre, in Italia, un ruolo non indifferente, anzi, determinante per evitare la ricerca della soluzione del problema della convivenza lo gioca la Chiesa che, da sempre, si è dichiarata contraria alla istituzione di “una specie di matrimonio”. Così definisce la convivenza,
E’ vero, la convivenza non è un matrimonio ne una specie di matrimonio ma l’Amore posto alla base di una seria convivenza non la rende poi tanto diversa da un matrimonio.
Concludo questo scritto con due precisazioni che ritengo importanti al fine di evitare errate valutazioni sulla mia persona.
La convivenza che ho qui descritto è quella tra due persone che si amano e che desiderano, vuoi per libera scelta, vuoi per costrizione da parte delle vigenti leggi, convivere nel segno dell’Amore e nel rispetto reciproco e non quel tipo di convivenza di cui si sente oggi troppo spesso parlare, di persone che si uniscono e che si lasciano davanti alla prima difficoltà della vita o che spariscono seguendo un nuovo e più affascinante lato B.
Ancora una precisazione. Per me la convivenza è sempre e solo quella riferita a coppie eterosessuali. Sarà questa una discriminazione ma non posso assolutamente accettare situazioni di convivenza diverse.
Gigetto.


Nota: Il titolo è un'invenzione di uno del Blog.

7 commenti:

  1. Francesco Miredi22 ott 2010, 14:47:00

    Carissimo Pierluigi, non ho esperienze personali ma la tua storia l'ho vissuta attraverso tanti casi simili che ho analizzato. Dal punto di vista religioso, le ragioni di Giggione e di Luigi non possono essere discusse ma l'amore è un sentimento che non segue regole, dogmi e/o principi. Come tu hai magistralmente (perchè lo hai fatto col cuore) spiegato, le sensazioni, le ansie, gli atteggiamenti di due persone che si amano e convivono stabilmente non cambiano in funzione dell'esistenza o meno del matrimonio. Grazie per questo tuo intervento.
    Con affetto
    Francesco

    RispondiElimina
  2. Ho seguito la discussione intitolata "Amore, religione e PACS" con un certo interesse. Avrei desiderato scrivere qualcosa, anche in virtù del fatto che sono divorziato (secondo la legge: cessazione degli effetti civili del matrimonio), ma non riuscivo a trovare uno stimolo.

    Ora, con l'intervento dell'amico Pigi, avverto una condivisione di sentimenti, anche se io non mi ritengo fortunato come lui per non avere trovato una nuova situazione sentimentale stabile.

    Pigi ha scritto col cuore (lo dice bene Francesco) e al centro della sua esposizione c'è la parola Amore. L'Amore (Pigi lo scrive sempre con la 'A' maiuscola) non ha bisogno di ratifiche; non ha bisogno di documenti ufficiali; non ha bisogno né di sindaci né di sacerdoti.

    Un mio caro amico sacerdote, Simon Pedro, mi disse una volta: "Jesus pontifex maximus" (è Gesù il sommo sacerdote). E' a lui che dobbiamo rendere conto in ogni momento della nostra vita.

    Grazie Pigi.

    RispondiElimina
  3. Carissimo Piero,
    ho molto rispetto per le tue idee, i tuoi sentimenti e soprattutto per la grande sofferenza e passione che traspare dalle tue parole. Non posso però fare a meno di rilevare che si continua a confondere e confrontare due realtà che sono completamente diverse: il matrimonio religioso e l'unione civile (in qualunque forma la si presenti). Il matrimonio religioso non è un atto che si compie con la firma davanti a un sacerdote ma con l'impegno preso davanti a Dio alle condizioni previste dalla Chiesa e suggellato con le parole di Cristo ("L'uomo non osi separare ciò che Dio ha unito"). La firma dell'atto di matrimonio viene fatta al termine e al di fuori del rito stesso per soddisfare le esigenze civili in quanto con il concordato il sacerdote assume anche le funzioni di ufficiale di stato civile come delegato dal sindaco per sanzionare gli effetti civili del matrimonio religioso. Come sai, qualora si scegliesse di optare per il solo rito religioso (cosa possibile), non sarebbero più necessarie firme, in quanto, come per l'amministrazione di qualunque sacramento, Dio non richiede la sottoscrizione di atti ma impegna esclusivamente le coscienze degli individui (non per niente il matrimonio esclusivamente religioso viene anche chiamato matrimonio di coscienza). Il matrimonio civile (a prescindere dai sentimenti dei contraenti) ha bisogno invece di firme perchè, molto laicamente, è di fatto teso esclusivamente a convalidare un contratto dove sono per legge sanciti diritti e doveri dei contraenti e prevede conseguenze amministrative e penali in caso di mancata osservanza degli stessi. Nel caso del matrimonio religioso (ovviamente per coloro che lo celebrano in buonafede) l’amore, inteso nell’accezione che al termine dà la Chiesa, è un requisito indispensabile e qualificante. Negli altri casi è un elemento che non viene tenuto in nessuna rilevanza, essendo sufficiente la sottoscrizione per rendere valido il contratto. Ciò non significa che chi si sposa civilmente o chi convive non nutra sentimenti d’amore nei confronti del partner, ma che questi ci siano o meno è una faccenda che riguarda esclusivamente i due contraenti. Con queste premesse non si può affermare che non ci sia differenza nella forma di unione che si adotta (per scelta o per causa di forza maggiore), né intendo fare classifiche: ognuno è libero di fare le proprie scelte e tutte sono rispettabili (ricordiamo che ci sono anche coloro che convivono e scelgono di non sposarsi, pur potendolo fare civilmente, per non perdere benefici economici) ma non si può pretendere di ammantare di sacralità ciò che sacro non vuole essere, avendo fatto scelte laiche. In conclusione, ripeto quanto già scritto in precedenza: “Ben venga qualunque forma di tutela (delle unioni di fatto), purché non si vada oltre i limiti (riconoscendo per esempio il diritto all'adozione dei bambini da parte di coppie omosessuali)”.

    RispondiElimina
  4. Cari amici,
    secondo me bisogna fare una considerazione. Bisogna precisare se l'Amore e' tra un uomo e una donna . Io penso che questa unione ( fatte salve le implicazioni di carattere religioso chiaramente descritte da Gino) e' identica sia se sancita da un matrimonio in Chiesa, civile o soltanto dalla volonta' di stare insieme. Tutto il clamore che ruota intorno alle unioni di fatto , sempre a mio avviso, ha il solo scopo , una volta riconosciutone il valore legale,di assimilarlo alle unioni omosessuali con conseguenze come l'adozione , la cerimonia nuziale, il bacio della sposa/o ... e via dicendo. Considerare solo l'Amore senza specificare chi sia l'oggetto di questo sentimento , fornisce il pretesto per invocare diritti per tutte le unioni e di qualunque tipo (visto che adesso ci vuole una bussola per individuare il proprio ...."orientamento" sessuale). E se un giorno qualcuno si innamorasse di un cavallo ?
    Caligola voleva farlo Senatore ..... perche' non coniuge?
    Giovanni Papi

    RispondiElimina
  5. Gran bella dichiarazione d'amore. Sono d'accordo con te, ad eccezione dell'ultimo tua precisazione, ma sarà motivo per una prossima discussione.
    Bravo !!!

    RispondiElimina
  6. Luigi Chiavarelli23 ott 2010, 00:18:00

    Caro Gigetto,
    ritengo anch’io che l’amore stia al di sopra di tutto e non abbia certo bisogno di firme di contratti. Né mi permetto di giudicare le scelte di alcuno, perché un conto è fare discorsi di carattere generale, un conto è entrare nel merito di situazioni reali. La Chiesa stessa, che è inflessibile con il peccato, è molto comprensiva con il peccatore e sa comprendere e perdonare situazioni e comportamenti fermo restando che è sempre il Padreterno che poi giudica e decide.
    L’importanza dell’amore è tale che davanti a Dio il matrimonio è valido anche senza sacerdote e senza Chiesa, quando questi non sono disponibili, purché i due innamorati si promettano amore nel senso cristiano e, ovviamente , non siano già sposati.
    Detto ciò, tuttavia, qui non si parla di amore ma di tutele amministrative da parte dello Stato e Dio non c’entra nulla. E qui ribadisco quello che ho detto prima: vuoi le tutele dello Stato? Firma il contratto davanti al Sindaco. Se potendolo non lo si fa viene da pensare che sia la parte riguardante i doveri a creare qualche problema.
    Luigi (Giggione)

    RispondiElimina
  7. Francesco Miredi25 ott 2010, 11:51:00

    Credo che l'ultimo commento di Giggione, la cui conclusione faccio fatica a condividere, abbia centrato il nocciolo del problema da me posto alla vostra attenzione.
    Sulla eterossessualità della coppia non si discute (almeno in questo contesto) come non sono confutabili le questioni religiose che attengono alle singole coscienze. Io volevo parlare dei diritti e dei doveri (non solo dei doveri) nascenti da una promessa d'amore; sia che si formalizzi con il matrimonio, sia che si concretizzi con la convivenza stabile.
    La separazione ed il divorzio, uniche soluzioni oggi regolamentate, producono, il più delle volte, delle situazioni disastrose in termini economici (per colui/ei che appare più ricco) e frustranti in termini di rapporti con i figli anche perchè i provvedimenti vengono presi da giudici incapaci (per volontà o per impossibilità) di calarsi nei rapporti di coppia. Al contrario, ad una tutela quasi asfissiante del matrimonio, si contrappone un totale disconoscimento della coppia nella convivenza.
    Per molto tempo il mio personale parere è stato in linea con quello di Giggione (se vuoi la tutela dello Stato, sposati perchè così dice la Legge) ma poi ho incominciato a trovarmi in situazioni simili a quella narrata da PierLuigi. Ho visto, quindi, mogli tenere in pugno mariti che non sentivano più alcun tipo di amore, con la paura di mettere loro contro i figli o di sborsare ingenti assegni di mantenimento; ho visto mariti soggiogare le proprie mogli al ruolo di colf o di badante per la paura di perdere un minimo di sostentamento; ho visto donne che hanno sostenuto il proprio compagno per anni e anni, sino alla morte, e trovarsi sbattuta in mezzo ad una strada scacciata fuori casa dai figli o dalla ex moglie del convivente.
    Se il presupposto dell'unione, sia essa formale o non, è l'amore, non può esservi una così disparità di trattamento.
    Francesco

    RispondiElimina

Scrivi qui i tuoi commenti .